PONZA – Quella che sta per inizia potrebbe essere una settimana importante per una possibile svolta che potrebbe conoscere l’inchiesta sull’omicidio di Gimmy Pozzi, il giovane romano trovato privo di vita a 28 anni a Ponza il 9 agosto 2020 in circostanze ancora misteriose e non ancora chiarite.
Si attende con legittimità curiosità le decisioni che potrebbe assumere il magistrato titolare del fascicolo, il sostituto procuratore Flavio Ricci, dopo il misterioso rinvenimento, a quasi tre anni dai fatti, di una carriola abitualmente utilizzata nei settori edile ed agricolo in un podere di campagna in via Staglio, non molto lontano dal luogo in cui in una torrida domenica di tre anni fa il campione di kickboxing, impegnato d’estate a Ponza a lavorare come buttafuori in un locale della movida del porto, venne trovato privo di vita con numerose ferite alla testa e in altre parti del corpo.
Per i Carabinieri della Compagnia di Formia, che all’epoca svolsero le indagini, Pozzi fu vittima di un incidente che nel senso che, correndo in maniera agitata, sarebbe caduto accidentalmente da una balaustra alta cinque metri. I familiari del buttafuori scomparso hanno sempre ipotizzato il contrario e, cioè, che Gimmy possa essere stato addirittura ucciso nell’ambito di un regolamento di conti nell’ambito della gestione della piazza dello spaccio nella movida estiva isolana.
A rinvenire per caso la carriola è stato il padre della vittima, Paolo, giunto a Ponza per continuare le indagini difensive dal momento che l’inchiesta ufficialmente è ancora aperta. Paolo Pozzi ha chiesto l’intervento della Guardia di Finanza per sequestrare quella carriola arrugginita e abbondata nei campi legando questo attrezzo ad una testimonianza resa tre anni fa ai Carabinieri da uomo di Ponza che aveva riferito ai familiari di Gimmy di aver visto nei minuti successivi all’incidente, e primancora del rinvenimento del corpo privo di vita del 28enne atleta, di aver notato un gruppo di persone che trasportava su una carriola un cadavere che aveva le gambe penzolanti all’esterno del piccolo mezzo.
Un fatto è certo: il testimone oculare quella ricostruzione non l’ha più confermata per timore – pare – di ritorsioni. Naturalmente la carriola è stata sequestrata e bisogna verificare nelle prossime ore le decisioni della Procura che potrebbe dare un incarico ad un proprio perito, forse un genetista, per individuare tracce di dna di Pozzi nella “pancia” dell’attrezzo.
In effetti i rapporti tra la Procura di Cassino e i familiari e i legali che stanno assistendo la famiglia del buffafuori romano non sono mai stati facili. Soltanto nel marzo 2022 il perito informatico dell’autorità inquirente sostenne come il telefonino del campione di kickboxing fosse risultato inutilizzabile. Aveva effettuato un download dei dati che si trovavano sull’Iphone 7 di Gianmarco su un altro dispositivo, ma a mancare sarebbe stato proprio il backup dell’ultimo mese – dal 23 luglio al 9 agosto 2020 – che sarebbe stato impedito in seguito alla presunta manomissione e che avrebbe potuto contribuire a risolvere il caso.
“È stato da un precedente perito del vecchio pm inquirente, il dottor Cerqueto, il quale – ha spiegato l’avvocato della famiglia Pozzi, Fabrizio Gallo – ha consegnato il telefono dopo circa un mese, un mese e mezzo, dichiarando che il telefono si era bloccato”.
“In realtà avevamo scoperto un’altra cosa – ha aggiunto Gallo – dopo grande insistenza da parte del Pm, è stato deciso di dare un nuovo incarico ad un altro perito, uno dei migliori d’Italia ricevendo il telefono, e si era accorto che il telefono non era bloccato, è stato disabilitato”.
Le accuse della parte civile erano state dure e circostanziate: “Non è possibile che un tecnico sia così sprovveduto, perché continua a fare, nonostante gli 8 tentativi per bloccare un Iphone 7, ma i successivi, fatti a cadenza di tempo, per andarlo a disabilitare per sempre, cancellando ogni cosa di quel telefonino, questa è la prima ipotesi. O che lui abbia ricevuto già il telefono disabilitato e ha commesso un falso dichiarando nella sua perizia che lo ha bloccato lui. A questo punto la famiglia ha presentato – aveva aggiunto l’avvocato Gallo – una denuncia nei confronti di questo Cerqueto”.
Per la famiglia il telefonino era stato bloccato prima che facesse l’ultimo download sull’iCloud. Con una conclusione: i dati del telefonino di Jimmy era fermi al 22 luglio del 2020, “qualche giorno prima che morisse”.