LATINA – Sta facendo discutere (e tanto) un post che l’ex consigliere regionale del Pdl Gina Cetrone ha pubblicato all’indomani della pesantissima condanna infertale dal presidente del Tribunale di Latina Caterina Chiaravellotti a sei anni e mezzo di reclusione con le accuse di estorsione con metodo mafioso e di aver maturato contatti con esponenti del clan Di Silvio, incaricato di attaccare imanifesti elettorali della stessa Cetrone, alle amministrative del comune di Terracina nel 2016. Aveva ricevuto la stessa condanna l’ex marito dell’imprenditrice originaria di Sonnino, Umberto Pagliaroli al termine di un processo che, nell’ambito dell’operazione “Schegge”, aveva visto recepire le richieste di condanna formulate dai Pm della Dda di Roma Luigia Spinelli e Corrado Fasanella.
Gina Cetrone martedì pomeriggio aveva lasciato in lacrime il palazzo di giustizia di piazza Buozzi ma all’indomani in un post sulla sua pagina facebook ha attaccato un po’ tutti. Innanzitutto i giudici che hanno pronunciato al termine di un processo istruito dall’antimafia romana la sentenza di condanna ( riguardante anche Armando “Lallà” e Gianluca Di Silvio, per loro è arrivata la condanna a 4 e 8 anni e mezzo di carcere), i magistrati che – come detto – hanno sostenuto l’accusa, i poliziotti che sono stati sentiti come testimoni e naturalmente i giornalisti che hanno seguito il processo.
Tutte queste componenti – secondo la Cetrone – fanno parte di “una vera e propria associazione per delinquere”. L’ex consigliera regionale del Pdl non è stata tenera nei confronti dei cronisti. “….che si rinchiudono nelle stanze dei pm raccontando ciò che i pm vogliono far scrivere, senza riportare quanto dichiarato dai testimoni stessi della pubblica accusa…”.
Altrettanto duro è stato il commento messo per iscritto sul sito dell’associazione “Articolo 21”, la collega Graziella Di Mambro. Ha definito quelle della Cetrone “affermazioni molto gravi in spregio alla libertà di stampa e relative peraltro ad un processo seguito da più cronisti, con resoconti fedeli resi possibili anche grazie alla disponibilità del Tribunale di Latina che ha consentito l’accesso ai giornalisti anche durante le restrizioni da pandemia, diversamente da tanti altri uffici giudiziari. Ciò in considerazione proprio della delicatezza degli ormai molti processi per fatti di mafia che si tengono in quella sede”.
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