SUD PONTINO – Le ipotesi di reato vanno riqualificate, vanno concesse una serie di attenuanti, insomma va riformulata la sentenza di primo grado che non ha “seguito” affatto l’ossatura dell’ordinanza di arresto emessa dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta dei Pm della locale Direzione Distrettuale antimafia. Hanno essenzialmente chiesto questo i legali delle indagati che, coinvolti nell’operazione anti droga “Touch & Go” che il 1 luglio 2020 culminò con l’arresto da parte dei Carabinieri del comando provinciale di Latina e della Compagnia di Formia complessivamente di 20 persone, sono imputati nel processo di secondo grado in corso di svolgimento davanti la prima sezione della Corte d’Appello di Roma.
Mercoledì i protagonisti sono stati gli avvocati Massimo Signore ed Eleonora Moiraghi, i legali che assistono lo scaurese Stefano Forte, il presunto responsabile dell’organizzazione, accusata – secondo il Pm della Dda capitolina Corrado Fasanelli – di gestire, almeno dal 2015n poi, a Formia e a Scauri, per conto di due clan camorristici napoletani, un collaudato sistema specializzato nello spaccio di cocaina, hashish e marijuana ma anche al possesso di armi e di materiali esplodenti, minacce, violenza privata e lesioni. Per gli avvocati Signore e Moiraghi Forte, condannato al termine del rito abbreviato celebrato davanti il Gip del Tribunale di Roma a 18 anni e due mesi di reclusione, non può essere considerato il referente nel sud pontino di questa organizzazione, semmai ha svolto il ruolo di fiancheggiatore.
La sentenza di primo grado è iniqua e mal supportata da motivazioni oggettivamente credibili: lo hanno detto nelle loro arriche gli avvocati Mario Pasquale Fortunato (che assiste Armando Prete, condannato in primo grado a 17 anni di recluisione) e Giuseppe Biondi (legale di Michele Aliberi, per lui una condanna a 16 anni e 2 mesi di reclusione al termine del rito abbreviato).
Se il procuratore generale ha chiesto la conferma delle condanne di primo grado, il processo d’appello dovrebbe concludersi il 24 maggio prossimo quando sono attese le arringhe di altri due indagati eccellenti, Domenico e Raffaele Scotto, ma anche Carmine Brancaccio (otto anni e 4 mesi di carcere), Valentino Sarno, Massimiano Mollo e Walter Palumbo (tre anni) e lo scaurese Diego Camerota, condannato a due anni e quattro mesi dopo essere diventato un collaboratore di giustizia. Insomma, secondo le difese non c’è stata nessun’organizzazione e, se i reati ipotizzati dalla Dda sono stati consumati, vanno inquadrati singolarmente, a cominciare dagli innumerevoli episodi di spaccio ai quali è stato attribuito esclusivamente un carattere soggettivo.
Il Tribunale penale di Cassino (presidente Marco Gioia, a latere Maria Cristina Sangiovanni e Pio Cerase) intanto ha chiesto un proroga di ulteriori novanta giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza con cui furono condannati il 22 dicembre 2022 gli indagati di “Touch & Go” che scelsero di essere processati con il rito ordinario. Furono inflitti ottantasette anni e tre mesi di reclusione a fronte di 11 condanne e di un’assoluzione, dell’unica donna a processo.
Se il sostituto procuratore della Dda di Roma Fasanelli aveva chiesto al termine della sua requisitoria 147 anni e mezzo di carcere sollecitando condanne dai 12 ai 14 anni per gli imputati, la sentenza del giudice Marco Gioia era stata – si fa per dire – più mite. Innanzitutto ha escluso per i 12 imputati l’aggravante del vincolo associativo di stampo camorristico ma ha applicato l’aggravante prevista dall’articolo 74 del Dpr 309 del 1990.
Tuttavia le condanne più pesanti – 10 anni e mezzo – erano state inflitte ad Armando Danilo Clemente e Domenico De Rosa e a Giuseppe De Rosa (10 anni e 4 mesi di carcere). Gli altri provvedimenti detentivi hanno riguardato, inoltre, Matteo Rotondo (sette anni e 4 mesi), Nocella Giovanni e Giuseppe Leone (sette anni e 2 mesi), Francesco Leone (sette anni),Giancarlo Di Meo (sei anni e 10 mesi), Daniele Scarpa e Giuseppe Sellitto (sei anni e 8 mesi) e Marco Barattolo (quattro e due mesi). L’unica assoluzione aveva riguardato – come detto – l’unica donna, Raffaella Parente che, difesa dall’avvocato Massimo Signore, aveva chiesto, come gli altri 11 imputati, di essere giudicata con il rito ordinario.
Il collegio difensivo degli undici condannati – composto dagli avvocati Enrico Mastantuono, Massimo Signore, Vincenzo Macari, Luca Scipione, Giovanni Valerio, Eduardo Fascione, Gianluca Di Matteo, Giuseppe Vernacchio, Pasquale Cardillo Cupo e l’avvocato Riccio del foro di Benevento- sta attendendo ora le motivazioni del giudice Gioia prima di proporre eventualmente ricorso in appello. Le difese, coordinate dall’avvocato Enrico Mastantuono, anche nel Tribunale di piazza Labruiola avevano criticato la ricostruzione della Dda nella misura in cui non avrebbe saputo ricostruire l’esistenza di questa associazione a delinquere nel corso del tempo in modo continuativo, sistematico e duraturo.