Formia / Pastificio Paone, il Tar rigetta la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla proprietà

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FORMIA – Chi è causa dei suoi mali, pianga se stesso. Lo scrivono i giudici della sezione di Latina del Tar nella sentenza, che si articolata in ben trenta pagine, con cui è stato rigettato il ricorso presentato dall’ex proprietà del pastificio Paone di Formia, la “Domenico Paone fu Erasmo spa” contro la decisione del comune di revocare il 30 maggio 2012 il permesso a costruire rilasciato dallo stesso ente con la determina dirigenziale numero 182 del 5 novembre 2008. Lo stesso Tar è apparso implacabile, quando recependo le istanze dell’avvocatura comunale rappresentata dall’avvocato Domenico Di Russo, respinge la richiesta della società privata (rappresentati nell’ordine dagli avvocati Claudia Ioannucci e Maurizio Mele) di poter beneficiare di un risarcimento danni di cinque milioni e 240mila euro tondi tondi.

Il Tar – presidente Ivo Correale e giudice estensore Valerio Torano – ha legittimato, motivandola, la decisione che portarono il comune di Formia in autotutela rispettivamente alla revoca (attraverso un vistoso taglio delle cubature) dell’autorizzazione per la nascita di un centro commerciale e per la trasformazione, sul piano urbanistico, dell’ex sito industriale. La proprietà dell’ex pastificio di piazza Risorgimento intendeva effettuare un intervento edilizio di ristrutturazione ed un cambio di destinazione da opificio industriale a centro commerciale-direzionale “per collocarvi tre medie strutture di vendita ed uffici”.

Il Tar nella sentenza con cui legittima a posteriori l’operato del dirigente del settore urbanistico in servizio dieci anni fa, l’architetto Roberto Guratti, scrive più volte che lo storico pastificio formiano sarebbe potuto diventare un centro commerciale a condizione che il privato proponente avesse soltanto seguito le prescrizioni previste dall’articolo 32 delle norme di attuazione dell’attuale piano regolatore generale di Formia. Cosa prevede? Subordina la realizzazione di interventi edilizi privati previa la redazione di un piano particolareggiato o di un piano di lottizzazione convenzionata con soluzioni planovolumetriche a carattere unitario. E sul piano normativo il Tar è stato chiaro. Il piano particolareggiato è previsto dall’articolo 41 della legge 1150 del 1942.  Ha 80 anni di vita ma è tuttora.

Il Tar, respingendo le otto censure di legittimità avanzate dal ricorso dell’avvocato Mele, è severo quando accusa la “Domenico Paone fu Erasmo spa” di scarso dialogo amministrativo. Nel senso che il dirigente in carica nel 2012 avviando la revoca del procedimento amministrativo non bocciò categoricamente la possibilità di autorizzare l’intervento richiesto quattro anni prima. Il privato per beneficiare del cambio di destinazione d’uso avrebbe dovuto accettare la riduzione sino al 25% delle destinazioni volumetriche preesistenti . Il comune invito “la ricorrente a fornire un nuovo contributo partecipativo unitamente ad una relazione tecnica asseverata” utile a dimostrare la consistenza del mutamento della destinazione d’uso del sito industriale di piazza Risorgimento.

Cosa successe? O meglio cosa non successe? Il comune era pronto a concedere quanto gli prescriveva la legge ma il privato fu protagonista di “una sua autonoma decisione – si legge letteralmente a pagina 29 della sentenza firmata dal presidente Correale – quella di interrompere il procedimento di approvazione dello strumento urbanistico attuativo che le avrebbe consentito di effettuare l’intervento edificatorio voluto e per il quale – ed è questo l’aspetto più inverosimile messo per iscritto dal Tar sulla scorta delle trentatrè pagine di controdeduzioni presentate dall’avvocatura comunale di Formia – era stato addirittura già convocato il consiglio comunale”. Insomma la società proprietaria dell’azienda più longeva della provincia di Latina avrebbe commesso due gravi errori a causa dei quali è stata costretta nel 2015 a chiedere il concordato preventivo al Tribunale dal quale fu escluso l’opificio di piazza Risorgimento: non operò un investimento di poco meno di 400mila euro per affrontare le spese di progettazione finalizzate al varo del piano di lottizzazione chiesto dal comune e poi non accettò un taglio delle cubature per la cui approvazione era già pronto il consiglio comunale.

