FORMIA – Quanti cittadini di Formia, residenti nelle realtà periferiche di Gianola e Santo Janni, sono a conoscenza dell’esistenza della Villa di Mamurra sul promontorio di Gianola che dal 12 dicembre dovrebbe essere fruibile da parte del territorio dopo contestati lavori di riqualificazione? Quanti di loro sanno dei suoi valori storici, paesaggistici e archeologici? Ma anche delle problematiche scaturire dagli ultimi interventi effettuati dalla Soprintendenza archeologica del Lazio su incarico dell’ente Parco Riviera d’Ulisse ? A questi ed altri interrogativi cercherà di rispondere l’attesa assemblea che, promossa dalle associazioni “Gianolamare” e “Janus” e dai comitati civici Acqualonga e Santa Croce, si svolgerà venerd’ 28 aprile, alle 19, presso l’oratorio del centro pastorale parrocchiale di Gianola in via delle Vigne 17. “La Villa romana di Gianola, risorsa da conoscere e difendere” sarà il tema dell’incontro che si svolge solo ora per evitarlo di accavallarlo, in seguito alle polemiche scaturite dopo l’inaugurazione del reperto archeologico da parte dell’allora presidente vicario della Regione Lazio Daniele Leodori, alla campagna elettorale regionale del 12 e 13 febbraio scorsi.
Ad anticipare i motivi dell’assemblea “con uno spirito costruttivo, lo precisiamo subito” sono nell’intervista video allegata il suo moderatore, l’ex dirigente scolastico dell’istituto tecnico commerciale “Gaetani Filangieri” di Formia, il professor Pasquale Scipione, e l’archeologo Salvatore Ciccone. Proprio quest’ultimo sarà il relatore alla luce dell’incarico svolto inizialmente (come progerttista e direttore dei lavori) per conto della Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio, insieme all’ingegner Orlando Giovannone, per riportare alla luce l’edificio ottagonale rinvenuto nella villa di tarda epoca repubblicana, la cosiddetta “Villa di Mamurra”, appartenuta – secondo la tradizione – al cavaliere romano originario di Formia, il “praefectus fabrum” (il prefetto degli ingegneri) che fu al seguito di Gaio Giulio Cesare nella guerra in Gallia. Questo sito archeologico si estende su un’area di 9 ettari: “Ci chiesero di provvedere allo scavo dell’edificio ottagono e alla copertura provvisoria per continuare le indagini. Ci furono due varianti imposte dalla Soprintendenza che giustamente non ci faceva piantare un chiodo. Successivamente la stessa Soprintendenza con oltre 800mila euro del Ministero – ricorda Ciccone – ha sostituito la prima copertura con un’altra definitiva imperniata sui ruderi, eliminando la possibilità di scavare e stendendo per duecento metri lineari di viali in calcestruzzo su suolo archeologico. Oltre ad deturpare l’ambiente si impedisce di fatto di accedere a scavi.- si affianca l’ex preside Scipione – ma siamo preoccupati per una circostanza: molti cittadini del quartiere non sanno ancora le ragioni per le quali sul promontorio di Gianola sono stati investite ingenti risorse pubbliche e i danni provocati all’area protetta dell’ente parco Riviera di Ulisse e… all’erario.”
L’assemblea di venerdì sera, grazie alla generosa disponibilità del parroco di Gianola, don Carlo Saccoccio, vuole lanciare una sfida alle istituzioni preposte. E’ vero, l’ente Parco Riviera d’Ulisse, in seguito alle dimissioni della presidente Carmela Cassetta (candidata alle ultime elezioni regionali nella lista del Pd), non ha una guida ma la Soprintendenza archeologica sì. L’architetto Ciccone ed il preside Scipione si dichiarano convinti come vadano apportati alcuni urgenti e migliorativi correttivi perché la villa di Mamurra (“non sappiamo – aggiunge polemicamente il professor Scipione – se e come viene aperta al pubblico dopo il danaro pubblico speso”) diventi un valido strumento di promozione turistica di questo tratto di territorio. In effetti la villa di Mamurra, che sorgeva a pochi metri dal mare, si estendeva in due ampi settori, lunghi alcune centinaia di metri. Il corpo principale era di forma ottagonale, e risultava affiancato dai due bracci, con due grandi cisterne per la raccolta e conservazione delle acque e da due portici che “scendevano” verso il mare. La struttura a pianta ottagonale, che costituiva “cuore” del complesso, è conosciuto anche come Tempio di Giano. La scala coperta che si può ancora ammirare oggi, serviva a collegare i due portici. Le due “piscinae” ospitavano gli allevamenti ittici della Viulla, successivamente adattato a porticciolo nella prima metà del XX secolo. L’intero complesso della villa, tuttavia, fu riscoperto e studiato a partire dal settecento. Nella stessa occasione fu redatta una relazione nella quale è possibile ricostruire lo stato di conservazione dello stabile all’epoca. Oggi della villa restano diversi ambienti posti in modo discontinuo lungo un tratto di costa di oltre 200 metri. Il visitatore può ammirare due cisterne che servivano per raccogliere sia l’acqua piovana che quella proveniente da qualche sorgente oggi scomparsa. L’edificio Ottagono è stato il principale intervento di restauro.
