LATINA – La mattina del 9 maggio, la Procura di Spoleto ha eseguito diverse perquisizioni nelle province di Modena, Padova, Genova, Pesaro, Latina, Caserta, Campobasso e Palermo, che hanno portato all’indagine di 18 individui, sia italiani che stranieri. L’associazione per delinquere a scopo di truffa, ricettazione e riciclaggio viene contestata a vario titolo. Nei raid sono stati sequestrati diversi dispositivi informatici, come pc, cellulari, tablet e materiale cartaceo.
L’indagine è stata avviata a seguito della denuncia di una donna della Media Valle del Tevere, che ha riferito alle autorità di aver inviato diverse migliaia di euro al suo fidanzato virtuale che le aveva chiesto aiuto per risolvere una situazione difficile. In seguito, la vittima non è più riuscita a contattare il suo presunto fidanzato. In totale, circa quaranta donne hanno denunciato di essere state truffate, ma l’associazione criminale avrebbe commesso molte più truffe romantiche. Gli inquirenti hanno infatti scoperto un gran numero di frodi solo esaminando i movimenti dei conti correnti utilizzati dagli indagati.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i falsi profili social utilizzati per attirare le vittime venivano creati in Africa centrale e occidentale, dal cosiddetto primo livello dell’organizzazione criminale. Successivamente, le persone coinvolte nel secondo livello del gruppo si occupavano del riciclaggio dei soldi ottenuti dalle truffe, depositandoli sui loro conti correnti, talvolta in cambio di una percentuale, altre volte senza esserne consapevoli. Con i soldi accumulati dalle truffe, l’associazione criminale acquisiva automobili, materiale edile, condizionatori e altri beni, che venivano spediti in Nigeria tramite container.
La truffa si basava su falsi amori virtuali che, una volta che erano stati resi credibili, portavano alla richiesta di denaro per fantomatiche problematiche che il finto partner diceva di avere. In generale, le vittime versavano somme di denaro, alcune migliaia di euro, mentre nel caso di rifiuto ad accreditare il denaro, gli inquirenti sostengono che scattavano le estorsioni. I truffatori minacciavano infatti di pubblicare immagini intime che la vittima avrebbe potuto inviare al truffatore durante la relazione virtuale. Dalle indagini informatiche sui cellulari degli indagati è emerso che questi avevano creato gruppi sui social network per gestire le vittime, riciclare il denaro e definire le percentuali delle truffe commesse nel tempo.