CASTELFORTE – Ma il Centro servizi ambientali di Castelforte è tenuto a tenere a liquidare il benefit ambientale – una sorta di ristoro economico – al comune che ospita i suoi impianti? A questo interrogativo, a margine di un contenzioso in piedi, non è riuscito a dare una risposta neppure la quarta sezione del Consiglio di Stato (presidente Gerardo Mastrandrea, consiglieri Luca Monteferrante, Fabrizio Di Rubbo, Ofelia Fratamico e Paola Marotta) che ha emesso quella che tecnicamente è “una sentenza non definitiva” sul ricorso dei legali del Csa di Castelforte contro una sentenza del Tar del Lazio (la numero 11362 del 2017) che obbliga la gestione dell’impianto di Castelforte a riconoscere non solo al comune aurunco ma anche a quello di San Vittore del Lazio – sede dell’inceneritore gestito da Acea spa – una sorta di ristoro economico (compreso tra il 10% ed il 20% della tariffa disposta dalla Regione) per il trattamento e smaltimento dei rifiuti conferiti.
A deciderlo, dopo due gradi di giudizio della magistratura amministrativa e finanche dopo un parere della Corte Costituzionale, sarà la Regione Lazio e, in particolare, la sua direzione sul ciclo dei rifiuti. Il Csa si è sempre opposto a questa disposizione che, normata dalla legge regionale numero 27 del 9 luglio 1998, era stata attuata successivamente, l’11 marzo 2005 dal commissario delegato per l’emergenza ambientale del Lazio. Il contenzioso economico “abbraccia” gli anni successivi al 2013 nei corsi dei quali il comune di Castelforte ha sempre chiesto di beneficiare delle spettanze dovutegli, anche con effetto retroattivo.
Il ragionamento, in sintesi, che ha sempre effettuato la difesa del Csa è stato il seguente: “Trattiamo la frazione secca e non i rifiuti tali e quali”. Il Tar, invece, l’ha sempre pensato diversamente: l’impianto del Csa è da considerarsi di preselezione. Il rifiuto da esso ricevuto sarebbe – gli stessi giudici amministrativi di primo grado utilizzavano il condizionale – un rifiuti che necessita di un pretrattamento dato che, a sua volta, proviene non da altro impianto di preselezione ma direttamente dai comuni conferenti”.
Insomma – secondo la versione del Csa – avrebbe dovuto contribuire a versare il benefit ambientale al comune di Castelforte, in proporzione , anche la Provincia di Latina e i comuni di Roccasecca, Formia e Gaeta che hanno deciso di non costituirsi davanti il Tar.
Contro la decisione del Tar favorevole al comune di Castelforte il Csa decise di proporre appello con ben sette motivi, uno dei quali è la presunta incostituzionalità della legge istitutiva del benefet ambientale (la legge 27/1998) che prevede “in sintesi un tributo regioonale non autorizzato dalla legge statale”, più speficatamente dall’articolo 119 della Costituzione.
Al Consiglio di Stato si è costituita “ad opponendum” una società concorrente al Csa di Castelforte, la Rida Ambiente di Aprilia, che, unitamente alla locale amministrazione comunale, aveva assunto – secondo l’impresa castelfortese – un comportamento contradditorio”: aveva chiesto che l’appello dello stesso Csa venisse respinto “pur insistendo sull’incostituzionalità della norma che prevede il benefit stesso”.
Se questa strategia della Rida ha una pesante valenza economica ben precisa – come sarà illustrata nelle successive righe – il Consiglio di Stato nelle udienze del 18 e 20 giugno 2020 di fatto ha accolto, nella sostanze, le rimostranze giuridiche del Csa in ordine alla presunta anti costituzionalità della legge regionale 27/1998 “nella parte in cui prevede che la tariffa per conferire i rifiuti agli impianti di smaltimento e alle discariche vada determinata prevedendo la ‘quota percentuale della tariffa stessa’”
Il giudizio – ed è questo un altro interessante ma irrisolto aspetto – venne sospeso e solo il 12 giugno 222 con la sentenza della Corte costituzionale la questione venne dichiara inammissibile per difetto di rilevanza. Ma la Consulta tirò le orecchia alla sezione incaricata del Consiglio di Stato perché “omesso di qualificare l’impianto dell’appellante”. Quello, per intenderci, del Centro servizi ambientale.
