Ha condotto la Commissione Finanze della Camera dei deputati in maniera imparziale, pensando, in un momento molto critico della storia italiana, alle soluzioni di cui si sarebbe giovato il paese, prima che agli interessi dei partiti che proponevano i diversi provvedimenti.
Raffaele Trano, già capogruppo della commissione per il M5s, ha messo al centro del suo lavoro le istanze delle categorie produttive e delle parti sociali, credendo fortemente nella possibilità della commissione di dare un contributo importante attraverso audizioni private ma soprattutto nel modificare il più possibile il decreto liquidità, che il governo aveva licenziato troppo frettolosamente.
Sotto la sua presidenza hanno trovato spazio temi scomodi come l’usura, la compravendita da parte di organizzazioni criminali di aziende in difficoltà, l’erogazione di credito garantito dallo Stato a favore di organizzazioni mafiose. Temi contrastati proprio da esponenti di governo che evidentemente non hanno voluto capire gli allarmi che, nel frattempo lanciavano il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho e la ministra dell’interno Luciana Lamorgese. Ma Trano non se n’è preoccupato più di tanto ed ha continuato a spronare il governo con il lavoro della Commissione, sottoponendo al presidente Conte ed al Ministro Gualtieri il notevole lavoro dell’organo in tema di semplificazione.
Tanto il lavoro svolto, sempre presente in parlamento anche nel mese di marzo, mentre la gran parte dei colleghi lavorava in modalità smart working. Tanta l’attenzione, diretta ad alleviare le sofferenze del suo territorio, attraverso emendamenti ed ordini del giorno. Altrettanto disarmante però è stato il modo in cui i vertici delle forze di maggioranza ed il movimento 5 stelle hanno gestito il rinnovo della presidenza della sua commissione e quella di molte altre.
Nonostante sia il partito di maggioranza relativa, il movimento 5 stelle alla Camera non avrà presidenti nell’area economica (né in Finanze né in Bilancio), mentre al Senato il presidente della commissione Bilancio è stato confermato Daniele Pesco. Questo ha scatenato l’ira dei parlamentari grillini, soprattutto alla Camera, dove è successo di tutto. Fino alle dimissioni del capogruppo M5s di commissione Bilancio Leonardo Donno.
Ma del resto, oggettivamente, come potevano i grillini digerire l’esponente di Italia Viva che ha sempre attaccato apertamente il Movimento? E come scordare i due ‘buffetti’ assestati in aula al pentastellato Zolezzi?
Ma per il direttivo ed i vertici tutto questo è stato dimenticato in una notte. Una notte durante la quale, dopo aver cambiato le liste delle commissioni più volte, c’è stato il cambio di ben sette parlamentari, individuati a caso. Non volevano assomigliare a Renzi eppure alla fine hanno fatto proprio come lui, inserendo deputati a caso, persone che delle dinamiche del fisco non hanno alcuna competenza specifica, né hanno seguito i lavori della commissione dall’interno per poter giudicare l’operato dei candidati che si erano presentati. Ancora più ridicolo obbligare la commissione finanze a votare alle 3 di notte, dopo la commissione giustizia, “perché, a detta dei deputati del M5S, Italia Viva non aveva rispettato i patti e nella Commissione Giustizia, dove anziché eleggere come presidente un grillino aveva fatto eleggere un proprio esponente con i voti delle opposizioni. Da qui il ricatto degli esponenti del M5S che hanno tenuto bloccato il rinnovo della Commissione finanze fintanto che Italia Viva non ha costretto a dimettersi il Presidente appena eletto nella commissione giustizia. Solo a quel punto, a notte fonda, hanno consentito che si eleggesse il nuovo presidente”.
Ma i parlamentari sono ridotti a dei pigiabottoni? È questa la concezione che il Movimento 5 Stelle ha della democrazia?
Cosa lascia Trano in eredità? Dal primo luglio, con il taglio del cuneo fiscale, di cui proprio Trano è stato relatore in Aula, i dipendenti hanno visto accrescersi la loro busta paga in media 100 euro. Ma la mossa più coraggiosa per gli addetti ai lavori è stato l’incardinamento in commissione dei “Certificati di Compensazione Fiscale”, una terza via originale e già testata con successo per uscire dalla crisi senza che lo stato ricorra a battere moneta propria, ma sempicemente facendo circolare gli sconti fiscali come se fossero una “quasi moneta”.