SUD PONTINO – Uno dei sodalizi criminali smantellati martedì mattina nell’ambito dell’operazione anti camorra “Anni 2000” dei Carabinieri era diventato l’incubo di alcune imprese alle quali i comuni di Minturno e Santi Cosma e Damiano avevano affidato il compito di gestire rispettivamente il ciclo dei rifiuti e di riqualificare il proprio cimitero. Vere e proprie richieste estorsive sono state formalizzate dall’organizzazione criminale capeggiata da Antonio Antinozzi.
Il precedente gestore del ciclo dei rifiuti al comune di Minturno ma anche a Gaeta, la Eco Car di Roma, ha anche versato la metà,15mila euro, della somma richiesta con la violenza. Rappresenta, questo, uno dei capi d’imputazione della voluminosa ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Roma Daniela Caramico D’Auria su richiesta dei Pm della Dda capitolina. I fatti si sono verificati nel corso del 2016 quando Antinozzi, affiancato da due complici, avvicinò alcuni dipendenti della società romana. Alla frase minatoria “Vedete di sistemare le cose qui dentro” seguì un incendio che danneggiò la cabina di un autocompattore. La richiesta estorsiva fu inoltrata al titolare della Eco Car attraverso un suo dipendente che – secondo gli atti dei Carabinieri – versò solo un acconto rispetto ai 30mila richiesti.
Andarono diversamente le cose a Castelforte. Un altro imprenditore del ciclo dei rifiuti, Enrico Ambroselli, non si piegò ma subì due attentati: il primo, il 31 agosto 2014, quando tre colpi di fucile calibro 12 furono sparati contro il portone d’ingresso della sua villetta, il secondo con l’esplosione il 17 ottobre 2014 di alcuni colpi di arma da fuoco verso l’abitazione dei genitori di Giuliano, il papà Antonio e la madre Maria Assunta Ambroselli. Ma quale fu la richiesta avanzata all’imprenditore di Castelforte da Antonio Reale, inviato prima da Antinozzi e poi da Agostino Di Franco e Vincenzo De Martino? Diecimila euro da versare subito se non fosse stata messa in discussione l’incolumità dell’uomo e dei suoi familiari. Quello fu un periodo davvero pesante per Giuliano che, socio dipendente del Centro servizi ambientali e della societò “Tecnoambiente srl” di Castelforte, il 5 agosto 2014 denunciò il tentativo di furto della propria auto parcheggiata in una strada di Scauri. Una svolta per le indagini si registrò a margine di un altro atto intimidatorio subito il 6 marzo 2016. I Carabinieri del Nucleo radiomobile gli mostrarono alcuni immagini e Giuliano identificò i presunti estorsori: Gianluca Di Meo, Alessandro Forcina e Sergio Canzolino. Esplosero alle quattro del mattino a bordo di una Fiat 600 di colore chiaro tre colpi di arma da fuoco verso il portone di ingresso dell’abitazione di Giuliano di via delle Terme. I Carabinieri della stazione di Castelforte utilizzarono il sistema di video sorveglianza per individuare quest0’utilitaria transitare in piazza San Lorenzo. Il conducente, alla vista di una pattuglia, fuggì compiendo anche una manovra vietata dalla segnaletica stradale. Perché Antonio Antinozzi si era rivolto a Giuliano? Aveva necessità di reperire una somma di danato per pagare l’onorario dell’avvocato che assisteva suo nipote, Giuseppe Viccaro, in quel momento storico in carcere. “Zio Antonio” attraverso Agostino Di Franco e Reale Antonio, propose a Giuliano di acquistare anche un stabile di proprietà dello stesso Viccaro.
Ancora Antinozzi è accusato personalmente di aver appiccato il rogo ad un escavatore presso un cantiere aperto da una ditta di Formia, la Simar, impegnata nel corso del 2016 nella sistemazione (per un importo di 108mila euro) del cimitero di San Cosma, in località Arole, ai piedi della frazione di Ventosa. La vicenda si consumò tra il marzo ed il settembre 2016 quando fu intimidito anche un operaio perché veicolasse la richiesta estorsiva, la cui somma di danaro non fu mai quantificata, all’imprenditore formiano Antonio Migliorato. Come Giuliano si oppose anch’egli. Un altro cantiere aperto dal comune di San Cosma e Damiano finì nel mirino dell’organizzazione di Antinozzi, nel frattempo staccatasi dall’alleato storico Ettore Mendico. Era il 2 novembre 2015 quando un dipendente della ditta “Cofis” di Rima fu avvinato nei pressi della scuola materna, in località Piloni, da un uomo in scooter che, dopo essersi tolto il casco ed indossando un passamontagna, pronunciò la sente frase: “Dì al tuo capo che si mette a posto… altrimenti”
L’operazione “Anni 2000” ha evidenziato come la seconda componente criminale smantellata dai Carabinieri, quella capitanata da Ettore Mendico, dal fratello Maurizio, Francisco Parente e Fabio Buonemani si fosse specializzata nella vendita, cessione e trasporto di droga, soprattutto cocaina, hashish e marijuana, a San Cosma e Damiano, Castelforte e gli altri comuni del comprensorio. Lo facevano in prima persona o impartendo direttive a terzi. Tantissimi sono gli episodi relativi alla cessione di sostanze stupefacenti contenuti nelle 341 pagine dell’ordinanza del Gip D’Auria. Uno spicca per il suo carattere violento. E’ datato ottobre 2019 ed un tossicodipendente di Santi Cosma e Damiano, debitore di 6000 euro per precedenti acquisti di cocaina, venne “ caricato” in auto. Fu percosso pesantemente in diverse parti del corpo (testa, mano, ginocchio e costato) e gli fu puntata contro una pistola. Se non avesse pagato – gli dissero – sarebbe stato ucciso. I suoi aggressori si fecero promettere una somma di 1000 euro ogni mese fino all’estinzione dell’intero debito….
Intanto le 18 persone finite in carcere nella giornata di giovedì compariranno davanti il Gip per l’interrogatorio di garanzia. Lo faranno in collegamento remoto dai diversi penitenziari del centro Italia in cui sono stati associati. Diversi dei loro legali, gli avvocati Pasquale Cardillo Cupo, Pasqualino Santamaria , Camillo Irace, Enrico Mastantuono e Mariano Giuliano, hanno preannunciato che si avvarranno della facoltà di non rispondere. La prima partita processuale sarà disputata davanti il Tribunale del Riesame. Il collegio difensivo farà leva sugli episodi datati nel tempo che, seppur gravi, non avrebbero meritato le misure restrittive venendo meno i presupposti della reiterazione del reato, dell’inquinamento delle prove e del pericolo di fuga.