FORMIA – Sta per aprire i battenti la mostra del maestro d’arte di origine formiane, ma fama internazionale Giuseppe Supino. Circa cento opere rimarrano esposte dal 29 luglio al 12 agosto presso la sala Falcone- Borsellino di piazza Municipio, a Formia, dalle 18 alle 21, e – all’apice della sua carriera pittorica – il maestro Supino spera che quest’ennesima esposizione possa catturare l’attenzione di molti visitatori, ma ancor più la loro curiosità artistica.
A tale scopo non solo la mostra sarà accompagnata da una numerazione che indichi il giusto percorso per visitarla, ma anche una serie di didascalie che consentano di andare oltre il semplice sguardo. In effetti, di base, c’è una speranza culturale molto solida nell’animo di Giuseppe Supino, frutto di un’idea raccolta in eredità da uno dei suoi maestri per eccellenza: Giorgio de Chirico.
Com’è dipinto? È ciò che si è chiesto de Chirico approcciando alla sua teoria di “Ritorno al mestiere”, la lezione che ha ereditato Supino e la domanda che – non fosse altro che per andare oltre all’estetica delle bellezza – vorrebbe che i suoi stessi estimatori fossero in grado di porsi.
Una “lezione” indispensabile per il Pittore formiano, la cui convinzione è che essa sia proprio architrave della sua arte, avendo colto e fatta propria la necessità di padroneggiare il “mestiere”, esattamente nello stile di de Chirico.
I dipinti di Supino non sono colori sfociati da tubetti pressati, ma il frutto di un’attenta lavorazione di “pigmenti”, ovvero polveri ottenute da pietre di eterogenea fattezza, misti a lacrime di olio di mandorla. La cosiddetta “tempera grassa”, alla quale si affianca un’altra tecnica quella definita “tempera magra”, per cui i medesimi pigmenti vengono miscellati con l’albume d’uovo.
Ne nascono colori brillanti, resistenti al tempo, che vivono nel dipinto quasi di vita propria e che, certamente, possono essere considerati una sorta di storia nell storia che raccontano attraverso il disegno.
Questa è la realtà artistica di Supino che non sarebbe emersa se non avesse incontrato la disciplina di un uomo di strabiliante cultura e fortemente interessato agli aspetti tecnici e artigianali della pittura come de Chirico, il quale rivendicò la necessità di ritornare a studiare le opere dei grandi artisti italiani fino al Cinquecento partendo da un esame delle tecniche utilizzate.
Ecco il “ritorno al mestiere” che nel 1928 è diventato anche un testo dal titolo “ll piccolo trattato di tecnica pittorica” che, con scopi didattici, fornisce indicazioni fondamentali proprio per apprendere il mestiere. Tant’è che dopo un’introduzione, l’opera si compone di tre parti: il materiale; la pittura a tempera; la pittura ad olio.
Supino – ancora oggi, all’età di 92 anni – non si costruisce i pennelli, così come de Chirico suggeriva per scendere nelle viscere del mestiere e vivere in condizione totalizzante l’atto creativo, ma i colori sì.
Con le prime ore di ogni nuovo giorno, mentre gli altri dormono ancora, Supino mescola i suoi pigmenti – o sceglie le mine ottenute dalla pietra grassa dei monti Alemagna per i “Sanguigne” – e, nel suo studio rilucente di luna o di sole, all’ultimo piano affacciato sul Golfo di Gaeta – riempie una nuova tela di immagini dettagliate, colori vivaci e tanta speranza: che non vada perso il gusto della bellezza e la bellezza della cultura!