SUD PONTINO – Come prevedibile si sposta su Gaeta la bufera dell’inchiesta su Pietro Lococo. Parte del sequestro di beni mobili e immobili per 4,5 milioni di euro riguarda infatti anche la «Piscicoltura del Golfo di Gaeta», la società cooperativa agricola a responsabilità limitata con cui l’imprenditore romano ai domiciliari esercita l’itticoltura da queste parti. Timori sono stati espressi ieri dai dipendenti per il blocco dei conti legato all’applicazione delle misure cautelari reali inserite nell’ordinanza del gip del Tribunale di Tivoli che contesta a Lococo e ad altri due imprenditori la truffa in danno dell’Unione Europea, che sarebbe stata portata avanti con fatture gonfiate per l’accesso ai benefici comunitari.
Ieri i legali dell’imprenditore, considerato tra i più in vista nel settore dell’acquacoltura, hanno presentato ricorso al Tribunale del Riesame proprio per ottenere una revoca del blocco dei conti. Intanto sono molteplici le reazioni sul territorio a questa indagine giudiziaria e si inseriscono nel solco delle polemiche sulla presenza degli impianti di acquacoltura nel Golfo. “Siamo davanti ad un ulteriore motivo per non perdere altro tempo e dare subito attuazione alla Carta Vocazionale dell’Acquacoltura che prevede lo spostamento degli allevamenti al di fuori del Golfo – dice il consigliere comunale di Formia, Luca Magliozzi.
L’indagine fa riferimento ad un presunto utilizzo illecito dei fondi europei F.E.A.M.P. 2014/2020, gli stessi che già da tempo si sarebbero dovuti attivare per sostenere lo spostamento off-shore degli impianti. Simone Avico del Movimento 5 Stelle afferma che “la politica del nostro territorio non ha mai voluto affrontare seriamente la questione: nessun intervento è stato fatto sulle imprese per far presentare progetti concreti per la delocalizzazione. Eppure sono anni che si sa che l’acquacoltura è incompatibile con l’Area Sensibile. Alcuni hanno pensato di prendere tempo, di lasciare tutto immutato e questi sono parte dei risultati. Va anche ricordato che questo episodio non è la prima vicenda giudiziaria che interessa gli impianti ittici del nostro Golfo: la società in questione, infatti, è subentrata al fallimento della precedente gestione (Med Fish)”.
Il crack della MedFish, oltre ad un buco da capogiro per circa 20 milioni di euro, lasciò sul campo conseguenze pesantissime per molti lavoratori e adesso la vicenda Lococo sta diventando una sorta di incubo capace di riportare al passato. Va detto che una delle leve chiamate in causa ogni volta che si parla di trasferire gli impianti fuori dall’area sensibile del Golfo è proprio il tassello dell’occupazione e dunque lo spettro che le imprese di itticoltura lascino del tutto il comprensorio con ricadute per i lavoratori. Ecco perché i dipendenti della «Piscicoltura del Golfo» temono che l’inchiesta si ripercuota sul loro reddito e sul loro destino a medio termine.
C’era da aspettarselo. Il gruppo di Formia della Guardia di Finanza ha promosso un’indagine conoscitiva per accertare eventuali collegamenti tra le attività esistenti nel mare del Golfo di Gaeta dell’itticoltura e la pescicoltura e l’inchiesta della Procura Europea che ha provocato nei giorni scorsi l’arresto ai domiciliari del 63enne imprenditore romano Pietro Lococo, amministratore “Piscicoltura del Golfo di Gaeta Soc. Coop. Agricola a r.l., dell’obbligo di dimora per altre cinque persone e soprattutto con il sequestro preventivo per un importo di oltre 4 milioni e mezzo ai danni proprio dell’impresa gaetana di Lococo.
Da questi elementi le Fiamme Gialle formiane hanno cominciato ad interessarsi delle attività legate all’allevamento delle orate e delle cozze per verificare eventuali contatti con l’inchiesta coordinata dalla Guardia di Finanza del comando provinciale di Trapani e del locale nucleo di polizia finanziaria sino all’emissione del provvedimento cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Tivoli, su richiesta della Procura europea, nei confronti di Lococo. Le indagini hanno fatto luce su irregolarità nell’ottenimento di contributi a fondo perduto, di origine europea, nazionale e regionale, per un ammontare complessivo appunto di quattro milioni e mezzo di euro, concessi dalle Regioni Sicilia, Lazio e Toscana alle diverse società coinvolte, a valere sul programma operativo F.E.A.M.P. 2014/2020, per progetti relativi alla realizzazione e al riattamento di siti produttivi.
