GAETA – Corruzione, falso e traffico e traffico illecito dei rifiuti furono le ipotesi di reato per quali vennero raggiunti dai clamorosi provvedimenti cautelari e dai sequestri operati (annullati dal Riesame con la conferma successiva della Corte di Cassazione) nell’agosto di cinque anni fa Nicola Di Sarno, l’allora amministratore unico della società di movimentazione di queste merci, la “Interminal srl” di Gaeta, l’intermediario siciliano Andrea Di Grandi ,il commercialista Daniele Ripa di Castrocielo, in provincia di Frosinone, e ben tre società, la stessa “Interminal srl”, la “Ela srl” e la “Di Grandi srl”.
La Procura ravvisò una serie di presunte gravi illegittimità commesse nel corso del tempo – almeno del 2013 – per come sarebbero state gestite 4500 tonnellate di materiali ferrosi che, provenienti dalle province di Latina e Frosinone e dalla vicina Campania, furono raccolti sulle banchine del porto di Gaeta per essere imbarcati alla volta della Turchia.
Le indagini, sulla scorta delle segnalazioni di alcune associazioni e comitati civici, appurarono come fossero state nascoste sotto questa montagna di materiale apparentemente di scarto destinato a finire nelle fonderie turche ben nove tonnellate di rifiuti pericolosi che le piogge ed il vento avrebbero fatto finire addirittura nel mare del Golfo. L’unica condanna emessa dal Tribunale di Cassino ha riguardato l’ex dirigente della filiale di Gaeta dell’ex Autorità portuale del Lazio, Franco Spinosa che, finito all’epoca ai “domiciliari”, è stato condannato a quattro mesi di reclusione relativamente al solo reato di rivelazione di notizie di ufficio. Divulgò il contenuto di una memoria scritta predisposta dalla riunione del comitato portuale del 24 marzo 2014 riguardante l’approvazione del “regolamento di gestione della rete di dragaggio ed impianti tratta-mento acque di prima pioggia e lava ruote e tariffe a base d’asta della selezione della ditta concessionaria del servizio”.
Il suo legale, l’avvocato Vincenzo Macari, ha preannunciato ricorso appello contro la condanna ed il risarcimento danni, per quasi 4000 euro, da liquidare al suo datore di lavoro che lo sospese per un periodo di due mesi dal servizio. La requisitoria del Pm Mattei per gli illeciti amministrativi fu davvero durissima arrivando a chiedere la con-danna alla sanzione pecuniaria di 630 mila euro ai danni della “Interminal”, la confisca del presunto profitto del reato stimata in 685mila euro, di 405mila euro rispettivamente per altre due società legate alla movimentazione di questa merce, la “Ela srl” e la “Di Grandi srl”.
Per la Procura di piazza Labriola chi avrebbe dovuto controllare e vigilare non l’avrebbe fatto e il Pm Mattei chiese una maxi-condanna a sette anni di mezzo di reclusione nei confronti di Franco Spinosa, sei anni di carcere per Nicola Di Sarno, l’allora amministratore unico della società di movimentazione di queste merci, la “Interminal srl” di Gaeta mentre di un anno e cinque mesi di reclusione fu l’entità della requisitoria formalizzata sempre dal rappresentante della Procura rispettivamente nei confronti dell’intermediario siciliano Andrea Di Grandi e del professionista contabile Daniele Ripa. “Porto Sicuro” fu la conclusione di mirati accertamenti avviati, attraverso controlli ed intercettazioni, nel novembre 2013 quando alla Guardia Costiera di Gaeta arrivarono – come detto – segnalazioni circa la presenza presso lo scalo commerciale della città di “rottami ferrosi”.
