FORMIA – Si poteva salvare Mario Valerio, il giovane pugile di Formia che morì il 17 agosto 2019 in seguito ad un’aritmia ipercinetica ventricolare” insorta “in un soggetto affetto da fibrosi cardia diffusa” ? A tentare di dare risposta a questo quesito dovrà essere il processo iniziato davanti il giudice monocratico del Tribunale Assunta Tillo. Sono imputati per questa immane tragedia due medici, un cardiologo (Sergio M,., di 63 anni), ed un medico dello sport (Michele V, di 67 anni) che ebbero a che fare con il pugile formiano per la cui prematura morte il padre Giuseppe, la madre Nunzia ed il fratello Luca, attraverso gli avvocati Luca Scipione e Giuseppe Masiello, si sono costituiti parte civile.
Il dibattimento ha preso il via dopo il rinvio a giudizio dei due imputati – deciso lo scorso maggio dal Gup del Tribunale di Cassino Claudio Marcopido – ed è entrato subito nel vivo con l’ammissione delle prove. Secondo la ricostruzione investigativa del sostituto Procuratore Alfredo Mattei il dottor Sergio M. (difeso dall’avvocato Gaetano Andreozzi) sottopose il pugile formiano il 29 novembre 2017 ad un elettrocardiogramma da sforzo mentre il medico dello sport Michele V. (assistito dall’avvocato Pasquale Di Gabriele) rilasciò all’atleta il certificato di idoneità all’attività sportiva il 5 dicembre dello stesso anno “non interpretando in maniera corretta il tracciato elettrocardiografo eseguito”. I due medici, insomma, di fronte ad alcune anomalie – come le presunte “marcate alterazioni della ripolarizzazione vetricolare” non avrebbero disposto ulteriori accertamenti, in particolare una risonanza magnetica cardiaca che – secondo la Procura – “avrebbe permesso di rilevare una fibrosi cardiaca diffusa ed una malignità dell’aritmia ventricolare. Il Pm Mattei era arrivato a chiedere il processo per i due medici perché gli esami cui si sottopose il boxeur formiano erano vecchi di due anni (29 novembre 2017) rispetto all’idoneità sportiva (20 gennaio 2019) ottenuta.
Il dottor Michele V. è accusato poi di aver predisposto un falso tracciato dell’esame elettrocardiografico in apparenza praticato alla vittima, ma in realtà “eseguito su un altro paziente, mai identificato”. Vi avrebbe apposto la data del 19 gennaio 2019 e, attribuendolo a Mario Valerio, con l’intento di “far risultare l’effettuazione dell’accertamento, in realtà non eseguito, quale presupposto del rilascio del certificato”. Insomma un falso – secondo la Procura – in piena regola.
Il processo è stato rinviato al 28 dicembre 2022 per la perizia trascrittiva delle intercettazioni di tre telefonate da cui si desume il tentativo di inquinare le prove e al 6 marzo 2022 per sentire i testimoni del pm.