Il meccanismo fraudolento funzionava così: le società beneficiarie dei contributi affidavano i lavori ad una sola ditta, solo apparentemente terza ma, di fatto, avente stessa compagine societaria delle committenti, e proprio per questo in violazione della normativa comunitaria e nazionale di settore. L’escamotage permetteva quindi una maggiorazione fittizia delle voci di costo. In questa maniera la rendicontazione finale veniva gonfiata attraverso la sovrafatturazione delle spese oggetto dei contributi pubblici. Le indagini hanno altresì dimostrato come i profitti delle truffe finissero nei conti della società soltanto apparentemente terza che aveva a capo un amministratore fittizio. Il vasto raggiro avrebbe permesso a Lo Coco, “dominus dell’associazione”, di utilizzare l’illecito profitto per pagare il proprio personale dipendente, per acquistare materiale e per onorare le fatture delle diverse società del gruppo.
L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore di Marsala, Maria Milia, verte sulla legittimità concessione dei contributi comunitari destinati alla pesca. Si tratta di una storia di aiuti a fondo perduto, tratti dal programma operativo del Feam, il fondo europeo per gli affari marittimi e per la pesca. Secondo l’accusa sarebbe stato creato un meccanismo di maggiorazione fittizia dei costi, una rendicontazione gonfiata in cui più società, beneficiarie di contributi, si sarebbero avvalse della stessa ditta. Gli accertamenti, nella fase embrionale, della Fiamme Gialle sono finalizzati a verificare una circostanza: se il ‘modus agendi’ di Lococo (la cui impresa di Gaeta era subentrata al fallimento della precedente gestione della Med Fish) perpetrata nella gestione di diverse realtà imprenditoriali dislocate in diverse località italiane si stato o meno applicati anche negli allevamenti che l’assessore regionale all’ambiente Elena Palazzo ha annunciato di delocalizzare a 13 anni dall’istituzione del Golfo quale area sensibile.
Se il fallimento della Med Fish all’epoca dei fatti provocò fortissime e legittime tensioni di natura economica tra le maestranze rimaste senza lavoro, questo stato d’animo lo stanno vivendo a Tivoli gli attuali dipendenti facenti parte dell’arcipelago imprenditoriale di Lococo. Temono ai loro danni ripercussioni dopo il blocco dei conti intestati al 63enne unitamente all’applicazione delle misure cautelari reali inserite nell’ordinanza del gip del Tribunale che contesta a Lococo (e ad altri due imprenditori del settore) una truffa ai danni dell’Unione.
La difesa di Lococo non è rimasta inerme e ha confermato di aver presentato un ricorso al Tribunale del Riesame di Roma proprio per ottenere una revoca, o parziale, del blocco dei conti. Se la politica di Gaeta è impegnata a riflettere sulle conseguenze derivanti dai 13 rinvii a giudizio per la vendita ad una neonata società immobiliare del parcheggio del piazzale dell’ex Stazione ferroviaria della città, un attacco frontale a Pietro Lococo arriva dall’ex sindaco di Formia.
L’attuale capogruppo della lista Un’altra città -Movimento cinque stelle Paola Villa traccia la biografia imprenditoriale di Lococo su scala nazionale e negli impianti esistenti nel mare del Golfo: “Si tratta di 70 vasche in cui si allevano le orate, i cui concimi sono responsabili di aumento di nitrati e fosfati delle acque con conseguente eutrofizzazione e danno ambientale dell’eco sistemna marino Golfo di Gaeta. Se l’inchiesta ha accertato l’esistenza di spese gonfiate e di progetti addirittura affidati a ditte riconducibili sempre allo stesso Pietro Lococo, si spera che questa vicenda acceleri finalmente lo spostamento off-shore di quelle maledette gabbie inquinanti del nostro golfo. Sono le stesse gabbie che poco più di un mesetto fa l’assessore regionale, Elena Palazzo, ha dichiarato la necessità per un loro spostamento modificando in maniera balorda – così si esprime la professoressa Villa – la delibera di istituzione dell’area Sensibile facendo rimanere all’interno del Golfo gli impianti di cozze. Ricordiamo all’assessore Palazzo i retini e le boe disperse su tutte le nostre spiagge, provenienti dagli impianti di mitilcoltura. Ricordiamo alla Palazzo che lo smaltimento irregolare dei retini ha portato a processo 18 titolari di attività di mitilicoltura del golfo per rispondere di danno ambientale. Ricordiamo che nel 2019 il comune di Formia si costituì parte civile e fu anche accolta la richiesta dal giudice, speriamo che stavolta il comune non si “dimentichi” di nominare l’avvocato che lo rappresenta, così giusto per ‘accontentare’ qualche avvocato difensore. Speriamo che stavolta sia la volta buona per vedere fuori dal Golfo le gabbie e tutto quello che si portano dietro”.