FORMIA – Un esempio di nobile generosità, di dedizione verso il prossimo e, soprattutto, strenuo difensore di un valore nei confronti del quale non ha mai arretrato di un millimetro: la libertà. Il 16 luglio 1991 Formia perdeva un suo figlio adottivo che, negli anni impegnativi del dopo guerra, aveva incarnato il sentimento della speranza verso un domani un po’ migliore. All’età di 85 anni moriva il dottor Domenico Cicala che per le nuove generazioni dice poco o nulla ma per i formiani reduci dal disastroso conflitto bellico ha rappresentato molto di più di un punto di riferimento, una stella polare , un amico di cui fidarsi.
Questo anniversario non è stato ricordato purtroppo da nessuno, neanche dal comune di Formia di cui il dottor Cicala è stato a lungo Segretario generale, una guida laica rispetto alla stessa politica. Fortunatamente ci sono state due eccezioni: uno dei sei figli viventi del dottor Cicala, la signora Adelaide, ha voluto ricordare il padre con una messa di sufffragio. E ad officiarla è stato un sacerdote un po’ particolare, don Luigino Ruggiero, il cappellano dell’ospedale Dono Svizzero di Formia che ha ricordato l’opera e la figura di Cicala con una messa celebrata in luogo di assoluta sofferenza ed in un orario per molti impossibile, alle sei del mattino.
La seconda nobile eccezione è stata rappresentata da un gesto semplice ma significativo della sezione formiana dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani d’Italia. Il suo presidente Luciano Manca e Franco Meschino, attivo coordinatore del sud pontino della Cgil, hanno voluto ricordare il “partigiano, l’antifascista, l’eroe della Resistenza, il benefattore, il giornalista, il segretario Comunale, lo scrittore, la Croce al Valore Militare e, soprattutto,la persona generosa per 30 anni, a Formia, al servizio dei deboli e degli indigenti depositando un omaggio floreale sulla targa della strada che, portando il nome di Domenico Cicala nel quartiere di San Remigio, il Comune aveva intitolato grazie ad una delibera di consiglio, la numero 13 del 16 febbraio 2011. In ordine cronologico è stata l’ultima iniziativa messa in campo per ricordare Cicala. La penultima risale al 18 gennaio 2001,vent’anni fa, quando, su iniziativa dell’associazione italiana mutilati ed invalidi civili, il Comune di Formia organizzò una cerimonia a lui dedicata per il conferimento di una medaglia alla memoria.
Ma chi è stato e cosa ha rappresentato il dottor Cicala per Formia, per la sua famiglia e negli ambienti sociali e professionali in cui ha operato? Lo evidenzia molto bene nell’intervista video allegata la figlia Adelaide, attuale moglie del dottor Lamberto Dalmazio che del comune di Formia è stato sino a poco più di vent’anni fa apprezzato vice segretario generale.
Originario di Messina dov’era nato l’8 gennaio 1906, il giovane Cicala aveva aderito alle idee socialiste del primo Novecento alimentando la sua formazione umana e politica in senso liberale e antifascista. Sarà proprio in questa direzione che indirizzerà la sua azione umana e professionale quando negli anni tristi della ritirata nazista e dei rastrellamenti tedeschi si troverà a svolgere il suo lavoro di segretario comunale nel comune ciociaro di Filettino che, ai confini l’Abruzzo, fu teatro di una serie di episodi contrassegnati da un’insana crudeltà nazifascista. Nel 1944, proprio nel comune di Filettino, Domenico Cicala con il valido appoggio della moglie, Anna Longo, aveva dato vita nella propria casa ad un vero e proprio punto di riferimento e di aiuto per diversi prigionieri alleati provenienti dal campo di concentramento di Fara Sabina, in provincia di Rieti, diretti al sud. Tra di loro c’erano gli inglesi, il capitano Leslie Pitts, gli ufficiali di Marina Arthur Millinghton e Frank Siton, il francese Emile Journaux, i greci Pantasis e Dimitrio. Cicala era in stretto contatto con il gruppo partigiano che si era formato a Filettino di cui facevano parte il filettinese Giuseppe Latini, nobile figura di patriota, gli ufficiali superiori del Genio Aeronautico: Pietro Noto, Umberto Tolino e Elio Albanesi, i tenenti Stefanelli, Stazio ed altri antifascisti, nonché i fratelli Durante: Mario, Bruno e Faustino. Di questi ultimi, i primi due saranno martiri della Resistenza, uccisi dopo crudelissimi sevizie nei pressi di Avezzano, in provincia de L’Aquila, il terzo sarà internato nel campo di concentramento di Cinecittà da cui riuscirà a fuggire nascondendosi poi a Roma.
