SUD PONTINO – Ottantasette anni e tre mesi di reclusione a fronte di 11 condanne e di un’assoluzione, dell’unica donna a processo. Dopo un’ora e mezzo di camera di consiglio è terminato nella tarda mattina di giovedì davanti il Tribunale penale di Cassino – presidente Marco Gioia, a latere Maria Cristina Sangiovanni e Pio Cerase – il processo scaturito dall’operazione anti droga “Touch & Go” che il 1 luglio 2020 culminò con l’arresto da parte dei Carabinieri del comando provinciale di Latina e della Compagnia di Formia complessivamente di 20 persone. Furono accusate di gestire, almeno dal 2015, a Formia e a Scauri per conto di due clan camorristici napoletani un collaudato sistema specializzato nello spaccio di cocaina, hashish e marjuana ma anche al possesso di armi e di materiali esplodenti, minacce, violenza privata e lesioni.
Se il sostituto procuratore della Dda di Roma Corrado Fasanelli aveva chiesto al termine della sua requisitoria 147 anni e mezzo di carcere sollecitando condanne dai 12 ai 14 anni per gli imputati (il magistrato romano nel giorno della conclusione del processo non c’era in aula, sostituito dal Sostituto procuratore Marina Marra), la sentenza del giudice Marco Gioia è stata – si fa per dire – più mite. Innanzitutto ha escluso per i 12 imputati l’aggravante del vincolo associativo di stampo camorristico ma ha applicato l’aggravante prevista dall’articolo 74 del Dpr 309 del 1990. Tuttavia le condanne più pesanti – 10 anni e mezzo – sono state inflitte ad Armando Danilo Clemente e Domenico De Rosa e a Giuseppe De Rosa (10 anni e 4 mesi di carcere).
Gli altri provvedimenti detentivi hanno riguardato, inoltre, Matteo Rotondo (sette anni e 4 mesi), Nocella Giovanni e Giuseppe Leone (sette anni e 2 mesi), Francesco Leone (sette anni),Giancarlo Di Meo (sei anni e 10 mesi), Daniele Scarpa e Giuseppe Sellitto (sei anni e 8 mesi) e Marco Barattolo (quattro e due mesi). L’unica assoluzione ha investito – come detto – l’unica donna, Raffaella Parente che, difesa dall’avvocato Massimo Signore, aveva chiesto, come gli altri 11 imputati, di essere giudicata con il rito ordinario. Le altre nove persone arrestate nel luglio di due anni fa avevano scelto di essere giudicate a Roma con il rito abbreviato e le pene furono paradossalmente più pesanti di quelle del Tribunale di Cassino.
Per la Dda di Roma il referente nel sud pontino di questo sodalizio è stato sempre il minturnese Stefano Forte, condannato con il rito abbreviato a 18 anni e due mesi di carcere, seguito da Armando Prete (17 anni di carcere) e Michele Aliberti, per lui una condanna a 16 anni e 2 mesi di reclsione. Più lievi le condanne per gli altri cinque imputati che decisero di essere processati con il rito abbreviato: otto anni e 4 mesi di carcere per Carmine Brancaccio, tre anni per Valentino Sarno, Massimiano Mollo e Walter Palumbo mentre lo scaurese Diego Camerota è stato condannato a due anni e quattro mesi dopo essere diventato un collaboratore di giustizia
Il collegio difensivo degli undici condannati – composto dagli avvocati Enrico Mastantuono, Massimo Signore, Vincenzo Macari, Luca Scipione, Giovanni Valerio, Eduardo Fascione, Gianluca Di Matteo, Giuseppe Vernacchio, Pasquale Cardillo Cupo e l’avvocato Riccio del foro di Benevento – attenderà le motivazioni entro i prossimi 90 giorni le motivazioni del giudice Gioia prima di proporre ricorso in appello. Secondo le difese non c’è stata nessun’organizzazione e, se i reati ipotizzati dalla Dda sono stati consumati, vanno inquadrati singolarmente, a cominciare dagli innumerevoli episodi di spaccio ai quali è stato attribuito esclusivamente un carattere soggettivo.
Le difese, coordinate dall’avvocato Enrico Mastantuono, avevano criticato la ricostruzione della Dda nella misura in cui non avrebbe saputo ricostruire l’esistenza di questa associazione a delinquere nel corso del tempo in modo continuativo, sistematico e duraturo. Il più soddisfatto di tutti tra i legali difensori è stato l’avvocato Massimo Signore che ha incassato l’unica assoluzione del dibattimento: “Il collegio ha dimostrato un grande senso di responsabilità nel cogliere e nel valutare tutte le carte del processo contemperando gli elementi di prova da noi introdotti sin dalle prime fasi processuali e attraverso i quali è stata chiarita la totale estraneità della Parente rispetto a qualsivoglia condotta illecita”.