Cronaca

Cassino / Delitto Serena Mollicone, la lunga requisitoria del sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo [VIDEO]

CASSINO –  Serena Mollicone è stata uccisa tra le 11 e le 11.30 del 1 giugno 2001 nella caserma dei carabinieri di Arce dal figlio del comandante Marco Mottola. I due litigarono in precedenza in auto nei pressi del bar Chioppetelle – Serena doveva andare a scuola a Sora dopo il dentista – e ad avvistarli fu Carmine Belli, arrestato ma assolto in tre gradi di giudizio per essere considerato l’esecutore materiale del delitto. Non ha tradito le aspettative la lunga requisitoria, durata diverse ore, del sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo nella fase iniziale della discussione del processo per il delitto di Arce.

La Procura formalizzerà le sue richieste di condanna nell’udienza di lunedì 4 luglio ma ha già puntato il dito contro il ragazzo biondo “con i capelli mesciati”. La dottoressa Siravo non ha saputo indicare la causa del litigio ma – a suo dire – l’arma del delitto è “oltre ogni ragionevole dubbio” la porta del bagno dell’alloggio sfitto della caserma, a lungo occupato da Francesco Suprano.

“L’unica che potesse dirci chi ha ucciso Serena era Serena stessa ma noi siamo arrivati ad avere una prova scientifica solidissima”. La rappresentante della Procura si è soffermato sulle accurate analisi circa la compatibilità della lesione sul capo della vittima con i segni presenti sulla porta. Non ci possono essere ipotesi. E in quest’ottica è stato chiesto alla Corte d’Assise presieduta da Massimo Capurso a realizzare “un macabro esperimento”, provare a incastrare il calco del cranio di Serena ricostruito in 3D con la frattura nel panello della porta. La Procura ha voluto difendere le sue conclusioni: i frammenti di legno, le tracce di colla e vernice rinvenute sul nastro adesivo con cui è stata imbavagliata e legata Serena e nei suoi capelli fanno ritenere che”l’omicidio è avvenuto all’interno della caserma” e che “la porta – come detto – è l’arma del delitto oltre ogni ragionevole dubbio” .

Il Pm Siravo non ha un movente certo sulla lite tra i due ragazzi ma ha detto di molto credito alla tesi di Guglielmo Mollicone, convinto che la figlia volesse denunciare Marco Mottola per la sua nota attività di spacciatore ma beneficiario dell’immunità garantita dal ruolo del padre. Se l’avvistamento di Belli è stato definito credibile, per il Pm Siravo sono fase le testimonianze di Pier Paolo Tomaselli e Simonetta Bianchi per i suoi tanti “non ricordo” al punto da chiedere la trasmissione degli atti relativi alla loro deposizione per indagarli per falsa testimonianza.

Probabilmente l’omicidio non ci sarebbe stato se Serena non fosse  andata in caserma a ritirare i suoi libri dimenticati nella Y 10 bianca – l’unico esemplare in circolazione ad Arce – a bordo della quale lasciò il bar Chioppetelle. Marco Mottola sapeva di essere nel mirino degli inquirenti e – secondo il Pm Siravo – si sarebbe falsamente fidanzato con Laura Ricci. Si raccomandò dicendole che se fosse stata interrogata avrebbe dovuto rispondere che fu lei a litigare con Marco la mattina del 1 giugno. Il comandante Franco Mottola svolse – secondo la Procura – un ruolo determinante a far ritardare l’inizio delle indagini e a compiere una serie di depistaggi. Il 27 giugno 2001 – 25 giorni dopo il delitto- avrebbe chiesto di dire proprio alla commessa del bar Chioppettelle Simonetta Bianchi di aver visto Serena in una fase successiva al delitto, il pomeriggio dell’1.

Mottola poi andò a fare un sopralluogo al bar Chioppetelle, che si trova nel territorio di Fontana Liri, senza avere alcuna competenza territoriale. Il comandante poi – secondo il Pm Siravo – avrebbe ricevuto da Carmine Belli la notizia di aver visto Serena litigare con il figlio Marco ma non la mise per iscritto cosi come non redasse alcun verbale quando, la notte del 2 giugno, si recò a casa Mollicone per prelevare alcuni oggetti della studentessa in quel momento scomparsa. Per la Procura quelli di Mottola furono depistaggi. Altro che sciatteria! Lo capirono in Procura a Cassino già nell’aprile 2002 che sul conto di Mottola rilevarono il suo “inconsistente apporto investigativo”. Quando il comando provinciale dei Carabinieri di Frosinone fu sul punto di disporre il suo trasferimento, Mottola in maniera unilaterale decise di lasciare il comando della stazione di Arce.

Il ruolo, poi, svolto da Annamaria Mottola, la moglie di Franco e mamma di Marco. La donna tra la mezzanotte e l’una del 2 giugno avrebbe aiutato il marito a disfarsi del corpo di Serena nel bischetto di Fonte Cupa. Lo comproverebbe il traffico telefonico in uscita ed in entrata da casa Mottola, il contenuto degli ordini di servizio e la ricostruzione di un teste che avrebbe visto Annamaria rientrare a casa quando la donna aveva dichiarato di aver trascorso la serata in un bar di Arce in compagnia di alcuni amici di famiglia. Il boschetto di Fonte Cupa, poi, non fu scelto per caso: era distante dal bar Chioppettelle dove ci sarebbe stato il primo litigio tra Marco e Serena. Era meglio non mettere sullo stesso piano il luogo della prima lite e dell’occultamento del cadavere.

