Frosinone / Omicidio Serena Mollicone, fissata la prima udienza del processo d’appello

Cassino Cronaca

FROSINONE  – Inizierà prima del previsto – il prossimo 26 ottobre, alle ore 9.30 – davanti la prima sezione della Corte d’Assise d’appello di Roma il processo di secondo grado per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Serena Mollicone e per l’istigazione al suicidio del brigadiere dei Carabinieri Santino Tuzi. Nella giornata di giovedì è stato notificato alle parti in cause – difese e parti civili – il decreto con cui il presidente della Corte, il giudice Vincenzo Gaetano Capozza, lo stesso magistrato che sta celebrando il processo d’appello per la morte del povero Willy Monteiro Duarte , ha fissato il secondo round processuale in ordine ad uno degli ultimi “misteri d’Italia”, la sparizione e l’uccisione, avvenute il 1 giugno 2001, della 18enne studentessa di Arce.

Il 26 ottobre si ripartirà soprattutto dal principale ricorso presentato dal Capo della Procura di Cassino e dal sostituto Procuratore Maria Beatrice Siravo contro l’assoluzione – decretata il 15 luglio scorso dalla Corte d’Assise del Tribunale di piazza Labriola- nei confronti di cinque imputati, Marco, Franco e Annamaria Mottola (difesi rispettivamente dagli avvocati Piergiorgio Di Giuseppe, Francesco Germani e Mauro Marsella), l’ex luogotentente dente dei Carabinieri Vincenzo Quatrale (avvocato Francesco Candido) e l’ex appuntato di Itri della stessa Arma, Francesco Suprano (avvocatessa Cinzia Mancini).

Chi si attendeva l’inizio del processo d’appello agli inizi del 2024 è rimasto deluso. Il “timing” previsto sarebbe dovuto essere diverso in considerazione di due date: il Tribunale di Cassino, dopo due rinvii, soltanto, il 6 febbraio scorso ha depositato in 250 pagine le motivazioni per i quali sono stati assolti i cinque imputati essenzialmente per non aver commesso il fatto e poi perché i ricorsi erano stati presentati, a più riprese, davanti la Corte d’Assise d’appello 45 giorni più tardi, comunque entro il 21 marzo scorso.

La fissazione della data d’inizio del processo di secondo grado per l’omicidio di Serena Mollicone (con i presunti depistaggi che ne seguirono nelle ore e giorni successivi) e per l’istigazione al suicidio di Santino Sora del 9 marzo 2008 – il brigadiere di Sora si sarebbe tolto la vita alla vigilia di un interrogatorio in Procura di Cassino in cui avrebbe dovuto confermare di aver visto Serena nella caserma di Arce la mattina del 1 giugno di 22 anni fa – ha chiarito, dopo le polemiche del mese scorso, l’entità delle partiti civile che hanno proposto appello alla sentenza di proscioglimento di primo grado. Sono complessivamente otto, il papà deceduto di Serena Guglielmo, lo zio Antonio (assistito dall’avvocato Dario De Santis), la sorella Consuelo (avvocato Sandro Salera), la zia Armida (avvocato Federica Nardoni), i figli del brigadiere Tuzi Maria e Fabio (avvocato Elisa Castellucci); il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri (attraverso l’avvocatura dello Stato) e, inoltre, l’amministrazione comunale di Arce che ha impugnato la sentenza di assoluzione attraverso l’avvocato Antonio Radice).

Il ricorso contro l’assoluzione di Franco, Marco e Annamaria Mottola, del luogotenente Quatrale e dell’appuntato itrano Suprano ricalca la requisitoria fiume svolta dalla dottoressa Siravo lo scorso 1 luglio davanti la Corte d’assise del Tribunale di Cassino. E cioè che Serena Mollicone è stata uccisa tra le 11 e le 11.30 del 1 giugno 2001 nella caserma dei carabinieri di Arce dal figlio del comandante Marco Mottola. I due litigarono in precedenza in auto nei pressi del bar Chioppetelle – Serena doveva andare a scuola a Sora dopo il dentista – e ad avvistarli fu Carmine Belli, arrestato ma assolto in tre gradi di giudizio per essere considerato l’esecutore materiale del delitto. La Procura aveva già’ puntato il dito contro il ragazzo biondo “con i capelli mesciati”.

