FORMIA – E’ un libro vietato a chi ha una sensibilità maggiore della media. Ma da giovedì sera meriterà di essere conservato gelosamente da tutte le famiglie formiane nelle rispettive librerie e, il giorno dopo, da tutte le scuole cittadine nelle proprie biblioteche. S’intitola molto semplicemente “L’ospedale Dono Svizzero” di Formia il bellissimo volume che l’ex cardiologo Aldo Treglia ed un manipolo di coraggiosi e audaci pionieri (Giuseppe Cardi, Carla Magliozzi, Giorgio Mattu, Paolo Tancredi, Antonio Orgera, Lina Valerio, Angelo Romanelli e tanti altri) della sanità formiana, pubblica e privata, hanno scritto, sotto forma di una formale conversazione, per sottolineare il contributo garantito da quelle che furono inizialmente delle baracche per la crescita civile, economica e sociale di una città umiliata e distrutta dall’ultima guerra mondiale.
Il lavoro “monumentale” del dottor Treglia, che ha trascorso molto decenni della sua vita all’interno dell’”ospedaletto”, sarà presentato giovedì 30 marzo, alle ore 17, presso la sala Ribaud del Palazzo municipale e gli autori non potevano non scegliere l’aula consiliare per illustrare la bontà ed il valore, pedagogico e culturale, di un’iniziativa letteraria per esternare un senso di “gratitudine e di riconoscenza” nei confronti di una struttura che, a volte demonizzata e bistrattata dagli stessi formiani, si è rivelata essere un vanto, un motivo di orgoglio per la città e per quelle professionalità – mediche, infermieristiche e ausiliare – che hanno contribuito a far diventare il “Dono Svizzero” un’eccellenza nella sanità pontina e regionale. Il dottor Treglia si è avvalso, oltre che di documenti e di immagini, anche dei suoi ricordi, ma soprattutto delle testimonianze orali di molti dipendenti coetanei “che hanno vissuto con me gli anni di servizio a tempo pieno, fin dalla assunzione nel lontano 1980, e dei colleghi e dipendenti più anziani con i quali ho lavorato fin dall’inizio e di cui ho potuto apprezzare le qualità professionali ed umane, ricevendo apprezzamenti e collaborazione per questa impresa. Formia, a differenza degli altri centri del sud pontino, ha goduto sempre di un’autonomia sanitaria pubblica.
La più antica è stata l’ospedale civile “Spina”, nato dalla lungimiranza e benevolenza del possidente e Sindaco in carica nel 1889, il Cavalier Pasquale Spina, che fece donazione alla popolazione formiana di un caseggiato con giardino nel quartiere collinare di Castellone, con l’intento di allestire una struttura di cura, a cura del Comune di Formia. Tre altri notabili dell’epoca, i fratelli Rubino, promisero anche una rendita annua di 500 Lire (in realtà mai corrisposte!) per la sua gestione economica. L’ospedale, dotato di sei posti letto destinati agli infermi poveri di ambo i sessi, ebbe una vita relativamente breve, di soli venti anni, in seguito all’insorgenza di contrasti ereditari, amministrativi e giudiziari fra gli eredi dello Spina, i Rubino e il Comune di Formia. Nel 1924 era stata fondata, poi, la “Clinica Chirurgica Ortopedica del Dott. Cusumano”, aveva la capienza di 24 posti letto, era situata sulla via Appia, nei pressi degli attuali centro di preparazione olimpica “Bruno Zauli” e del Grande Albergo Miramare. Nei tre piani operavano specialisti di tutte le branche, in massima parte provenienti dalla “Regia Università di Roma”. La clinica divenne tristemente e universalmente nota per aver ospitato per un anno, a metà degli anni trenta, il fondatore del partito Comunista Italiano Antonio Gramsci condannato dal regime fascista al carcere duro.