Per l’avvocatura comunale la sezione urbanistica fece bene in autotutela a revocare la trasformazione urbanistica alla luce di quello che scrissero i giudici della terza sezione penale della Suprema Corte con la sentenza 5870 del 6 febbraio 2013. “Il reato di lottizzazione abusiva si integra non soltanto in zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle parzialmente urbanizzate nelle quali si evidenzia l’esigenza di raccordo con l’aggregato abitativo preesistente o di potenziamento delle opere di urbanizzazione pregresse, così che per escluderlo deve essersi verificata una situazione di pressochè completa e razionale edificazione della zona, tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo”. Pertanto, anche la necessità di una integrazione delle infrastrutture primarie, che non siano esclusivamente funzionali alla utilizzazione di un singolo fabbricato, quale il singolo allacciamento alla rete fognaria, alla rete viaria ed altre strutture analoghe di modeste dimensioni, rende necessaria l’approvazione di un piano di lottizzazione . E poi – aggiunse la Cassazione – …”L’esonero dal piano di lottizzazione previsto in un piano regolatore generale può avvenire riguardo ai casi assimilabili a quello del “lotto intercluso”, nel quale nessuno spazio si rinviene per un’ulteriore pianificazione, mentre detto esonero è precluso in caso di zone solo parzialmente urbanizzate, esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione può ancora conseguire l’effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto” .

La stessa Cassazione nove anni fa sembrò dare ragione all’avvocatura comune: “L’approvazione del piano di lottizzazione non è atto dovuto, pur se conforme al piano regolatore generale, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell’autorità chiamata a valutare l’opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale”. Un anno più tardi la stessa Corte di Cassazione, sezione quarta, con la sentenza numero 1245 del 14 gennaio 2014 rigettò di nuovo il ricorso della proprietà del pastificio formiano sottolineando la necessità inderogabile dell’adozione di un piano particolareggiato per quell’area: “…i piani attuativi hanno l’essenziale funzione di precisare zona per zona, con opportuno dettaglio esecutivo, le indicazioni di assetto e sviluppo urbanistico complessivo contenute nel piano regolatore. Vengono redatti per limitate porzioni del territorio comunale, al fine di attuare gradatamente e razionalmente le sistemazioni urbanistiche previste dal piano generale, nonché di conferire alle singole zone assetto ed attrezzature rispondenti agli insediamenti stabiliti, nella prospettiva della realizzazione di un complesso urbanistico armonico, in cui ciascuna parte si inserisca senza ostacolare le altre”.

La sentenza del Tar ha ripreso la proposta dell’allora dirigente del settore urbanistica del comune di Formia Guratti di tagliare le cubature alla famiglia Paone, scrivendo che “l’intervento di ristrutturazione edilizia riguardante il cambio di destinazione d’uso (da industriale) in attività commerciale per tre medie strutture di vendita oltre ad uffici direzionali avrebbe necessitato di una verifica urbanistica e di una specifica convenzione necessaria per la corretta qualificazione e quantificazione delle necessarie aree per servizi pubblici”. Ecco la conclusione cui era giunto il comune nelle sue due memorie difensive davanti ii giudici amministrativi di Latina del Tar del Lazio: “ La piena e totale legittimità dell’azione amministrativa messa in campo dall’ente, corroborata dalle pronunce della terza e quarta sezione penale della Corte di Cassazione e dal Tribunale Penale di Latina di secondo riesame, esclude qualsivoglia ipotesi di danno risarcibile per assenza di una condotta ‘contra ius’ addebitabile all’amministrazione, nonché per assenza dell’elemento soggettivo della colpa. Va aggiunto, come sia stata la società ricorrente che, con il proprio comportamento ha causato i danni che oggi chiede essere risarciti, a fronte delle pronunce della Corte di Cassazione – se non altro per l’autorevolezza dell’organo che si era pronunciato poteva e doveva, ravvedersi e proseguire nell’iter, tra l’altro già tracciato dall’Amministrazione con il procedimento di autotutela, richiedendo l’approvazione del piano attuativo. Nessun risarcimento è dovuto per i danni che il creditore – fa sapere l’avvocatura – avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.”