LATINA/ FROSINONE – I tentacoli dal crimine organizzato nel nevralgico settore agricolo regionale e, più specificatamente, nel caporalato, nel lavoro nero e nella ristorazione. Li ha illustrati giovedì la Coldiretti Lazio illustrando il suo rapporto annuale presso il Palazzo Rospigliosi a Roma, realizzato dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, in collaborazione con la Regione Lazio e il Ministero della Transizione Ecologica. Il documento analizza il fenomeno dell’illegalità e criminalità nelle filiere agroalimentari e nell’ambiente delle Province del Lazio e ne è scaturito uno spaccato inquietante acuito dalla pandemia non ancora alle spalle. Nel Lazio si stima un tasso usuraio medio del 120% annuo anche nel comparto agricolo con un giro d’affari complessivo pari a 40 milioni di euro. Un dato che è molto più alto nella Provincia romana e di Latina, rispettivamente di 15 milioni e mezzo e 13 milioni, rispetto a quella di Frosinone dove il giro d’affari è di 2 milioni .
Il settore agricolo è una delle voci più importanti del Pil Laziale: 50 mila le imprese presenti, che forniscono lavoro a 70 mila addetti, tra occupati nelle coltivazioni agricole e negli allevamenti, nei servizi e nelle industrie alimentari, sia in termini di qualità e tipicità dei prodotti. Ma a dettare è la camorra con 85 aziende confiscate, pari al 26,4% del totale.
Il suo principale ‘core businnes’ – si legge nel rapporto – è quello della ristorazione, che rappresenta tra bar e ristoranti il 58,5% degli affari criminali. Un focus importante è stato svolto anche sul caporalato e sullo sfruttamento del lavoro con un’alta concentrazione di casi soprattutto nella provincia pontina ed in quella romana. Gli occupati nel settore agricolo nel Lazio – si legge nel rapporto – annualmente registrati negli archivi dell’Inps ammontano nel 2019 – ultimo dato disponibile- a 45.236 unità, come rilevato dai dati elaborati dal Ministero delle Politiche Agricole.
Il sistema occupazionale che ne deriva mostra la prevalenza del lavoro svolto a tempo determinato su quello a tempo indeterminato, appannaggio, in maniera preponderante, delle maestranze di origine immigrata (comunitaria e fuori europea), superando in questo caso, seppure leggermente, il 90% degli impiegati. La restante quota svolge attività a tempo indeterminato (1.262 unità sul totale complessivo di 25.348). La distribuzione degli occupati a livello provinciale, a prescindere dalla nazionalità, vede 20.824 occupati – il 46% dei 45.236 occupati in Regione – nella Provincia di Latina, 2.006 lavoratori (4,4%) in quella di Frosinone. Per quanto riguarda il genere, il 72,5% degli occupati sono uomini e il restante 27,5% donne. I lavoratori agricoli sul territorio laziale sono soprattutto romeni, marocchini e albanesi, ma è anche significativa, soprattutto in Provincia di Latina, la presenza di indiani (soprattutto quelli provenienti dal Punjab), nonché tunisini e bengalesi. Per i braccianti sfruttati e vittime di caporalato si va da lunghi orari di lavoro giornaliero alla bassa retribuzione, che è in genere minore di circa un terzo/la metà, dunque intorno ai 500-700 euro invece di circa 1.100-1.200, senza nessuna considerazione per le competenze professionali. La presentazione del dossier ha promosso un dibattito a cui hanno partecipato, tra gli altri, il magistrato Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio Agromafie; il Vice Presidente della Regione Lazio, Daniele Leodori mentre a chiudere i lavori il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri.
“La crisi sociale ed economica determinata dalla Pandemia – ha spiegato proprio il presidente Granieri – ha avuto un impatto devastante sul comparto agroalimentare. Le inevitabili chiusure per lunghi periodi imposte dal lockdown hanno pesato su ristoranti e bar, mentre l’inflazione ha fatto lievitare i prezzi del cibo e il costo delle materie prime è notevolmente aumentato con una deflazione nei campi. Aspetti che hanno contribuito alla crescita di fenomeni come l’usura e hanno creato terreno fertile per le organizzazioni criminali che hanno sfruttato le difficoltà economiche di chi lavora in questo settore. E’ fondamentale continuare a svolgere un attento monitoraggio così come la Fondazione Osservazione Agromafie sta facendo, mantenere alta l’attenzione sui fenomeni mafiosi e svolgere azioni investigative e giudiziarie di contrasto”. in effetti la crisi economica causata dal Covid 19 ha consentito alle mafie di radicarsi ancor più soprattutto nel settore della ristorazione, principalmente approfittandosi delle attività in difficoltà. La filiera agromafiosa, che condiziona il sistema di produzione agricolo e con esso l’intero network imprenditoriale collegato, coinvolge da tempo – come detto – anche la ristorazione.
“La Fondazione Osservatorio agromafie – ha concluso il presidente del Comitato scientifico, il magistrato Gian Carlo Caselli – ha cercato negli ultimi anni di svolgere un’approfondita analisi per mettere in luce i progressi, ma anche quelli che sono gli elementi di criticità che ancora permangono lungo la filiera agroalimentare”.