Gli ordini di servizio dei Carabinieri, oltre agli inesistenti elenchi delle presenze, furono falsificati. Il motivo? Mottola – secondo la Procura – è rimasto in caserma a fare altro , a reperire il nastro adesivo con fu immobilizzato il cadavere e “a far morire Serena” dopo un’agonia di quasi quattro ore. Serena, se soccorsa in tempo, poteva essere salvata.

Per la riapertura delle indagini nel 2016 sono state determinanti, oltre gli accertamenti medico legali, anche le confessioni del brigadiere suicida Santino Tuzi.

Era preoccupato che gli mettessero le manette “per quello che è successo qua”  – cominciò a vuotare il sacco all’amante Anna Rita Torriero e ai suoi superiori nel primo interrogatorio del 28 marzo 2008 dopo quello del collega Francesco Suprano. Il brigadiere di Sora raccontò di aver ricevuto il 1 giugno di sette anni prima una chiamata dall’alloggio della famiglia Mottola , forse era Marco. Gli preannunciò che sarebbe arrivata una ragazza. Tuzi ricordò quali fossero stati i vestiti  e la borsa a forma di parallelepido con alcune frange che Serena portava(come confermano le sue amiche) ma non fu mai più trovata.

Il Carabiniere prima disse che fosse Serena ma, correggendosi, precisò che potrebbe “essere stata lei”. Dopo quel delitto, la stazione di Arce  – denunciò il Carabiniere – ha perso la memoria.Il 9 aprile 2008 Tuzi prima negò di aver avvistato il 1 giugno Serena. Dopo alcune ore e dopo un colloquio privato con il pm Maria Perna, confermò la versione resa il 28 marzo dicendo di aver visto Serena dai monitor e dalla vetrata. Aggiungendo che “sino a quando sono rimasto in caserma non ho visto uscire nessuno”. Dopo quella  terza dichiarazione Tuzi era piu rilassato.

Secondo il Pm Siravo Tuzi fece quelle dichiarazioni, prima ritrattate e poi confermate, perché temeva di essere arrestato e fare la stessa fine di Carmine Belli. Il Carabiniere (“Se Marco lo schiaffano dentro sono contento”) si tolse la vita l’11 aprile di 14 anni fa e – secondo la Procura – il maresciallo Vincenzo Quatrale – esercitò delle pressioni perché ritrattasse quanto dichiarato in Procura.

“Siamo innocenti” – ha detto l’ex Comandante Franco Mottola lasciando nel tardo pomeriggio di venerdì la Corte d’assise del Tribunale di Cassino. Ha affidato al portavoce del collegio difensivo della sua famiglia, il criminologo Carmelo Lavorino, una durissima dichiarazione poi riproposta nel video allegato: “Siamo profondamente delusi dalla esposizione-requisitoria della pubblica accusa. Ha snocciolato tutti gli elementi sinora contenuti nelle ipotesi accusatorie che sono solo illazioni: nessuna prova, nulla di nulla, sospetti e intuizioni senza riscontri, ricostruzioni fantasiose e incerte. Ha riproposto un movente evanescente e illogico, che cambia di volta in volta; un modus operandi vago; un luogo del crimine impossibile unito a cronologie impossibili e a testimonianze incerte. Non c’è polpa… c’e’ solo la ripetizione di una teoria iniziata grazie al sospetto ed alle maldicenze e sviluppatasi all’interno di un gruppo investigativo che non sa autocorreggersi“.

“Siamo costretti a ripetere – ha aggiunto Lavorino – Sono entrati in un deserto e continuano a starci, un nulla investigativo mischiato col niente scientifico. Non riescono a confutare le nostre consulenze scientifiche, le nostre argomentazioni e le nostre conclusioni. Ribadiamo che la porta non è l’arma del delitto, che Serena mai è stata vista dal brigadiere Tuzi entrare in Caserma quel fatidico 1 giugno 2001, che l’impianto accusatorio è figlio dell’innamoramento di un’intuizione sballata. Un processo iniziato circa quindici mesi con una cinquantina di udienze. Sbagliarono per Carmine Belli che noi facemmo assolvere… – ha concluso il criminologo – continuano a vagare nel deserto”.

Si torna in aula lunedì 4 luglio quando , prima dell’intervento delle parti civili, la dottoressa Siravo terminerà la sua requisitoria con le richieste di condanna.

Domenica 10 luglio, in prima serata su Italia1, a cinque giorni dalla sentenza , andrà in onda lo speciale de ‘Le Iene’ dal titolo ”L’omicidio di Serena Mollicone: un mistero lungo 20 anni”, una puntata interamente dedicata alla tragica vicenda che ruota intorno alla morte della 18enne di Arce. Nel corso della puntata condotta da Veronica Ruggeri, contenuti inediti, testimonianze di tutti i principali protagonisti, indagini, ricostruzioni e tutti gli aggiornamenti sul caso.

INTERVISTA video Carmelo Lavorino, portavoce collegio difensivo famiglia Mottola

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