Le conclusioni cui giungono ora l’ex presidente Scipione e l’architetto Ciccone sono assai severe sulla condizione di questo cantiere sul promontorio di Gianola:“Dopo le opere di decespugliamento, facendo attenzione a non compromettere ulteriormente i ruderi e alla contestuale recinzione dell’area di cantiere per scongiurare compromissioni e incidenti da parte di intrusi, si dette via all’opera di scavo nella parte dell’edificio rivolta al mare, dove si sarebbe dovuto apprestare un passaggio per una gru su gomma a braccio telescopico. Sfortuna e fortuna insieme: fortuna perché subito emersero i primi significativi reperti consistenti in teste ritratto marmoree, ben cinque con in più frammenti di altre; sfortuna perché non si poté usufruire di quel mezzo d’opera fondamentale al sollevamento di più ingenti frammenti murari, dovendo variare il progetto avvalendosi della sola gru a torre con braccio fisso, peraltro indispensabile per svariate movimentazioni di cantiere. Quindi, mentre verso mare si procedeva allo scavo del collegamento dell’edificio alla villa con continui affioramenti di reperti scultorei, dal lato occidentale si penetrava – osservano ora Scipione e Ciccone – verso l’interno alla sala ottagona centrale con la rimozione di massi murari. Qui si ebbe la sorpresa nel constatare che il pavimento di quella sala era rialzato rispetto a quello circostante”.
“Si rinvennero inoltre il pilastro centrale abbattuto, i frammenti della volta con il mosaico a stelle descritta da Mattej insieme alla vasca, quest’ultima anelata per ciò che si immaginava e che si dimostrò: un invaso di presa di una sorgente che sgorgava a motivo dell’edificio. In questo scavo l’abside della stanza posta centralmente sul lato del perimetro si scoprì collassata su sé stessa e questo richiese subito un’opera di puntellamento che non fosse troppo invasiva del risicato spazio scavato. Si procedette quindi con una specifica struttura in acciaio consistente in una cerchiatura sagomata alla struttura muraria alla quale si congiungevano dei sostegni inclinati poggiati a terra su plinti in cemento armato, ovviamente separando il congegno dalle parti antiche con speciali teli; inoltre sul dorso dell’abside si reintegrò la muratura dove si presentava aperta una finestra, preservandone il documento. Questo intervento si allineava sulla logica a base del progetto di copertura, cioè quello di impiantare una struttura a tubi e nodi, zincati a caldo contro l’ossidazione, che fosse provvisoria nel concezione, ma più solida e duratura nell’estensione dei tempi di successivi interventi di scavo, pertanto adatta ad un cantiere visitabile come concordato con la Soprintendenza. Per questo, alla necessità di un vincolo a terra staticamente sicuro, si poneva il problema dei forti venti del luogo, per la qual cosa gli appoggi dovevano assumere la caratteristica di plinti-zavorre”- aggiungono.
“In ciò venne prioritariamente escluso per congruità progettuale e per inderogabile disposizione ministeriale, l’ancoraggio diretto su porzione strutturali abbattute o sul suolo roccioso affiorante all’interno dell’edificio, che ne avrebbe comportato la perforazione per l’inserimento di barre di acciaio filettato di fissaggio: un atto lesivo riguardo alle antiche strutture e problematico nei prospettabili interventi. Fu così che furono posti in opera questi plinti cementizi che, sebbene a vista, furono resi distintivi nella loro forma cilindrica, comunque facilmente rimovibili dal contesto archeologico, come infatti è avvenuto nei lavori eseguiti direttamente dalla stessa Soprintendenza dal 2020. La copertura della parte scavata scongiurava l’accumulo di acqua meteorica nell’ammasso ruderale e insieme una forte concentrazione di calore, combinazione sfavorevole alla conservazione di già indebolite murature. Per lo stesso motivo la parte preponderante non scavata, venne ripianata con terra di scavo e quindi protetta con uno speciale telo impermeabile traspirante, poggiato su uno strato devitalizzante e poi sottoposto ad uno di lapillo vulcanico, drenante e di ancoraggio. Così si assicurava, pur sempre con una ricognizione e manutenzione periodici, la protezione dagli agenti naturali interconnessi, quali piogge, insolazione, salsedine, vegetazione, qui molto aggressivi”.
INTERVISTE Video, professor Pasquale Scipione, ex dirigente scolastico istituto tecnico commerciale “Gaetano Filangieri” e Salvatore Ciccone, architetto