LATINA / FROSINONE – I tentacoli dello storico clan camorristico della famiglia Moccia avrebbero condizionato, attraverso continui e complicati passaggi societari, la gestione di alcune aziende del nord della provincia di Frosinone che, in precedenza, avrebbero operato anche in provincia di Latina. Il capuologo pontino ma anche Patrica sono menzionati nelle oltre 1900 pagine dell’ordinanza del Gip del Tribunale di Napoli Maria Luisa Miranda notificata dai Carabinieri del Ros nei confronti di 57 persone legate, più o meno direttamente, al clan Moccia di Afragola.
Se per 36 di loro è stata disposta la misura del carcere, 16 indagati sono finiti ai domiciliari e cinque sono destinatari del provvedimento di divieto temporaneo di esercitare attività d’impresa. Le accuse a vario titolo – secondo le risultanze investigative della Dda di Napoli – sono pesanti come un macigno: associazione mafiosa, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione, favoreggiamento, reati aggravati dalla finalità di agevolare il clan Moccia.
L’indagine – si evince dal contenuto di appositi capitoli dell’ordinanza del Gip – ha consentito di acquisire gravi indizi circa l’esistenza e l’operatività dell’organizzazione mafiosa, strutturata verticisticamente ed organizzata su diversi livelli di comando e di competenza territoriale. Secondo il Gip l’organizzazione, guidata dai fratelli Angelo, Luigi e Antonio Moccia (nella metà degli anni ottanta occupavano con la madre, la compianta Anna Mazza, un attico presso l’attuale “grattacielo” in località Acquatraversa a Formia) il loro cognato Fillippo Iazzetta, faceva leva su alcuni imprenditori attivi nel settore del recupero degli olii esausti di origine animale-vegetale di tipo alimentare e degli scarti di macellazione.
Contestualmente agli arresti il Gico, il gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza, ha eseguito ulteriori 2 misure del divieto temporaneo di esercitare attività d’impresa e un decreto di sequestro preventivo d’urgenza di beni mobili, immobili e di quote societarie per un valore di ben 150 milioni di euro.