Nell’aprile del 1944 un paracadutista italiano di nome Bruno Castellani, che avrebbe dovuto agire per conto degli alleati, fu catturato dai tedeschi a Trevi nel Lazio passando subito alle loro dipendenze e, pur di avere salva la vita, rivelò i nomi di tutti gli antifascisti della zona tra cui quello di Domenico Cicala. Il 1 maggio 1944 Domenico Cicala fu arrestato nel suo ufficio comunale di Filettino e sottoposto ad un primo sommario interrogatorio nel corso del quale gli fu assestato un potente colpo di frusta alla tempia che lo farà sanguinare abbondantemente e gli lascerà per sempre una profonda cicatrice. Il palazzo comunale si trovava a pochi metri dalla sua abitazione. La moglie Anna assistette, in preda alla disperazione, alla cattura del marito, lo vide ammanettato e sanguinante, spinto a forza su una camionetta, presa dall’angoscia urlò e pianse ma contro di lei furono sparati dei colpi dalle Ss, fortunatamente senza alcun esito. Domenico Cicala intanto era stato condotto a Trevi nel Lazio, sempre in provincia di Frosinone, dove fu barbaramente interrogato e percosso per due giorni. Il 3 maggio venne trasferito nel carcere giudiziario di Tagliacozzo dove si decise di fucilarlo il giorno successivo alle ore 16. La moglie Anna intanto si era adoperata in tutti i modi per salvarlo dalla morte presentandosi il 2 maggio con il figlio Alfonso di nove anni davanti l’ambasciatore tedesco Rahn. Il diplomatico si commosse alla vista di questa donna distrutta dal dolore e ai pianti del suo bambino. Al punto che chiese al comandante tedesco degli Altipiani di Arcinazzo di sospendere l’esecuzione e di istruire un processo a cui sottoporre Cicala. Le SS però, aprendosi una fase procedurale, approfittarono per interrogarlo ancora con i loro ben noti tristi metodi.
Così per il povero Domenico seguirono quindici giorni di calvario, sottoposto a crudeli torture. Fu frustato a sangue, percosso sulle palme dei piedi fino a quando furono talmente gonfi da non poter calzare le scarpe; oltre all’assalto di un cane lupo, al guinzaglio degli aguzzini che poi lo ritraevano per evitare lo sbranamento, fu ustionato in varie parti del corpo col sistema di dar fuoco ai peli che vi crescevano. Furono tanto forti i tormenti inflittigli che lo stesso segretario comunale implorò i suoi torturatori di finirlo. Domenico Cicala non rivelò nulla di quanto sapeva e così la mattina del 20 maggio si decise di trasferirlo nel carcere di San Domenico dell’Aquila. Qui conobbe numerosi antifascisti, alcuni dei quali sottoposti a feroci supplizi non sopravvissero all’arresto, in particolare l’abruzzese Alvise Nuccitelli che morì poco dopo la Liberazione per le numerose ferite riportate a seguito delle torture durante gli interrogatori.
Il 24 maggio fu condotto dinanzi al Tribunale Militare dell’Aquila dove fu processato da una corte presieduta da un tenente delle SS e composta da due ufficiali della Werhmacht, dal pubblico ministero e dall’avvocato Ubaldo Bafile per la sua difesa. La sentenza emessa fu di condanna a morte mediante fucilazione per tradimento che riguardò ex militari italiani e prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento. Su duecentocinquanta detenuti del carcere di San Domenico, dodici furono i condannati a morte, tra questi Domenico Cicala e l’ex paracadutista Fioravante Di Marco che purtroppo fu fucilato la mattina del 3 giugno. Ormai sicuro del suo triste destino, Cicala consegnò all’allora Arcivescovo dell’Aquila, Monsignor Carlo Confalonieri, in visita ai detenuti del carcere, una lettera di addio per i suoi familiari, di cui una copia si trova tuttora nell’archivio storico dell’Arcidiocesi dell’Aquila.
