Come mai ultimamente diventa sempre più difficile avere notizie sulle inchieste in corso, e su ciò che succede nelle procure? Perché i giornalisti hanno protestato nei giorni scorsi davanti ai tribunali di Latina, Frosinone e Cassino? Il diritto all’informazione viene prima o dopo di quello alla privacy? Sono questi alcuni degli interrogativi a cui ha provato oggi a dare risposta il magistrato Eugenio Albamonte (già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati), chiamato a relazionare nel corso di un webinar sulle minacce ai giornalisti promosso dall’osservatorio “Ossigeno per l’informazione” con la partecipazione del presidente dell’Odg del Lazio Guido D’Ubaldo, i giornalisti Alberto Spampinato, Giuseppe F. Mennella, Grazia Pia Attolini, Raffaella Della Morte e l’avvocato Andrea di Pietro.
Con il decreto legislativo 188/2021, entrato in vigore il 14 dicembre 2021 in ossequio alla direttiva europea n. 343 del 2016, in materia di “presunzione d’innocenza” (in realtà già presente nella nostra costituzione) cambia completamente, per i giornalisti di cronaca giudiziaria, la regolamentazione dell’assunzione di informazioni dalla fonte più importante: la procura della repubblica.
Se prima infatti il procuratore capo convocava i giornalisti che abitualmente frequentavano il tribunale di riferimento, con le nuove regole il procuratore può o emanare un comunicato stampa o convocare una conferenza stampa, ma solo se vi è una “stretta necessità ai fini della prosecuzione delle indagini” (ad esempio la diffusione dell’identikit del serial killer) o per “specifiche ragioni di interesse pubblico”.
Quali siano queste ragioni di interesse pubblico è estremamente opinabile, tantopiù che le stesse possono mutare da un distretto all’altro, insieme alla tempistica ed al contesto. Altrettanto ovvio che un magistrato, a rischio, secondo la “riforma Cartabia” di sanzioni disciplinari, preferisca tenersi al riparo riducendo le informazioni all’osso e, nella pratica, rendendole inservibili per la loro genericità (ma forse sarebbe più corretto parlare di astrattezza). La notizia infatti, privata del contesto e della tempistica (che è uno dei requisiti principali che ne giustifica la pubblicazione), perde di significato.
A questo nuovo indirizzo occorre sommare poi quanto previsto dal nuovo codice della privacy, in tema di deindicizzazione delle notizie apparse sul web. Vengono sfilati tasselli preziosi ed a volte qualificanti alla comprensione dei fatti che, in futuro, potrebbero determinare una ricostruzione errata di una vicenda o di un’intera epoca (occorre considerare, tra l’altro, che molte testate giornalistiche sono ormai esclusivamente on – line e che probabilmente presto lo sarà la totalità).
Di fatto viene meno il potere “esterno” di controllo esercitato dall’opinione pubblica proprio attraverso l’acquisizione di notizie di stampa dettagliate.
Non solo. In presenza di un’informazione incerta, l’unica parte che interverrà sarà con buona probabilità l’avvocato della difesa, mentre nessun giornalista potrà chiedere spiegazioni alla proccura, poiché sarebbe una pratica al di fuori della legge, con il risultato di una grave asimmetria dell’informazione.
La difficoltà di appurare un’informazione giudiziaria porta il giornalista ad un effetto “chilling” (di raffreddamento) che insieme alle crescenti intimidazioni (tra cui rientrano anche le querele temerarie) conducono molti ad abbandonare la professione.
L’effetto finale? Secondo Ossigeno per l’Informazione, vietare l’accesso alle notizie favorisce il “mercato nero” delle informazioni. Forse, anche stavolta, sarà la Corte costituzionale a metterci una pezza.