Gli atti sono tornati davanti il Consiglio di Stato che nel nuovo round disputato lo scorso 18 maggio ha preso atto del parere di Costuzionalità della legge numero 27/1998 emesso dalla Corte motivandolo con un’ordinanza, la numero 5418 del 26 febbraio 2021, della sezione Civile della Corte di Cassazione secondo la quale “il benefit ambientale non presenta i caratteri del tributo ma assume la natura di indennizzo a favore del comune ospitante l’impianto di smaltimento dei rifiuti”. Caratteristica che il Csa non ha e non ha mai svolto. Il Consiglio di Stato prima di emettere un giudizio, memore dei richiami della Corte Costituzionale, ha deciso ora di verificare le caratteristiche dell’impianto di Castelforte per acclarare “se possa essere o meno qualificato di preselezione e, come tale, soggetto al pagamento del benefit”
Questa verifica da parte del Consiglio di Stato c’è stata e nella “sentenza non definitiva emessa venerdì 8 settembre la conclusione, salomonica, è stata questa alla luce di quanto si legge a pagina 35 della relazione tecnica disposta dai giudici di palazzo Spada: “Accertato che il sito del Centro servizi ambientale non è un impianto di preselezione, il verificatore prospetta che l’appellante non dovrebbe essere soggetto al contributo ambientale” che – asserisce il Csa – ha sempre versato nelle casse del comune di Castelforte.
Il Consiglio di Stato ha deciso di non decidere e di chiamare in causa la direzione regionale del ciclo dei rifiuti – un parere è atteso nei prossimi 60 giorni – alla luce delle chiare conclusioni cui è giunto il verificatore nella sua relazione: “L’impianto polifunzionale del Csa risulta essere un impianto di selezione (come quello della “Porcarelli Gino &Co” di Roma) e non di preselezione in quanto dotato di autorizzazione e attrezzature tali da trattare la frazione secca e non quella umida. La sua presenza in quantitativi minimi non appare da giustificare la qualificazione di un impianto di trattamento della frazione secca….”
Il Consiglio di Stato ha deciso di non decidere quando “rileva la tesi favorevole all’applicazione del benefit anche agli impianti di selezione” per le ragioni summenzionate e pertanto ha concluso chiedendo di acquisire sul punto un chiarimento della direzione tecnica competente della Regione Lazio per comprendere (dopo 10 anni) la ratio dell’estensione dell’applicazione del benefit anche agli impianti di mera selezione dato che questi non trattano la frazione organica residua e si limitano a separarla nell’ambito del processo di selezione meccanica per poi avviarli a trattamento presso altri impianti dove si genera l’impatto ambientale da ristorare e che invece risulterebbe non indennizzato”
In attesa del parere – entro i prossimi due mesi – atteso dalla Regione Lazio, la querelle relativa al pagamento o meno del Benefit ambientale è l’argomento di un’inchiesta, con l’ipotesi di danno erariale, promossa dalla Procura regionale della Corte dei Conti. A sollevarla era stato il sindaco di San Vittore del Lazio Nadia Bucci dopo che il giudice Pio Silvestri il 7 marzo scorso ha indagato per danno erariale i vertici di alcune società che conferiscono i propri rifiuti presso il termovalorizzatore attivo dal 2002 in località “Valle Porchio” che, gestito da Acea Ambiente srl, trasforma in energia i rifiuti urbani.
Il sindaco avvocato Bucci ha lamentato una circostanza erariale che, se fosse acclarata in sede di giudizio, sarebbe molto grave: la Rida ambiente di Aprilia, la società ambiente Frosinone (la più nota Saf), la “E.Giovi slr” e l’Azienda Municipale Ambiente di Roma (la più nota Ama) dal 2013 in poi non avrebbe corrisposto al comune di San Vittore del Lazio (sede del termovalorizzatore) un benefit ambientale per un importo di 7 milioni e 519 mila euro. Le parti messe in mora avrebbero avviato una trattativa con il comune di San Vittore del Lazio per beneficiare di una ‘scontistica’ a margine di un’inadempienza.
E qual è la violazione normativa ipotizzata? Riguarda sempre il presunto mancato rispetto del decreto numero 15 dell’11 marzo 2005 dell’allora commissario all’emergenza ambientale della regione Lazio recepito dalla legge regionale numero 27/1998 . E’ la stessa che un po’ tutti e, soprattutto la Rida, continuano a definire anticostituzionale quando si tratta di ristorare davvero i comuni penalizzati dalla transumanza dell’immondizia.