Gli inquirenti rinvenirono quelli che furono dichiarati corpi estranei che li hanno portati a dubitare della corrispondenza del prodotto dichiarato rispetto a quanto effettivamente conferito in ambito portuale. La vicinanza del prodotto contaminato alle acque del Golfo e la mancata adozione delle necessarie precauzioni, avrebbe comportato il loro “rotolamento” a mare. Oltre alla contestazione dei reati di carattere “ambientale”, la Procura di Cassino, che da meno di due anni era competente sul territorio di Gaeta e del sud-pontino, avviò un altro tipo di indagine per verificare le modalità di assegnazione delle aree portuali, classificate come pubblico demanio marittimo. Secondo gli inquirenti l’Ente pubblico gestore avrebbe applicato tariffe per l’occupazione del pubblico demanio marittimo portuale dieci volte inferiori a quelle previste. Illeciti vantaggi patrimoniali ed amministrativi che sarebbero stati ricambiati dalla società con assunzione a tempo indeterminato di personale indicato dall’ente pubblico.
Il nutrito e agguerrito collegio difensivo – composto dagli avvocati Macari, Bazzoli, Ognibene, Iacono e Visocchi – ha espresso una legittima soddisfazione per il contenuto della sentenza del Tribunale di Cassino che, dopo tre ore di camera di consiglio, “ha completamente sconfessato gli asserti accusatori ridando – ha dichiarato l’avvocato Macari – ampia credibilità a tutte le forze dell’ordine che operano nel porto di Gaeta: la Guardia di Finanza, navale e stanziale, l’Agenzia delle Dogane, l’Arpa, la Polizia Provinciale. Il pronunciamento del presidente Capursio, infine, ha ridato credibilità e dignità ad un gruppo aziendale, l’”Interminal”, ed altre società con cui collabora da tempo. Occupa circa 200 unità operative che, in seguito all’avvio del procedimento penale, ha registrato un calo repentino dell’operatività dell’intero grup-po. Nicola Di Sarno, anche a causa di questa delicata inchiesta, ha deciso si accelerare la sua partenza per Londra dove ha fondato un altro “hub” della sua storica attività imprenditoriale: “Il tempo è un galantuomo … ma le sofferenze e le ferite inferte in queste vicende sono insanabili” – ha concluso con un mix di amarezza e delusione.
Non esiste praticamente più l’operazione “Porto Sicuro” con cui la Procura di Cassino nell’agosto 2015 indagò sette tra dirigenti dell’ex Autorità portuale del Lazio ed imprenditori per aver commesso presunte illegittimità nella gestione dei rifiuti pericolosi sulla banchina del porto commerciale “Salvo D’Acquisto” di Gaeta. La terza sezione penale della Corte d’Appello di Roma ha respinto il ricorso formulato dalla Procura cassinate contro la sentenza d’assoluzione “perché il fatto non sussiste” emessa il 6 febbraio 2020 dal presidente del Tribunale di Cassino Massimo Capurso (a latere Manuel e Gioia),nei confronti dei sette imputati. Occorre attendere 90 giorni per conoscere le motivazioni della sentenza che, dopo due ore di camera di consiglio, ha assoluto perché il fatto non sussiste l’ex dirigente della filiale gaetana dell’ex Authority del Lazio. Franco Spinosa era stato l’unico ad essere condannato due anni fa, a quattro anni mesi per rivelazione di segreto di ufficio. Spinosa divulgò il contenuto di una memoria scritta predisposta dalla riunione del comitato portuale del 24 marzo 2014 riguardante l’approvazione del “regolamento di gestione della rete di dragaggio ed impianti tratta-mento acque di prima pioggia e lava ruote e tariffe a base d’asta della selezione della ditta concessionaria del servizio”. Il sostituto procuratore Alfredo Mattei in sede di requisitoria al termine del processo di primo grado aveva chiesto condanne dai sei anni ai sette anni e mezzo di reclusione per gli indagati. Ora sono usciti definitivamente da questo processo con legittima soddisfazione degli avvocati Olivo, Ognibene, Bazzoli, Zaza d’Aulisio, Vincenzo e Matteo Macari.
“Ci son voluti ben sette anni affinchè io sia stato integralmente restituito alla mia dignità di pubblico funzionario e fedele servitore dello Stato – ha dichiarato Franco Spinosa – ora finalmente dopo anni di ingiuste tribolazioni l’incubo sembra essere finito”.