La dottoressa Siravo non seppe indicare la causa del litigio ma – a suo dire – l’arma del delitto e’ “oltre ogni ragionevole dubbio” la porta del bagno dell’alloggio sfitto della caserma, a lungo occupato da Francesco Suprano. “L’unica che potesse dirci chi ha ucciso Serena era Serena stessa ma noi siamo arrivati ad avere una prova scientifica solidissima”. La rappresentante della Procura si soffermò sulle accurate analisi circa la compatibilità della lesione sul capo della vittima con i segni presenti sulla porta. Non ci possono essere ipotesi. La Procura volle difendere le sue conclusioni: i frammenti di legno, le tracce di colla e vernice rinvenute sul nastro adesivo con cui è stata imbavagliata e legata Serena e nei suoi capelli fanno ritenere che”l’omicidio è avvenuto all’interno della caserma” e che “la porta – come detto – è l’arma del delitto oltre ogni ragionevole dubbio” .

Il Pm Siravo non esplicitò un movente certo sulla lite tra i due ragazzi ma ha detto di dare molto credito alla tesi di Guglielmo Mollicone, convinto che la figlia volesse denunciare Marco Mottola per la sua nota attività di spacciatore ma beneficiario dell’immunità garantita dal ruolo del padre. Se l’avvistamento di Belli è stato definito credibile, per il Pm Siravo sono state false le testimonianze di Pier Paolo Tomaselli e Simonetta Bianchi per i suoi tanti “non ricordo” al punto da chiedere la trasmissione degli atti relativi alla loro deposizione per indagarli per falsa testimonianza.

Probabilmente l’omicidio non ci sarebbe stato se Serena non fosse stata andata in caserma a ritirare i suoi libri dimenticati nella Y 10 bianca – l’unico esemplare in circolazione ad Arce – a bordo della quale lasciò il bar Chioppetelle. Marco Mottola sapeva di essere nel mirino degli inquirenti e – secondo il Pm Siravo – si sarebbe falsamente fidanzato con Laura Ricci. Si raccomandò dicendole che se fosse stata interrogata avrebbe dovuto rispondere che fu lei a litigare con Marco la mattina del 1 giugno. Il comandante Franco Mottola svolse – secondo la Procura di Cassino – un ruolo determinante a far ritardare l’inizio delle indagini e a compiere una serie di depistaggi. Il 27 giugno 2001 – 25 giorni dopo il delitto- avrebbe chiesto di dire proprio alla commessa del bar Chioppettelle Simonetta Bianchi di aver visto Serena in una fase successiva al delitto, il pomeriggio dell’1. Mottola poi andò a fare un sopralluogo al bar Chioppetelle, che si trova nel territorio di Fontana Liri, senza avere alcuna competenza territoriale.

Il Comandante poi – secondo il Pm Siravo – avrebbe ricevuto da Carmine Belli la notizia di aver visto Serena litigare con il figlio Marco ma non la mise per iscritto cosi come non redasse alcun verbale quando, la notte del 2 giugno, si recò a casa Mollicone per prelevare alcuni oggetti della studentessa in quel momento scomparsa. Per la Procura quelli di Mottola furono depistaggi. Altro che sciatteria! Lo capirono in Procura a Cassino gia’ nell’aprile 2002 che sul conto di Mottola rilevarono il suo “inconsistente apporto investigativo”. Quando il comando provinciale dei Carabinieri di Frosinone fu sul punto di disporre il suo trasferimento, Mottola in maniera unilaterale decise di lasciare il comando della stazione di Arce.

