FORMIA – Il fenomeno è drammaticamente in crescita in città e nel resto del sud pontino e colpendo fasce d’età sempre più basse, e andava affrontato con un duplice taglio: sociologico ed accademico da una parte ma anche operativo dall’altra. Non ha tradito affatto le aspettative della vigilia il riuscito e partecipato convegno organizzato dal gruppo consiliare “Guardare oltre” al comune di Formia con un titolo che è stato tutto un programma: “Baby gang: capire è prevenire”. Che l’’emergenza di quelle che un tempo erano chiamate bande di strada meriti un doveroso approccio preventivo l’ha tenuto a precisare nel suo applaudito intervento iniziale e nell’intervista video allegata il capogruppo Imma Arnone che ha chiesto ed ottenuto la partecipazione, davanti ad attente e preparate scolaresche di Formia, di un insigne accademico come il professor Franco Prina – è un sociologo che insegna all’università di Torino – del magistrato Lucia Iodice (presta servizio presso il dipartimento per la comunità minorile e di comunità presso il Ministro di Giustizia), del dirigente del commissariato di Polizia di Formia, il Vice Questore Aurelio Metelli, e del comandante del secondo nucleo operativo del gruppo cittadino della Guardia di Finanza, il tenente Francesca Petix.
Gli episodi violenti provocati dalle baby gang sono in fortissimo aumento e a fare la differenza – hanno dichiarato con diverse sfumature un po’ tutti i relatori – è stato il periodo di segregazione imposto dalla pandemia che ha ulteriormente incrementato i fenomeni di devianza giovanile di gruppo acuendo soprattutto da una parte il livello di aggressività del gruppo e mettendo a nudo dall’altra quello riguardante la fragilità e l’autodistruttività provocati dal forzato ritiro sociale degli stessi giovani.
Il fenomeno è complesso, dopo i saluti istituzionali del vice sindaco del comune di Formia Giovanni Valerio, appare essere un groviglio di istanze psicologiche e sociali e nel suo intervento la dottoressa Arnone ha posto alcune provocatorie domande ai relatori presenti. Innanzitutto cosa si celi dietro questi comportamenti aggressivi che, manifestandosi negli spazi pubblici, identificati come territori privati da difendere, hanno quasi sempre un altissimo tenore violento. “Siamo convinti che le attuali misure di contrasto al problema della devianza giovanile, dalla repressione alle stesse misure educative, siano le uniche possibili e giuste, sufficienti per ridurre la dimensione di questi fenomeni e a prevenirne la diffusione?”- ha aggiunto il capogruppo di “Guardare Oltre”.
Ed ancora: “Siamo in presenza di fenomeni strutturati definibili in modo univoco ”devianza giovanile”, oppure una banda rappresenta una aggregazione di ragazzi che risponde ai bisogni di trasgressione di quel periodo della vita, che è l’adolescenza, già di suo “ricco di insidie, in una fase della crescita che oscilla tra la distinzione dalle figure di riferimento e l’identificazione con gli altri, soprattutto con i pari? Esiste, inoltre, una equivalenza tout-court tra bande giovanili e le baby gang legate alla criminalita’ organizzata? C’e’ un filo che unisce questi contesti, cosa fa fare, eventualmente il salto di livello? E quale relazione esiste con altre forme di violenza come il bullismo, in particolare quello scolastico?”.
La recrudescenza delle baby gang parte da lontano con innumerevoli risvolti sociali ed culturali: “I comportamenti violenti – ha detto il professor Prina, da anni impegnato a scavare nelle radici del fenomeno – esprimono una grande rabbia, un’incapacita’ a gestirla, dove spesso l’adulto e le stesse istituzioni sono assenti”. La dottoressa Iodice è una ispettrice del Ministero di Giustizia che verifica quotidianamente i tentativi di recupero di quei ragazzi finiti nelle varie carceri minorili o nelle stesse case famiglie. La prevenzione è fondamentale perché la formula baby gang è mediaticamente suggestiva ma poi è difficile configurarla. Ecco perché bisogna intervenire in tempo con strumenti adeguati perché, non dimentichiamolo, siamo sempre a contatto con minori”.
Confusa nel pubblico c’era una donna che ha perso il figlio 17enne a causa di un atto di assoluta “violenza”. Tina Di Nucci, madre di Romeo Bondanese, ha più volte interloquito con la dottoressa Iodice sulla certezza della pena che “lo Stato non garantisce più a quei giovani che si macchiano di reati gravi e di reati di sangue”. L’ispettrice del Ministero di Giustizia non si è dichiarata convinta della necessità di andare a a riformulare il diritto minorile italiano che “ha soltanto quattro anni di vita”. L’urgenza è un’altra: contribuire “diversamente” a perseguire l’obiettivo costituzionale della rieducazione. In questa prospettiva la dottoressa Iodice ha rilanciato invece la necessità di “dare un senso ai periodi di messa alla prova”.
“E’ uno strumento normativo importantissimo (la messa alla prova, ndr) che, concepito per i minori, sta interessando anche gli adulti indagati. E’ uno strumento che può servire – ha concluso il magistrato – perché non tutto si risolve con la detenzione. I percorsi destinati alla messa alla prova vanno però riempiti di contenuti veramente riabilitativi nel senso che devono servire a saturare una ferita che si è venuta a creare tra un minore e la società”.
Concludendo i lavori il capogruppo Arnone ha chiamato in causa per ‘costruire’ la prevenzione la scuola (“deve contribuire ad abbattere le differenze sociali di base, costruire percorsi capaci di attuarle, se non annullarle. Dobbiamo chiederle di saper “emozionare” i ragazzi, appassionandoli al sapere e non solo alla prestazione, alla conoscenza e non solo al risultato in termini quantitativi” ) e anche le istituzioni pubbliche promuovendo “maggiormente la cultura e i suoi momenti. Se ne organizzano sempre meno e i nostri ragazzi decidano di percorrere altre strade”.
INTERVISTE video a Lucia Iodice, magistrato del Dipartimento per la Comunità minorile e di comunità presso il Ministro di Giustizia e Imma Arnone, capogruppo consiliare “Guardare Oltre” comune di Formia.
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