FORMIA – Forse ad una svolta la delicata inchiesta della Direzione Distrettuale antimafia di Roma sul misterioso ferimento di Gustavo Bardellino, avvenuto nel tardo pomeriggio del 15 febbraio 2022 nella concessionaria automobilistica “AutoBuonerba” in via Ponteritto in località Gianola a Formia. Sono stati restituiti ai legittimi proprietari i telefonini, i tablet e alcune agende cartacee sequestrati dai Carabinieri della Compagnia di Formia e del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Latina lo scorso 26 luglio quando la stessa Procura antimafia della capitale dispose lo svolgimento di una pioggia di perquisizioni ai danni di diversi pregiudicati e di alcuni componenti della famiglia Bardellino e delle tre persone che dallo scorso luglio sono indagate per il tentato omicidio di Bardelino junior, soprattutto l’imprenditore 47enne Luigi Diana ed il coetaneo Giovanni Lubello, l’ex genero (per via del matrimonio con la primogenita Katia) del boss Francesco Bidognetti.
Il contenuto – file video, foto e documenti – dei supporti magnetici sequestrati è stato oggetto di trascrizione – tecnicamente si chiamano “Devices” – e naturalmente è stato secretato. Il loro esame potrebbe risultare determinante per dare una svolta alle indagini con il possibile e più diretto coinvolgimento di persone al momento informate sui fatti. Le perquisizioni di cinque mesi fa verificarono sotto il coordinamento degli agenti della Dia i contatti esistenti sul territorio ma anche quelli con esponenti ancora di spicco nel clan dei casalesi. In totale le persone interessate dalle perquisizioni tra Formia e Minturno furono 12, praticamente l’entourage della famiglia Bardellino, altre 28 per altrettanti residenti in provincia di Caserta.
Interessata a prendere in esame queste trascrizioni è la Dda di Napoli che, dopo l’avvento di Nicola Gratteri alla testa della Procura partenopea, è titolare dell’inchiesta gemella finalizzata ad appurare la presenza o meno, sino al 2018, del fondatore del clan dei Casalesi, Antonio Bardellino, nel piano interrato di un’anonima villetta, in via dei Pini 7, all’interno del parco “Villaggio del Sole”, in località Acquatraversa a Formia. I pm della Dda partenopea non sono più convinti che il fratello maggiore dei Bardellino, sei anni fa avrebbe avuto 73 anni, sia stato ucciso in Brasile nel febbraio 1988 per mano di Mario Iovine continuando a frequentare, nascondendosi sotto terra in un bunker di modestissime dimensioni, gli altri componenti della sua famiglia un tempo in fuga da San Cipriano d’Aversa.
In effetti la terza persona indagata, ma esclusivamente per il reato di favoreggiamento, è Vito Iacopino, l’uomo di 81 anni che risulta formalmente proprietario della villa di viale dei Pini 7 nella quale è stato ritrovato il bunker che si ritiene essere stato il nascondiglio di Antonio Bardellino. Quella che la Dda capitolina si appresta a scrivere, alla luce delle copie forensi disposte lo scorso luglio, potrebbe essere la relazione da cui si potrebbe evincere la prima vera mappa dei contatti finita nella rete di Gustavo Bardellino, vittima dell’agguato di quasi due anni fa ma protagonista di una ragnatela di rapporti che finora era stato impossibile srotolare.
In effetti i decreti di perquisizione disposti dai pm della Dda furono due e quelli formiani, eseguiti dagli agenti della Dia, riguardarono – come detto – persone residenti nel sud pontino comunque legate alla famiglia Bardellino o suoi componenti. E cioè Ernesto Bardellino, residente a Formia, Flora Gagliardi, residente a Formia, Angelo Bardellino, residente a Formia, Calisto Bardellino, residente a Formia, Gustavo Bardellino, residente a Formia, Silvio Bardellino, residente a Minturno, Elisabetta La Pignola, residente a Minturno, Antonietta Bardellino, residente a Formia, l’altro Gustavo Bardellino, sempre residente a Formia in altro indirizzo e cugino del primo, Vito Iacopino, residente a Formia, presso l’appartamento del bunker e Giuseppe Favoccia, di Formia.
Quest’ultimo, di 71 anni, non è indagato per il ferimento di Gustavo Bardellino. Lo è invece – con l’ipotesi di porto abusivo di arma da fuoco – dopo che gli agenti del locale commissariato gli sequestrarono la pistola semiautomatica calibro 7.65 e priva di matricola, che sarebbe stata utilizzata per il tentato omicidio del nipote di Ernesto Bardellino. E’ una tesi “poco credibile” per il legale dell’uomo, l’avvocato Michelangelo Fiorentino, che, dopo la decisione di quest’estate del Gip di non convalidare l’invocata custodia cautelare in carcere, deve fare fronte alla conclusione dello scorso ottobre delle indagini preliminari della procura cassinate.
Il sostituto procuratore Eugenio Rubolino per l’ex autotrasportatore di bestiame, ritenuto da anni contiguo e amico di famiglia di Ernesto Bardellino e dei suoi figli, ha delegato i Carabinieri della Compagnia di Formia ad ascoltare l’imprenditore italo americano. Ma l’interrogatorio ancora non c’è stato e l’avvocato ha rinnovato in questi giorni la richiesta a dire un’altra verità su “quel ferro vecchio ed arruginito” rinvenuto dagli agenti del Vice questore Aurelio Metelli. Giuseppe Favoccia sa qualcosa di Antonio Bardellino in vita sino al 2018, anno della dichiarazione della sua morte sospetta? Per gli investigatori questa dichiarazione di morte sospetta, relativamente all’agguato mortale subito 30 anni prima in Brasile, sarebbe stata formalizzata per tentare di bloccare le ricerche dello stesso Bardellino.
Ad avvalorare questa ipotesi – che tale era ed è – è una foto sequestrata il 24 novembre 2011 a Formia ad un altro nipote di Antonio Bardellino, Angelo, in occasione di un suo arresto operato dalla Squadra Mobile di Latina: ritraeva un uomo a mezzo busto. Fu paragonata alla quella segnaletica dello zio e l’esito avrebbe certificato una “compatibilità totale” tra le due immagini, quella che ritraeva la persona sconosciuta e quella ufficiale di Antonio Bardellino. Quest’ultimo, quindi, se fosse stato in vita nel 2011, non sarebbe stato quindi assassinato nel 1988 come certificato, invece, dalla sentenza Spartacus nel 2005.
A parlare di Antonio Bardellino sarebbe stato il 4 agosto 2015 proprio Favoccia: raccontò agli agenti della Digos di aver incontrato nel 2010 Antonio Bardellino “presso lo scalo aeroportuale di New York”, dove aveva accompagnato la figlia di Ernesto Bardellino. Poi, nel 2017, Favoccia, sempre agli agenti della Mobile, avrebbe raccontato che Bardellino senior si era spostato tra il Paraguay e l’Uruguay, per interessi nel settore ittico. E’ una testimonianza credibile? Lo dirà il prosieguo delle indagini ora caratterizzate dalle copie forensi ultimate negli ultimi giorni del 2023.