Il ruolo, poi, svolto da Annamaria Mottola, la moglie di Franco e mamma di Marco. La donna tra la mezzanotte e l’una del 2 giugno avrebbe aiutato il marito a disfarsi del corpo di Serena nel bischetto di Fonte Cupa. Lo comproverebbe il traffico telefonico in uscita ed in entrata da casa Mottola, il contenuto degli ordini di servizio e la ricostruzione di un teste che avrebbe visto Annamaria rientrare a casa quando la donna aveva dichiarato di aver trascorso la serata in un bar di Arce in compagnia di alcuni amici di famiglia. Il boschetto di Fonte cupa, poi, non fu scelto per caso: era distante dal bar Chioppettelle dove ci sarebbe stato il primo litigio tra Marco e Serena.

Era meglio non mettere sullo stesso piano il luogo della prima lite e dell’occultamento del cadavere Gli ordini di servizio dei Carabinieri, oltre agli inesistenti elenchi delle presenze, furono falsificati. Il motivo? Mottola – secondo la Procura – è rimasto in caserma a fare altro, a reperire il nastro adesivo con fu immobilizzato il cadavere e “a far morire Serena” dopo un’agonia di quasi quattro ore. Serena, se soccorsa in tempo, poteva essere salvata.

Per la riapertura delle indagini nel 2016 sono state determinanti, fondamentali, oltre gli accertamenti medico legali, anche le confessioni del brigadiere suicida Santino Tuzi. Era preoccupato che gli mettessero le manette “per quello che è successo qua”  – cominciò a vuotare il sacco all’amante Anna Rita Torriero e ai suoi superiori nel primo interrogatorio del 28 marzo 2008 dopo quello del collega Francesco Suprano. Il brigadiere di Sora racconto’ di aver ricevuto il 1 giugno di sette anni prima un chiamata dall’alloggio della famiglia Mottola , forse era Marco. Gli preannuncio’ che sarebbe arrivata una ragazza. Tuzi ricordò quali fossero stati i vestiti  e la borsa a forma di parallelepido con alcune frange che Serena portava(come confermano le sue amiche) ma non fu mai più trovata. Il Carabiniere prima disse che fosse Serena ma, correggendosi, precisò che potrebbe “essere stata lei”.

Dopo quel delitto, la stazione di Arce  – denunciò il Carabiniere – ha perso la memoria. Il 9 aprile 2008 Tuzi prima nego’ di aver avvistato l 1 giugno Serena. Dopo alcune ore e dopo un colloquio privato con il pm Maria Perna, confermo’ la versione resa il 28 marzo dicendo di aver visto Serena dai monitor e dalla vetrata. Aggiungendo che “sino a quando sono rimasto in caserma non ho visto uscire nessuno”. Dopo quella  terza dichiarazione Tuzi era piu rilassato.Gli ordini di servizio dei Carabinieri, oltre agli inesistenti elenchi delle presenze, furono falsificati. Il motivo? Mottola e’ rimasto in caserma a fare altro , a reperire il nastro adesivo con fu immobilizzato il cadavere e “a far morire Serena” dopo un’agonia di quasi quattro ore. Serena, se soccorsa in tempo, poi, poteva essere salvata. Santino Tuzi si e’ suicidato perche – aggiunse il Pm Siravo-  lasciato solo dai suoi colleghi di lavoro. Aveva negli occhi lo spettro di Carmine Belli e, dunque. di fare la sua stessa fine, di essere arrestato”.  Secondo il Pm Siravo Tuzi fece quelle dichiarazioni, prima ritrattate e poi confermate, perché temeva di essere arrestato e fare la stessa fine di Carmine Belli, di essere arrestato. Il Carabiniere (“Se Marco lo schiaffano dentro sono contento”) si tolse la vita l’11 aprile di 15 anni fa e – secondo la Procura – il maresciallo Vincenzo Quatrale – esercitò delle pressioni perché ritrattasse quanto dichiarato in Procura

Naturalmente i ricorsi in appello delle parti civili sono state accompagnati da contestuali richieste di risarcomento danni. Se cinque di loro (Consuelo, Armida e Antonio Mollicone, famiglia Tuzi ed il comune di Arce) hanno chiesto di essere ristorati per oltre cinque milioni di euro, il comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha formalizzato la richiesta di pretendere 200 mila euro complessivamente dai tre ex militari – il comandante della stazione di Arce Franco Mottola, il suo vice, il luogotenente Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano – assolti il 15 luglio 2022…