CASSINO – Ce l’abbiamo messa tutta. Ma su uno dei misteri d’Italia si continuerà a perseguire la verità. Il “day after” della sentenza della Corte d’Assise del Tribunale che ha assolto i cinque imputati per il delitto di Serena Mollicone è iniziato con un comunicato partito non molto lontano dall’aula in cui alle 19.28 di venerdì’ sono stati assolti per non aver commesso il fatto l’ex comandante della Stazione dei Carabinieri di Arce Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria l’ex maresciallo Vincenzo Quatrale e l’ex appuntato (originario di Itri) Francesco Suprano.
Questo verdetto letto dal presidente del Tribunale di Cassino Massimo Capurso ed emesso dopo una camera di consiglio durata oltre otto ore in collaborazione con il giudice a latere Vittoria Sodani e otto giudici popolari è apparso una legnata sui denti per gli uffici della Procura che, a distanza di 14 anni esatti dalla prima assoluzione di Carmine Belli, ha dovuto incassare una sconfitta sul piano investigativo relativamente al delitto consumato venerdì 1 giugno 2011.
Il Procuratore capo Luciano D’Emmanuele ha voluto vestire i panni dell’anti Schettino: il comandante è l’ultimo ad abbandonare una nave in difficoltà. Una manifestazione d’intenti che aveva anticipato, forse un po’ scaramanticamente, quando ha deciso di sedersi vicino ai sostituti Procuratori Maria Beatrice Siravo e Carmen Fusco al momento della lettura della sentenza. Il verdetto della Corte è stato assolutamente negativo rispetto al ruolo e all’attività investigativa dalla sua Procura ma D’Emmanuele ha fatto sapere che quello terminato nel tardo pomeriggio di venerdì nell’infuocata aula (sotto il profilo meteorologico ed ambientale per riguarda l’ordine pubblico) è stato un primo round cui ne faranno seguito altri due come ogni match di pugilato nei tornei olimpici.
La Procura, evitando di alimentare qualsivoglia polemica, ha dovuto “prendere atto” della decisione che la Corte d’Assise “ha scelto nella sua libertà di determinazione”. Per il suo capo la Procura di piazza Labriola ha “offerto tutto il materiale probatorio che ha raccolto in questi anni tra tante difficoltà”. Insomma la Procura “non poteva fare di più”. Un sentimento di rammarico D’Emmanuele lo esterna quando sostiene che “gli elementi a sostegno dell’accusa hanno superato l’esame dell’udienza preliminare (dove a decidere era stato un solo giudice togato, l’ex Gup Domenico Di Croce, ndr). Il contradditorio tra le parti – ammette D’Emmanuele – nel corso delle numerose udienze celebratesi davanti la Corte evidentemente ha convinto i giudici circa la non colpevolezza degli imputati”.
“Sarà interessante leggere le motivazioni sulle quali si farà un analatico e scrupoloso esame per proporre le ragioni dell’accusa innanzi al giudice superiore (la corte d’Assise d’appello). Questo procuratore e tutti i sostituti ringraziano la dottoressa Siravo per il grande impegno che ha manifestato nel corso delle indagini e la giovane collega Fusco per l’attenta e scrupolosa partecipazione alle udienze” – ha concluso D’Emmanuele.
Il presidente della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino Capurso ha annunciato che entro i prossimi 90 giorni saranno rese note le motivazioni della sentenza che ha mandato assolti i cinque imputati sinora ritenuti coinvolti, direttamente e non, nell’omicidio di Serena all’interno della Caserma dei Carabinieri di Arce. Il ricorso della Procura sarà deciso dallo stesso D’Emmanuele che nei prossimi mesi: dovrà lasciare l’incarico per sopraggiunti limiti d’età? E quale sostituto procuratore dovrà assumersi la responsabilità di proporre appello in secondo grado dal momento che la dottoressa Siravo da mesi presta servizio presso la stessa Corte d’Appello?
A maturare la convinzione che in autunno inizierà un’altra partita nel giudizio di secondo grado è la famiglia Mottola. Dopo essere finiti in diversi tentativi di aggressione subito dopo la lettura della sentenza della Corte d’Appello, Franco, Marco e Annamaria al grido di “assassini, vergogna, siete stati voi!” con i rispettivi legali ed il criminologo di fiducia sono stati costretti a rifugiarsi in un bar di piazza Labriola in attesa del rafforzamento del servizio d’ordine da parte di Carabinieri e Polizia.
