FORMIA – Quei beni sono il provento di attività illecite che, effettuate nel cono d’ombra della camorra e del clan dei Casalesi, devono finire nel patrimonio dello Stato. La quarta sezione della Corte d’appello ha confermato la confisca del “tesoretto” che per un valore di 22 milioni è stato nella disponibilità dell’imprenditore formiano Vincenzo Zangrillo, di 60 anni. Lo è stato almeno sino al 2 marzo 2018 quando la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Latina, accogliendo la proposta del Direttore della Direzione investigazione antimafia, mise sotto chiave il patrimonio dell’ex carrozziere di Formia che disponeva tra Formia, Coreno Ausonio, Napoli e Isernia: 200 mezzi tra autoarticolati, autovetture, motocicli, furgoni, 150 immobili come abitazioni, uffici, opifici e magazzini, 21 ettari di terreni ubicati nelle province di Latina e Frosinone, 6 società, 21 conti correnti e rapporti bancari di varia natura, per un valore complessivo – come detto – di oltre 22 milioni di euro.
Zangrillo all’epoca fu sottoposto anche alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per tre anni poi ridotta a due. Conosciuto nell’intero sud-pontino per la sua iniziale attività di fabbro e di gestore poi di un’officina meccanica per mezzi pesanti nel tratto iniziale della Variante Formia-Garigliano, Zangrillo fu “attenzionato” a più riprese dall’autorità giudiziaria, ai diversi livelli, per la sua importante ma improvvisa ed ingiustificata espansione economico-imprenditoriale non solo nel suo iniziale settore lavorativo ma anche nel trasporto merci su gomma, nel commercio all’ingrosso, nello smaltimento di rifiuti, nella locazione immobiliare e del commercio di autovetture. Le indagini della Dia di Roma hanno dimostrato il nesso tra l’espansione del suo patrimonio individuale e imprenditoriale – a fronte di redditi dichiarati da Zangrillo al fisco nettamente inferiori alle reali capacità economiche – e le attività illecite commesse nel corso degli anni per le quali fu anche arrestato.
La conferma della sentenza di confisca è arrivata dopo la nomina da parte della Corte d’Apello di un consulente tecnico che,alla stessa stregua di quanto fece il Tribunale di Latina, ha confermato la bontà e la validità delle indagini svolte all’epoca dalla Dia. La difesa di Vincenzo Zangrillo, rappresentata dagli avvocati Pasquale Cardillo Cupo e Giuseppe Stellato, intanto ha preannunciato ricorso per Cassazione contro il secondo provvedimento di confisca nei confronti dell’imprenditore formiano. Secondo la Dia capitolina dietro il “boom” economico di Zangrillo, non giustificabile in rapporto alla sua posizione reddittuale, ci sarebbe stata la camorra casalese. L’imprenditore questa l’ha sempre definita una “mera presunzione” ma le investigazioni della Dia hanno riscontro un legame tra la crescita delle sue attività imprenditoriali da una parte e quelle illecite svolte dall’imprenditore, tra cui il riciclaggio e la ricettazione di veicoli rubati, reato per il quale fu arrestato nel marzo 2016 sulla strada regionale Pontina.
Per questa vicenda il Gup del Tribunale di Latina Pierpaolo Bortone, al termine dell’udienza preliminare celebrata con il rito abbreviato, il 23 novembre 2016 condannò Zangrillo a due anni e mezzo di carcere: fu sorpreso a bordo di una betoniera considerata provento di furto. In manette finì anche un suo dipendente di 51 anni : fu assolto per la semplice considerazione di aver eseguito un ordine dello stesso Zangrillo. Nel dicembre 2015 il Tribunale del Riesame accolse il ricorso contro il sequestro di tre autocarri, ora finiti nella disponibilità dello Stato, perché ritenuti provento di furto e di riciclaggio. La difesa dell’imprenditore formiano allegò una serie di fatture, certificati e perizie attestanti l’assoluta regolarità dei mezzi.
«Nel sud pontino operano clan campani come l’alleanza di Secondigliano, il clan Moccia e le strutture criminali eredi del clan dei Casalesi. Aggredire i patrimoni illeciti delle mafie, restituire alle comunità locali i beni confiscati sono la nuova frontiera per una rigenerazione sociale ed economica dei territori». A dirlo è Gianpiero Cioffredi, presidente dell’osservatorio “Sicurezza e legalità” della Regione Lazio dopo che la Corte d’Appello ha confermato la confisca dei beni di Vincenzo Zangrillo. «Il basso Lazio – aggiunge – è da decenni un territorio privilegiato di influenza camorrista. Una camorra imprenditrice che trova la disponibilità di investitori e alcuni professionisti che alimentano quell’area grigia che garantisce il riciclaggio di soldi e inquinamento dell’economia pulita. E’ di grandissima importanza la decisione della Corte di Appello di Roma che ha confermato l’impianto accusatorio formulato dalla Dia. Ringrazio il Centro Operativo della Dia di Roma e il suo capo Colonnello Francesco Gosciu per la complessa e raffinata operazione nei confronti di Vincenzo Zangrillo, imprenditore di Formia, secondo gli investigatori legato al clan dei Casalesi».
«C’è un uomo che abita a pochi chilometri da casa mia. Nel corso del tempo il suo nome è comparso in molte attività commerciali. Il suo successo si è dilatato a dismisura tra Formia e i centri vicini: società, terreni, proprietà immobiliari. Un impero che la Dia, indagando, ha indicato come frutto di attività criminali che vanno dal riciclaggio al narcotraffico. Si chiama Vincenzo Zangrillo». Lo dichiara il deputato pontino Raffaele Trano che prende spunto dal provvedimento per analizzare l’attuale situazione e il rischio che la criminalità sfrutti aziende della sua cerchia per accaparrarsi finanziamenti pubblici.