CASSINO – Nei confronti della famiglia Mottola è stata attuata da 21 anni a questa partte una campagna di odio a fronte di alcune certezze della Procura, tutt’altro che granitiche, veicolate dai media.
Destinatario di una richiesta di condanna a 30 anni di reclusione, l’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Arce Franco Mottola ha rinnovato la sua totale estraneità all’omicidio di Serena Mollicone. Ha affidato la sua posizione all‘arringa dell’avvocato Enrico Meta che, sollecitando l’assoluzione piena per il suo assistito, ha concluso, di fatto, la prima delle due giornate davanti la Corte d’Assise del Tribunale di Cassino dedicate alle difese dei cinque imputati sotto processo. Per Mottola è stata “troppo generica” la formulazione del capo d’imputazione ai suoi danni. Ha fatto sapere, inoltre, di non aver avuto alcuna responsabilità sui depistaggi ed omissioni compiute subito dopo il delitto e ha specificato come le sue indagini e ricerche siano state promosse da un livello superiore a quello della stazione che guidava. Il traffico telefonico, in entrata ed in uscita dall’abitazione della famiglia Mottola, al termine di una giornata definita “normale”, scagionerebbe Franco e la moglie Annamaria dall’accusa – e l’ha sottolineato l’avvocato Meta nell’intervista video allegata – di aver abbandonato nel boschetto di Fonte Cupa tra la mezzanotte e l’una del 2 giugno 2001 il corpo di Serena uccisa dal figlio Marco.
Dopo la durissima requisitoria formulata dai pm Siravo e Fusco, anche gli avvocati Francesco Candido e Paolo D’Arpino hanno chiesto nelle loro arringhe l’assoluzione perche il fatto non sussiste nei confronti del maresciallo Vincenzo Quatrale. Il militare era accusato di aver falsificato gli ordini di servizi per dimostrare la sua presenza all’esterno della caserma dei carabinieri di Arce nelle ore in cui Serena veniva aggredita ed uccisa nella stazione. A loro dire la Procura di Cassino – e lo ribadiscono anche loro nell’intervista rilasciata dopo l’intervento in aula – non è riuscita ad accertare la falsità degli ordini di servizio. E’ dimostrabile, invece, che Quatrale la mattina del 1 giugno 2001, in compagnia del compianto Santino Tuzi, abbia effettuato alcune notifiche a domicilio e, in particolare, Quatrale si sia recato all’ufficio postale di Colfelice per effettuare il pagamento di un bollettino. Che gli ordini di servizi non siano falsi – l’hanno ricordato i due legali- l’ha ricordato in udienza l’ex comandante provinciale dei Carabinieri di Frosinone, il generale Luigi Sparagna, secondo il quale questi atti interni di una caserma “possono essere imprecisi ma non falsi”. Insomma “non sono da considerare alla stessa stregua di un Vangelo”.
Il Maresciallo Quatrale con Tuzi, poi, non aveva alcun tipo di rapporto personale. Anzi, in considerazione del clima ostile che si respirava da tempo in caserma, svolgeva il suo lavoro e “non vedeva l’ora di andare a casa” . Quatrale ha fatto esternare in aula quella che ritiene la sua unica colpa: di aver delegato il brigadiere Tuzi a completare la compilazione degli ordini di servizio del 1 giugno 2001. La Procura aveva sollecitato, invece, la condanna a 15 anni di reclusione per Quatrale nonostante la richiesta della Procura di riqualificare l’originario capo d’imputazione di istigazione al suicidio di Santino in omicidio colposo, reato peraltro prescritto.
Secondo la sua difesa, Quatrale fu comandato dai suoi superiori , sulla scorta di un decreto di intercettazione della stessa Procura di Cassino, a verificare la veridicita’ delle dichiarazioni di Santino Tuzi circa la presenza di Serena la mattina del 1 giugno 2001. La difesa di Quatrale ha rinnovato le censure avanzate in precedenza dal collegio difensivo di Francesco Suprano circa, invece, la mancata azione di filtro che avrebbe dovuto svolgere il Gup Domenico Di Croce in sede di udienza preliminare dopo le richieste di rinvio a giudizio avanzate dallo stesso pm Siravo.
Per Suprano – e l’hanno rimarcato i suoi legali, gli avvocati Cinzia Mancini ed Emiliano Germani – è stato disposto un secondo processo e sempre per lo stesso reato, il favoreggiamento, quando il Gup Valerio Lanna nel 2016, su richiesta della Procura, dispose l’archiviazione del suo procedimento. Anzi, l’appuntato originario di Itri ha sempre dimostrato collaborazione con gli inquirenti mettendo a disposizione nel 2008 la porta rotta del bagno dell’alloggio sfitto che, occupato dallo stesso Suprano, e’ considerato il luogo del delitto di serena.
In concomitanza dell’inizio della discussione delle difese c’è stato un sit di alcune volontarie del centro anti violenza di Fiuggi “Fammi rinascere” perché quello di Serena è stato un femminicidio e, pertanto, vadano individuati e puniti i suoi responsabili.