Trascorrevano alcuni minuti e gli ex principali imputati del processo appena terminato davano appuntamento ai cronisti presso il ristorante “Il Boschetto”. C’erano gli avvocati Francesco Germani, Enrico Meta, Mauro Marsella (assente giustificato l’avvocato Piergiorgio Di Giuseppe) ma non altri due assolti, Vincenzo Quatrale e Giuseppe Suprano, quest’ultimo rappresentato dall’avvocato Cinzia Mancini. Rinnovando la loro innocenza, Franco, il figlio Marco e la moglie Annamaria hanno avanzato una richiesta: di non aver puntati addosso i riflettori dei media e di ritrovare, “ma non sappiamo se sarà facile”, un “po’ di serenità”. Insomma hanno chiesto di “essere dimenticati” e cercare di “fare – hanno puntualizzato Franco e la moglie Annamaria – le cose che aspettano a due nonni”.
Carmelo Lavorino sul piano investigativo è andato oltre: ha accusato la Procura di essersi “innamorata” di una pista che, farcita di soli indizi e congetture, “non avrebbe portato da nessuna parte. Come peraltro si è verificato”. Lo stesso Crimilongo ha aggiunto che se, fosse interpellato dall’autorità inquirente (“se fosse, sarebbe la prima volta”) , suggerirebbe quale pista intraprendere per conoscere il nome dell’autore di questo delitto: “E’ molto più facile di quanto si creda – ha aggiunto – Ma c’è bisogno solo di rigore scientifico che sinora è mancato”.
Lavorino ha annunciato che saranno adottate iniziative legali nei confronti di “tutte le persone che venerdì sera, dopo la giustissima sentenza di assoluzione, hanno aggredito verbalmente, fisicamente e psicologicamente la famiglia Mottola, gli avvocati, alcuni miei collaboratori e il sottoscritto, tanto che sono intervenute le Forze dell’Ordine. Fra poco presenteremo un esposto-querela alla Procura di Cassino con la richiesta di individuare i responsabili e i loro mandanti e di punirli. Questo è il risultato del clima d’odio creato ad arte dal comitato d’affari del Giallo di Arce – così l’ha definito – e di qualche soggetto nemico della verità e del vivere civile. Denuncio il tentativo di linciaggio e di giustizia sommaria. Mi auguro che nel frattempo la Procura di Cassino, già al corrente dell’accaduto, stia acquisendo i filmati e le fotografie per agire”.
Il professor Lavorino è andato oltre: ha denunciato “gli insulti, le offese e le intimidazioni rivolte ai Giudici togati e popolari che hanno assolto i cinque imputati, ulteriore esempio del clima di intolleranza, di minaccia e di violenza creato ad arte.”
Arce, all’indomani della sentenza di assoluzione dei cinque imputati, si è svegliata attonita, incredula e, per certi versi, rassegnata. Una conferma si è avuta nella serata di venerdì. Mentre i Mottola incontravano i cronisti in una conferenza stampa “che a prescindere dalla decisione della Corte d’Assise si sarebbe svolta comunque”, soltanto un piccolo gruppo di cittadini ha partecipato nel boschetto di Fonte Cupa a quella che sarebbe dovuto essere una fiaccolata. Nel luogo dove fu trovato il cadavere di Serena il 3 giugno di 21 anni fa è stato acceso un lumino e poi tutti via con poca voglia di parlare e di commentare la sentenza del Tribunale di Cassino.
“Se è vero che le sentenze vengono emesse a nome del popolo italiano, sicuramente non mi ritengo di farvi parte” aveva tuonato Maria Tuzi, la figlia del brigadiere suicida Santino che aveva assistito alla lettura della sentenza insieme alla madre e al legale di parte civile Elisa Castellucci. Maria subito dopo aveva inseguito l’ex appuntato Francesco Suprano, sinora sotto processo per favoreggiamento, chiedendogli di “dire tutta la verità”. L’avvocato Mancini: “Maria, questo non è un circo”. La piccata e velenosa della figlia del Carabiniere di Sora:”Certo, non è un circo! Vorrei vedere voi al posto nostro. Dovete dire la verità”.
Nelle ore precedenti a piombare nel Tribunale di Cassino per portare la solidarietà alla famiglia Tuzi e a quella di Serena Mollicone erano stati Valerio e Marina Conte, genitori di Marco Vannini ucciso nella primavera 2015 dall’ex ispettore di Polizia Antonio Ciontoli, da quello che sarebbe dovuto diventare suo suocero: “Come nostro figlio, anche Serena e suo padre, che purtroppo non c’è più, meritano giustizia”. Che è arrivata per tre famiglie ma non per quelle Mollicone e Tuzi.
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