GAETA – E’ un romanzo psicologico da leggere tutto d’un fiato con momenti di autentica catartica suspence. Apprezzato docente di matematica, generoso appassionato di cucina e di storia delle tradizioni e soprattutto “innamoratissimo” della sua Gaeta, il professor Bruno Di Ciaccio in questi giorni è stato travolto da attestati di critica dopo aver pubblicato (per AliRibelli) la sua settima fatica letteraria che, senza nulla togliere alle sei precedenti, è forse il testo della maturità e della sua svolta in qualità di poliedrico scrittore. S’intitola molto semplicisticamente “La Barista” il romanzo ambientato in un quartiere popolare di Roma, l’Atratino, nel 2010.
La storia si svolge quasi interamente (e naturalmente) all’interno di un bar, il bar Cavour, un mondo tutto a sé che racchiude al suo interno tanti altri piccoli mondi, “il crocevia di molte vite apparentemente ordinarie, spente e grigie come i palazzoni e le strade di una anonima periferia”. La protagonista delle velocissime 138 pagine del professor Di Ciaccio è una donna, Letizia, la barista, è il personaggio capace ed in grado di cogliere di quelle vite che le si presentano davanti un comunissimo banco i disagi, le precarietà, i dolori. “La barista” si preannuncia un ottimo regalo di Natale perché il suo autore, forte del suo riconosciuto background di professore, conferisce al suo personaggio non tanto un buon carattere quanto la capacità all’ascolto (dote e qualità unica e rara in una società troppo veloce e iper relativista) tanti sorrisi, un’invidiabile gentilezza, fino a diventare un punto di riferimento, un conforto, un raggio di luce.
Per molti degli habitué che si avvicendano al bancone di quel locale romano la poliedrica Letizia finisce per diventare l’unica finestra dalla quale affacciarsi per non sentirsi esclusi dal mondo. Ciascuno dei suoi clienti conquista un ruolo da protagonista incarnando una condizione, uno spaccato di realtà, una situazione di vita. Bizzarri, cocciuti, pedanti, saggi, tutti recitano la loro parte in una routine che si ripete sempre uguale, annoiata e monotona. Nella quotidianità del quartiere Atratino capita ben poco di significativo e allora anche un pettegolezzo, un sospetto, una divergenza di idee, un elemento curioso, bastano ad infervorare o divertire gli animi. Fin quando nella storia compare Carlo, uno schivo professore supplente, del quale Letizia si innamora, persona educata ma misteriosa e sfuggente. I due iniziano a frequentarsi ma nei suoi discorsi sono sempre presenti considerazioni di insofferenza e di malessere sociale. Letizia cerca di indagare e viene a conoscenza che Carlo fa parte di un gruppo rivoluzionario che sta organizzando un attentato contro un giudice reo di aver perseguito atteggiamenti autoritari.
Letizia, un po’ perché innamorata ed un po’ perché ammaliata dalle argomentazioni di Carlo, decide di seguirlo nella sua azione. Non era un’eroina, ma il piano sembrava ben congegnato e con pochi rischi; soprattutto sperava che dopo l’attentato sarebbe riuscita a convincere Carlo ad avere una vita più normale. Ma qualcosa va storto ed il finale diventa tragico ed enigmatico tra casuale impegno politico in un luogo, un bar, in cui le considerazioni sull’ordine sociale sembrano essere relegate alla superficialità. Di ciascuno di noi. Nessuno escluso.
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