SUD PONTINO – C’è una chiesa antichissima che, costeggiando la strada Appia, ai confini dei comuni di Formia, Gaeta e Itri, potrebbe, se recuperata, riscrivere la storia della stessa Chiesa sul territorio del Golfo nella seconda metà del ‘400. Ma bisogna fare in fretta perché questo edificio, lambito ogni giorno da ignari automobilisti, rischia di finire in polvere a causa di un lento ed inarrestabile abbandono.
La “chiesa diruta” nei pressi della tomba di Cicerone, se interessata da un progetto di rilancio architettonico, potrebbe anche svelare molti aspetti per avere ospitato l’antichissimo culto in onore di San Rocco che, particolarmente caro ai viandanti e ai pellegrini diretti a Roma, è stato misteriosamente delocalizzato nella chiesa di San Sebastiano, nel cuore del quartiere di Castellone, più conosciuta ai formiani come la chiesa di San Rocco. Anche questa struttura, benchè si trovi nel centro urbano di Formia, è stata interessata da non pochi fenomeni di abusivismo e da graduali saccheggi più o meno leciti. Questo duro j’acuse è contenuto in un studio, che non fa sconti a nessuno, dall’architetto Salvatore Ciccone, lo storico dirigente della sezione formiana dell’Archeoclub e “appassionato del territorio” giunto ora a quella che potrebbe essere considerata un’autentica scoperta.
Ha articolato il suo studio visionando alcuni disegni che il filologo Pasquale realizzò nel 1847 a distanza di alcune settimane gli uni dagli altri. Sono conservati presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma che rappresentano un tratto della via Appia presso il bivio della via Canzatora in direzione di Formia. La carreggiata appare limitata da un fabbricato ‘diruto’ ma caratterizzato da un pregevole portale: nel primo è annotata la dicitura “Scansatoia 20 feb° 47”, nel secondo quella “Casa di Polito alla Scansatoia” (cognome del possibile proprietario del manufatto), chiesa diruta 14 marz° 47”.
Ma cosa è la Scansatoia? E’ l’attuale via “Canzatora”, definita anche “Spartitora d’Itri” nel ‘700, strada che consentiva il diretto collegamento tra il mare di Vindicio, l’entroterra e dunque, con il centro abitato di Itri. Che quel manufatto sia stato un edificio culto, magari una chiesa campestre a servizio di tanti agricoltori e pellegrini in viaggio con destinazione l’urbe – a pianta rettangolare all’incirca di 15 metri lungo la via Appia e di 8 metri nell’interno – non ci sono più dubbi. Le ricerche dell’architetto Ciccone hanno appurato come i resti, degradati, della “chiesa diruta” siano “effettivamente rispondenti ai disegni di Mattej ma nulla è emerso sulla sua identità, né dai documenti, né dalla toponomastica locale.
La chiesa sarebbe stata costruita nella seconda metà del 1400 implicando forse il coinvolgimento dei Francescani di stanza a Gaeta, il regno degli Aragona e un possibile conflitto con l’abbazia di Sant’Erasmo di Castellone. Ciccone arriva ora ad ipotizzare che la chiesetta costeggiante la strada Appia ospitasse il culto in onore di San Rocco che, nativo di Montpellier intorno al 1350, arrivò in pellegrinaggio in Italia curando miracolosamente gli infetti della peste che imperversava l’Europa e di cui fu vittima a Voghera il 16 agosto 1379. Il culto di S.Rocco si propagò subito risultando un santo assai invocato con l’edificazione di chiese e cappelle già alla metà del secolo successivo.
Secondo l’architetto Ciccone la devozione per il patrono dei pellegrini – iconosticamente è raffigurato nelle vesti di pellegrino intento a curarsi le piaghe – è stata sostenuta dai frati di Assisi ai quali nel 1547 Papa Paolo III inserì nel loro Martirologio San Rocco in quanto ritenuto appartenente al Terz’Ordine Francescano. E ironia della sorte il monastero di Sant’Agata sull’omonimo colle di Gaeta, fu retto proprio dal Terz’Ordine Francescano. Il culto per San Rocco è stato interrotto a causa di un evento storico che ha funestato tragicamente Gaeta e l’intero sud pontino. La dominazione Aragonese venne interrotta con la discesa in Italia del sovrano francese (e cattolico) Carlo VIII: nel 1495 saccheggiò Gaeta e depredò il suo patrimonio architettonico e religioso. Il bottino venne caricato su alcune navi ed una naufragò davanti il mare di Terracina.
Per l’architetto Ciccone la chiesa “diruta” e la torre di vedetta posizionata dagli spagnoli all’estremità dell’attuale tomba di Cicerone non furono risparmiate dalla furia bellica dell’esercito di Carlo VIII. Probabilmente si decise “in questo momento di trasferire il culto di San Rocco nella chiesa di San Sebastiano nella rocca di Castellone – ha specificato l’architetto Ciccone – Forse fu un’occasione per far decadere la chiesa periferica dell’Appia destinandola ad altro impiego, anche a frantoio come indica una pietra nei muri d’ampliamento”. Anche la storia della chiesa di San Sebastiano – poi trasformata in chiesa di San Rocco – ha conosciuto non poche vicissitudine quando fu costruita tra il 1470 ed il decennio successivo davanti alla porta meridionale di Castellone, detta più recentemente dell’Orologio.
Dopo il furto di qualche anno fa del trittico raffigurante San Sebastiano a sinistra, la Madonna al centro e San Rocco a destra e poi recuperato dai Carabinieri, il dipinto non è stato ancora ricollocato sull’altare principale. Perché? La chiesa di Castellone, che deve fare i conti paesaggisticamente con pertinenze realizzate più o meno legalmente da confinanti cittadini privati, è alle prese con un grave decadimento quando il restauro è stato realizzato soltanto nel 2001 benché tenuta aperta, si osserva un decadimento della stessa dalla Inner Wheel Formia-Gaeta, allora dinamicamente presieduta dalla compianta professoressa Paola Fabiani.
Ma l’architetto Ciccone nel suo studio ha lanciato un monito a tutte le istituzioni competenti invitandole a “considerare” lo stato del rudere della “chiesa diruta” “unica testimonianza certa di un culto e di non secondaria importanza. E’ vittima di un serio stato di degrado e il prossimo al cedimento di alcune sue parti che potrebbe causare anche incidenti gravi al traffico viario. Questa urgenza nell’apparente banalità dei resti potrebbe essere il pretesto di una facile risoluzione di abbattimento, cancellando definitivamente la memoria di questo sito sacro. Per la sua valenza storica la sua azione di recupero e di rilancio non è addebitabile ai suoi attuali proprietari (sarebbero addirittura quattro) ma credo spetti al Comune di Formia e direi anche a quello di Gaeta sulla via che ne separa i rispettivi territori.
“La conoscenza del nostro patrimonio deve motivare la necessità della conservazione e la considerazione della cultura – ha concluso l’architetto Ciccone – come base di ogni espressione della società civile. Per questo è proprio nell’attuale difficile situazione che questo principio debba essere sostenuto a fronte dell’incredibile sfaldamento di ogni certezza. Nello specifico caso si aggiunge la fede e comunque il dovuto rispetto verso il sacro che si spera possa essere ulteriormente determinante”.
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