L’attuale “Casa del Sole-Tommaso Costa, o più semplicemente, “Clinica Costa”, invece, era originariamente ubicata nel centro di Formia all’interno di una elegante costruzione a tre piani in stile Liberty, posta lungo la strada interna, oggi intitolata al suo proprietario, che collega la centrale via Vitruvio Pollione ai cantieri navali della “Marina”. Nella pubblicità della struttura, pubblicata dalla rivista “Latina Gens”, è presente la fotografia dell’ingresso e dell’edificio e nel testo si evidenzia che, oltre ad “un trattamento di classe con la spesa di 30 Lire al giorno, tutto compreso”, la clinica era dotata anche di un reparto per i poveri di Formia e dei paesi vicini. Era stata fondata nel 1928 e ampliata nel 1932 con un nuovo edificio, ma fu distrutta dai tedeschi in ritirata nel 1944. Fondatore, direttore e primo operatore fu il professor Tommaso Costa, “un Formiano che molto onora il paese, primario chirurgo dell’Ospedale dei Pellegrini di Napoli e Professore pareggiato della Regia Università”.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, nel 1946, la sede principale della clinica, denominata “Clinica Tommaso Costa”, fu allestita in pochi mesi all’interno dei locali di Villa Danese, bella costruzione tuttora esistente sul lungomare di Vindicio, e in una villa a forma di castello situata di fronte a Villa Accetta, nel territorio di Gaeta. In questa struttura erano ricoverati pazienti affetti da tubercolosi extra polmonare, malattia allora molto diffusa e invalidante1. Nel 1980 la merlata villa fu adibita ad archivio per le cartelle cliniche dell’Ospedale di Formia e tutt’oggi è usata come deposito che versa in precarie condizioni di incuria e abbandono. Nel 1964 la clinica fu ricostruita nella sede e con la denominazione attuale “Casa del Sole” dalla moglie e dai due figli del Professore Costa, Mario (che fu Senatore della Repubblica per diverse legislature) e Gianni, medico- chirurgo, all’interno di un parco, situato sulla via Appia in direzione di Roma dopo l’antica fontana romana di San Remigio.
Molti lo ignorano ma anche nell’attuale Villaggio Don Bosco, sull’Appia, negli anni trenta del Novecento era stata costruita dal Senatore Scotti, amico del Podestà di Formia, Felice Tonetti, la Clinica “Giovanna di Bulgaria”, specializzata nella cura del tifo addominale. Nel 1940 durante l’occupazione tedesca, alcuni locali di Villa Irlanda, al confine con il comune di Gaeta, furono utilizzati come ambulatori per i feriti tedeschi. Nel 1944 il Governatore alleato ripristinò la struttura sanitaria per la popolazione formiana e l’affidò all’ex Podestà Pasquale Gallinaro, nominato Commissario Prefettizio della città. L’ospedale disponeva di 60 posti letto gestiti da 5 infermieri, da 10 aiutanti infermieri e da 2 medici .
Anche a Maranola in quegli anni era stato allestito un camerone di circa 70 metri quadrati con 22 posti letto per i pazienti del territorio, a cura della dottoressa Imma Bordiga, specializzata in Oculistica e figlia di Amadeo, uno dei fondatori del Partito Comunista italiano e da anni sepolto nel cimitero di Castellonorato.
Naturalmente le 140 pagine del volume del dottor Treglia ruotano attorno alla nascita di quello che sarebbe diventato il “Dono Svizzero”. Il governo confederato svizzero decise di finanziare la ricostruzione di un’opera distrutta dal conflitto bellico. Inizialmente commossero le immagini del bombardamento dell’abbazia benedettina di Montecassino ma il governo elvetico cambiò idea: è meglio un ospedale della zona. E venne scelta la zona di Formia. E così che fu costituita nel 1947 una delegazione di cittadini elvetici – denominata “Organizzazione del Dono Svizzero per le vittime della guerra” – che aveva il compito di gestire la nascita del nosocomio formiano. Ma perché Formia e non un’altra città ? E’ il dubbio a cui sinora non era riuscito a dare una risposta il dottor Treglia. Forse a recitare un ruolo determinante è stato il dottor Carlo Zuber, medico in servizio nel nascente ospedale formiano, figlio di Gustav che, funzionario dell’ambasciata elvetica in Italia, era laureato in medicina e come medico aveva iniziato questa attività professionale in Italia, a Catania. Non lo si saprà mai a decidere di realizzare a Formia il nuovo ospedale su impulso della Confederazione Elvetica sarebbe stato proprio Carlo Zuber che capì di localizzare a Formia il nuovo ospedale perché la città era baricentrica tra Roma e Napoli e soprattutto tra le province di Latina, Caserta e Frosinone e le stesse isole pontine.