Nel giugno del 1944, intanto,l’avanzare della truppe alleate e i loro bombardamenti costrinsero i soldati tedeschi a ritirarsi verso il nord Italia. Per farlo decisero di portare con loro Domenico Cicala e gli altri condannati a morte per l’esecuzione della condanna. La disperazione ed una buona dose di coraggio animarono la volontà di Domenico Cicala che nella notte tra il 12 e il 13 giugno, mentre i soldati di scorta ormai stanchi sonnecchiavano, si lasciò silenziosamente scivolare in un fossato nei pressi di San Pellegrino di Norcia, in provincia di Perugia. L’allarme scattò subito ma i soldati tedeschi inseguitori persero le sue tracce. Il motivo? Domenico Cicala aveva trovato un efficace nascondiglio in un querceto.
Il tempo di un breve riposo che il segretario comunale si mise di nuovo in cammino a piedi in zone liberate. Percorse circa trecento chilometri, passando per alcune località abruzzesi come San Giovanni, Montereale, L’Aquila, dove fu acclamato da partigiani del luogo e ospitato dal collega segretario comunale, olico, Toccafondi, Roccadimezzo e Capistrello. Nella serata del 22 giugno 1944 giunse a Filettino, accolto festosamente dai congiunti e dall’intera popolazione esultante che lo rivedeva tornato al consueto lavoro dopo 53 giorni di torture e tormenti.
Domenico Cicala subito dopo la guerra tornò al suo lavoro, di cui era decisamente innamorato, per conto di diversi comuni laziali. Arrivò a Formia nel 1955, comune di cui guidò la segreteria generale sino al 1967. Nel 1969, poi, ottenne l’iscrizione all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti grazie alla sapiente corrispondenza da Formia e dagli altri centri del sud pontino per conto del quotidiano “Il Mattino” di Napoli.
Sempre a Formia si dedicò per quasi trenta anni ad attività benefiche in aiuto di famiglie povere, indigenti, invalidi e di quanti gli si rivolgevano per chiederle un aiuto. La figlia sottolinea nell’intervista video, cui si affiancano il segretario comprensoriale della Cgil e dirigente dell’Anpi Franco Meshino ed il marito Lamberto Dalmazio, come a Formia “molti ricordano mio padre perché a lui si sono rivolti per una domanda, una pratica da sbrigare, un sussidio ed altri bisogni. A tutti dava ascolto e aiuto a volte anche personale e diretto”.
Interessante il suo diario di una vita scritto nel 1973 con le ultime parole: “Dedico ai giovani questo mio diario affinché si ispirino alla condotta di un uomo che ha inteso la vita come una costante missione di coerenza e di fede”. Un posto di rilievo ha avuto nella sua vita la moglie Anna Longo – le è stata concessa la Croce al merito di guerra – per il suo continuo prodigarsi nell’ospitare e aiutare i prigionieri alleati nonché per la continua lotta sostenuta per salvare la vita del marito. Il Comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, il Maresciallo H.R. Alexander, rilasciò a Domenico Cicala il 16 giugno1947 un attestato di benemerenza con la seguente motivazione: “In segno di riconoscenza per l’aiuto nobile e generoso dato ai prigionieri di guerra alleati dopo la firma dell’armistizio con l’Italia nel settembre 1943”.
Il 2 maggio 1952 con il decreto numero 20, pubblicato poi ulla Gazzetta Ufficiale del 26 gennaio 1953, gli venne conferita la Croce al Valore Militare dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per attività partigiana con la seguente motivazione: “Segretario comunale di un paese sulle montagne di Abruzzo, posto di passaggio per le linee di combattimento, si prodigava con entusiasmo nella lotta di liberazione dimostrando di possedere belle doti di animatore e organizzatore. Tratto in arresto dalle SS germaniche e barbaramente interrogato, manteneva esemplare contegno, nulla rivelando. Condannato a morte, mentre veniva tradotto in altra località, riusciva arditamente ad evadere sotto il fuoco della scorta per subito riprendere la sua attività patriottica. Abruzzo, settembre 1943-giugno 1944”.
INTERVISTA video Adelaide Cicala;Franco Meschino, coordinatore zonale Cgil sud pontino e dirigente sezione Anpi di Formia e Lamberto Dalmazio, ex vice segretario generale Comune di Formia.
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