SUD PONTINO – Hanno deciso di dissotterrare l’ascia da guerra alcune strutture private del sud pontino accreditate con il sistema sanitario regionale per quanto concerne la riabilitazione territoriale intensiva, estensiva e di mantenimento rivolta a persone con disabilità fisica, psichica e sensoriale. La preoccupazione riguarda il loro futuro economico, imprenditoriale, occupazionale e sociale nel momento in cui gli Uffici della ASL di Latina potrebbero non stanziare sul territorio sud della provincia le necessarie risorse per assistere regolarmente le centinaia di utenti e famiglie di ragazzi disabili.
Nel 2019 con la deliberazione numero 939 del 9 ottobre 2019 il direttore generale dell’Asl di Latina Giorgio Casati aveva infatti stabilito che nel 2020 le nuove risorse economiche regionali sarebbero dovute essere destinate per il riequilibrio dell’offerta di prestazioni riabilitative tra il nord ed il sud della provincia, privilegiando i bambini con disabilità. E’ il caso di specificare che da anni la zona del sud pontino soffre una situazione di criticità in questa delicata materia. Mentre nelle zone del nord della provincia sono concentrate la maggior parte delle prestazioni (con un budget economico di oltre 8 milioni di euro) nella zona del sud pontino è attualmente presente una sola struttura con appena 800mila euro di budget. Un divario troppo grande per cui la Asl, l’anno scorso, aveva posto l’obiettivo di un “riequilibrio”.
Lo scorso 10 novembre la Regione Lazio ha stanziato nuove risorse economiche ed ha trasmesso alla ASL di Latina la sua determinazione che incrementa di 553mila euro le risorse per l’intera provincia. La Asl ora darà seguito all’obiettivo fissato nel 2019 di riequilibrare l’offerta tra nord e sud? Oppure, come negli anni passati, si continuerà a dare spazio al nord che vanta già molte centinaia di posti accreditati? Questo è il timore delle strutture del sud che ora sono sul piede di guerra.
La delicata situazione ha mandato in fibrillazione una storica realtà della riabilitazione del territorio del sud pontino, la Cooperativa sociale “La Valle” di Gaeta che da oltre 35 anni si occupa di disabilità e di servizi socio sanitari. Ben venga l’aumento del budget per tutte le strutture della provincia, ma l’Asl (come si legge nella delibera del 2019) dovrebbe considerare che la gran parte di queste realtà insistono a Latina e nel nord della provincia. Il sud pontino è rappresentato soltanto, al momento, da due centri convenzionati, la coop “La Valle” di Gaeta e l’istituto “Sacro Cuore” di Formia, chiamate a far fronte e a gestire liste di attesa di “otto-nove mesi” alle prese con bambini con problemi di riabilitazione, fisica e psichica, e di inserimento quando il problema a Latina e dintorni è praticamente di altra natura. La Cooperativa La Valle, prima di prendere carta e penna, ha voluto avviare una doverosa e corretta concertazione con le associazioni dei genitori frequentanti la struttura, le rappresentanze sindacali la base sociale della stessa cooperativa per promuove lo stato di agitazione per stigmatizzare quelle che ha definito le “precarie condizioni di offerta” in cui si trova la cooperativa La Valle ma soprattutto l’intero territorio meridionale della provincia di Latina.
Lo “squilibrio” dell’offerta tra il nord e il sud della provincia, al momento, è di oltre 1 a 10 posti per mille abitanti. Insomma è terminato il tempo di accettare “una tale condizione di disomogeneità che pregiudica – accusa la Cooperativa – il diritto dell’utente, che sia minore o adulto, a non aver riconosciuto il diritto alla prossimità del trattamento”. Moltissime famiglie sono costrette a recarsi a Latina (o peggio a Roma) per assistere i propri figli/parenti disabili. Qualcuno addirittura è costretto a recarsi fuori regione per trovare una adeguata assistenza. Costi e spese che la ASL di Latina deve comunque pagare in quanto prestazioni rese in favore di cittadini residenti nella Provincia di Latina. Da qui la richiesta all’Asl di modificare in corsa le sue valutazione di ordine economico a favore di questo preziosissimo segmento del terzo settore. Il timore è fondato. Oltre all’emergenza Covid, che ha già provocato danni incalcolabili in questo comparto, potrebbe aggiungersi un “black out” assistenziale che, se dovesse verificarsi, avrebbe già i suoi responsabili, morali e materiali.