I lavori dell'”Ospedaletto baraccato” – e questa frase tanto caro ai formiani è stata rispolverata dalla tv Svizzera – iniziarono nel 1947 dopo il via libera di questa Organizzazione del Dono Svizzero per le vittime della guerra“. Inizialmente faceva affidamento su 16 strutture in legno che mise a disposizione lo stesso governo elvetico e, più precisamente, “il legno grezzo, occorrente per la costruzione delle baracche, e tutta la attrezzatura ospedaliera necessaria, composta di materiale lettereccio, biancheria, mobili, apparecchi sanitari e di servizio, materiale da gabinetto di analisi, apparecchio raggi X, prodotti farmaceutici, eccetera”. La donazione di quelle strutture pre fabbricate avvenne il 18 dicembre 1947. Le loro chiavi vennero cedute al comune di Formia dal delegato dell'”organizzazione del Dono Svizzero per le Vittime della guerra” Giovanni Venner quale “attestato di solidarietà per i gravi danni subiti dalla guerra e a sollievo della sofferenza di quella popolazione. Formia era uscita dalle guerra con pesantissime ferite, materiali ed umane e, non essendoci medici pronti, si chiese di provvedere ad un gruppo di medici ed infermieri di nazionalità svizzera. E tra di loro c’era proprio il dottor Zuber che, contrariamente a quanto deciso da altri connazionali, decise di rimanere a Formia come medico radiologo. La gestione poi del nascente ospedale è stata analizzata nella sua ricerca dal dottor Treglia. Nel consiglio d’amministrazione, formato da sette componenti, sarebbe dovuto esserci spazio per un rappresentante del governo svizzero. Il posto in teoria era anche per Zuber che declinò l’invito: “Ho altro da fare” rispose pensando che forse era meglio il suo posto in quella precaria radiologia.
L‘attuale ospedale, prossimo ad andare in pensione con la realizzazione del Policlinico del Golfo, venne realizzato dal governo italiano nel 1962 ma la denominazione antica, “Dono Svizzero”, prossimo ad andare in pensione quando nel 2026 diventare operativo il “Policlinico del Golfo”, dovrebbe è rimasta in segno di rispetto per la quella indimenticata generosità rosso-crociata.
Il libro è da conservare perché corredato da inedite foto d’archivio, una delle quale ritrae un giovanissimo presidente del consiglio dei Ministri Giulio Andreotti inaugurare l’ospedale “baraccato” . Il volume ha sintetizzato poi la sua successiva e variegata gestione: dalla nascita di un consiglio d’amministrazione presieduto da Enzo Bartolomeo, il papà di fede repubblicano del futuro sindaco di centrosinistra Sandro, all’istituzione dell’ex Usl Lt/6 e al suo assorbimento all’attuale Asl pontina.
A sottolineare con “grande soddisfazione” la realizzazione di questa fatica letteraria del dottor Treglia è nella sua prefazione il sindaco di Formia Gianluca Taddeo: “L’Ospedale Dono svizzero’ è una realtà importante nel nostro tessuto territoriale, ma probabilmente pochi si sono interrogati sulle origini di questa denominazione; magari i più giovani non sanno che le famose baracche –di cui abbiamo tante volte sentito parlare dai nostri genitori e dai nostri nonni– furono interamente donate dalla Svizzera alla Città di Formia negli anni immediatamente successivi all’ultimo conflitto mondiale, per aiutare e lenire le sofferenze delle popolazioni locali stremate dai lunghi anni di guerra. Il volume del dottor Treglia ci fa cogliere quanto lavoro, sacrificio e impegno siano stati profusi dalle generazioni passate per consentirci, oggi, di disporre di una struttura ospedaliera operativa, sulla quale poter fare fiducioso affidamento”.
“E la sua poliedrica e riconosciuta sensibilità l’autore del volume – come sottolineato dal sindaco Taddeo – la manifesta anticipando una bella iniziativa: i proventi della vendita del libro serviranno per finanziare le sempre nobili attività dell’associazione Ver Volontariari Emergenza radio sud pontino del presidente Antonio Tomao”.
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