CASSINO – Il delitto di Serena Mollicone continua ad aleggiare come un fantasma. Nonostante una sentenza di proscioglimento. Due dei cinque ex imputati (peraltro i più importanti) Franco e Marco Mottola, l’ex comandante della Stazione dei Carabinieri di Arce ed il figlio, hanno presentato disgiuntamente due querele davanti la Procura della Repubblica di Cassino chiedendo di perseguire penalmente dodici persone con le ipotesi di reato di diffamazione e falso. Si tratta per lo più di soggetti che vennero intervistati dalla trasmissione Mediaset “Le Iene” nell’ambito di una discussa e lunghissima puntata che andò in onda nella notte tra il 10 e l’11 luglio scorsi.
La puntata finì nell’occhio del ciclone perché, pur essendo una replica, fu inserita nel palinsesto di Italia 1 a cinque giorni dalla sentenza della Corte d’Assise che prosciolse gli allora cinque imputati per il Giallo di Arce del 1 giugno 2001 e per l’istigazione al suicidio – avvenuto il 9 aprile 2008 – di Santino Tuzu, il brigadiere che dichiarò dopo sette anni ai Pm della Procura di Casssino di aver notato “una ragazza” , Serena Mollicone, entrare la mattina di venerdì’ 1 giugno 2001 nella caserma di Arce per non uscirne più. Per il portavoce del pool di difesa della famiglia Mottola, il criminologo Carmelo Lavorino, le 12 persone interviste dai redattori de “Le Iene” avrebbero propalato, nell’immediata vigilia della sentenza letta dall’ex presidente del Tribunale Massimo Capurso, “pubbliche dichiarazioni considerate diffamatorie, false e pretestuose. Si tratta di affermazioni che, di fatto, erano state smentite anche nel corso del procedimento e quindi rivelatesi non veritiere”.
La decisione dell’ex comandante dei Carabinieri di Arce Franco Mottola e del figlio Marco di chiedere un’apertura di un’inchiesta sulla bontà di quella puntata de “Le Iene” è stata formalizzata in questi giorni entro il termine massimo, 90 giorni, per la presentazione di una querela di parte. Potrebbe avvenire la stessa cosa nelle prossime ore anche per quanto riguarda le presunte responsabilità in relazione ai tafferugli scoppiati nel tardo pomeriggio del 15 luglio scorso in piazza Labriola a Cassino quando, subito dopo la lettura della sentenza di assoluzione dei cinquie imputati, ci furono minacce e tentativi di aggressione di cui furono destinatari soprattutto Franco, Marco e Annamaria Mottola e proprio il professor Carmelo Lavorino.
Intanto, dopo la decisione delle parti civili di non commentare la proroga di 90 giorni chiesta ed ottenuta dal giudice latere Vittoria Sodani per rendere note le motivazioni della sentenza di assoluzione per il processo per la morte di Serena Mollicone e per l’istigazione al suicidio del brigadiere di Sora interviene nel dibattito che ne è scaturito uno dei legali del collegio difensivo dei cinque ormai ex imputati. Ai tre componenti della famiglia Mottola si aggiunsero due Carabinieri in servizio il 1 giugno 2001 presso la stazione di Arce, Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. L’avvocato Mauro Marsella – come si ricorderà – fu uno degli ultimi legali ad intervenire con un’appassionante ed articolata arringa con cui chiese ai giudici, togati e popolari, della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino l’assoluzione per le cinque persone sotto processo. E così fu il 15 luglio scorso.
“Ritengo che la richiesta di proroga del termine per il deposito delle motivazioni della sentenza da parte della Corte d’Assise di Cassino sia dovuta – esordisce l’avvocato Marsella – alla corposa mole dell’articolata e complessa istruttoria che ci ha visto impegnati per circa sedici mesi e per confutare tutti gli elementi che la pubblica accusa ha tentato di portare a carico degli imputati, nessuno dei quali è stato evidentemente provato. Abbiamo infatti dimostrato, attraverso una prova documentale, che Santino Tuzi fu minacciato di un male ingiusto da un suo superiore nel caso in cui non avesse confermato l’ingresso di Serena in Caserma come avevano fatto altri testimoni, altri testimoni che in realtà non c’erano, tanto che per quelle minacce egli sporse querela contro quel suo superiore”.
“Abbiamo dimostrato – ha aggiunto l’avvocato Marsella –. la totale inattendibilità, attraverso i nostri consulenti, delle prove scientifiche portate dalla Procura di Cassino e che il movente tanto sbandierato dalla Procura non esiste. In questo processo c’è stata quindi un’unica certezza: nessuna delle numerose impronte digitali rinvenute sul corpo della povera vittima appartiene ai signori Mottola. Per questa grande mole di lavoro e per i numerosi aspetti affrontati la Corte d’Assise di Cassino ha comprensibilmente chiesto e ottenuto una proroga del termine per depositare le motivazioni della sentenza. Noi, fiduciosi dell’ottimo lavoro che sta facendo la magistratura giudicante, rimaniamo in paziente attesa”.
Per il deposito della sentenza il termine fissato dal Presidente vicario del Tribunale di Cassino Massimo Pignata scadrà l’11 gennaio 2023 – per conoscere le motivazioni della sentenza con cui erano stati assolti, tra le polemiche, i cinque imputati. Devono attendere le parti civili prima di proporre sicuramente ricorso davanti la Corte d’Assise d’appello di Roma e questo rinvio era stato motivato dal presidente Pignata “in considerazione dell’imponente istruttoria dibattimentale svolta nonché per la delicatezza e complessità delle imputazioni e delle questioni affrontate”.