GAETA – Il 12 giugno 2021 alla Pinacoteca Comunale “Antonio Sapone” di Gaeta inaugurerà la mostra “Ben Ormenese e i suoi tempi” che in un percorso antologico di oltre quaranta opere, dalla metà degli anni sessanta sino all’ultima stagione creativa, evidenzia come il maestro friulano sia stato uno tra i maggiori interpreti di quel grande versante “oggettuale” dell’arte contemporanea che, da Lucio Fontana, giunge vivissimo sino ai nostri giorni.
Per questo, il percorso antologico di Ben Ormenese (1930-2013) è corredato con importanti opere di altri maestri, di rilievo nazionale e internazionale, che per affinità di ricerca o per amicizia, hanno vissuto i tempi di una poetica durata mezzo secolo. Tra questi Agostino Bonalumi, Paolo Scheggi, Dadamaino, Gianfranco Pardi, Jorrit Tornquist, Alberto Biasi, Horacio Garcia Rossi, Julio Le Parc, Felice Canonico, Paolo Conti, Franco Costalonga e Ennio Finzi.
“L’originale ricerca di Ormenese – spiega una nota che anticipa l’evento – pur in una straordinaria coerenza, non ha cessato di rinnovarsi nel corso dei decenni, in un rapporto serrato con le problematiche dello spazio e della luce, che l’hanno spesso fatto affiancare ad alcune tra le poetiche più importanti di quegli anni. È poi nota la crisi dell’artista, che lo portò nel 1978 a bruciare, in un notturno falò, le sue opere e ad abbandonare Milano, per tornare in Friuli. Come scrive in catalogo Leonardo Conti: “Quando un artista abbandona e smette di fare opere ci mette in uno stato di apprensione. È l’immagine della morte dell’artista ancora vivo ad atterrirci. Non riusciamo a comprendere il senso di questa fine senza l’ineluttabilità della morte”.
“Il gesto radicale di Ormenese – racconta ancora la nota – è stato parte indissolubile del suo modo integrale di calarsi nella ricerca. L’interesse per le forze ambientali, spaziali e luminose, in cui ogni sua opera prende corpo ma tende anche a disintegrarsi, restituendosi alla dinamica generale, non potevano che mettere in gioco l’artista stesso. Il suo agire, immerso tra quelle forze, lo poneva in bilico tra l’essere e il non essere. Il nome dell’artista, la sua firma e tutto ciò che concerneva l’autorialità, lo mettevano in scacco. Nel momento esatto in cui sentì concretizzarsi intorno a sé qualcosa che assomigliava alla fama, il maestro scelse una delle linee di fuga, che da ogni parte si sprigionano dalle sue opere. Abbandonare significava rinunciare al privilegio del nome, ma non significava smettere di essere artista. Solo così, in bilico tra presenza e sparizione, la libertà dell’attimo poteva irrompere e, in una grande strategia, la ricerca dell’opera e la ricerca dell’uomo potevano coincidere”.
“Dopo diciotto anni di ricerca in completa solitudine – si legge ancora – Ormenese decise di ritornare sulle scene dell’arte tra il 1996 e il 1997, ancora una volta realizzando opere altissime, per la capacità di costruire con la luce degli inediti spazi interni alle opere. Questa propensione a captare la luce (con sistemi di specchi e incurvando le superfici), per ridistribuirla nelle opere, l’hanno fatto spesso affiancate, per affinità, al Cinetismo internazionale. In mostra è ben documentata e approfondita anche questa fase della ricerca (tra il 2000 e il 2013), affiancando le opere di Ormenese a quelle di alcuni dei maestri con cui è stato esposto in diversi musei del mondo”.
E conclude: “Un’ultima sezione del museo è poi dedicata a opere d’importanti artisti contemporanei, che, nella loro intangibile originalità, e in una sorta di ideale continuità con le idee del maestro, hanno deciso di creare un’opera che sia un omaggio a Ormenese. Tra questi Matteo Attruia, Bruno Bani, Carlo Colli, Marcello De Angelis, Ivano Fabbri, Francesco Fienga, Silvia Inselvini e Giorgio Kiaris”.
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