GAETA – A sorpresa si riapre il caso del decesso di un marittimo di Gaeta che il 4 aprile 2011 alle nove del mattino venne trovato privo riverso a terra con una busta legata alla stretta con nastro adesivo nella sua cabina della nave commerciale italiana “Bottiglieri Challanger” sulla quale si era imbarcato due giorni prima presso il porto di Singapore. A distanza di quasi 13 anni dai fatti il Gip del Tribunale di Roma Mara Mattioli ha disposto riapertura delle indagini sulla scomparsa di Filippo Pittiglio, marittimo di 23 anni di Gaeta.
Il giovane venne trovato privo di vita mentre la nave di proprietà della Shipping Company di Napoli navigava nel Golfo della Malacca nell’Oceano Indiano. Le autorità marittime indiane, che intervennero a bordo, parlarono subito di suicidio. Si tratta di un’ipotesi che non ha mai convinto i genitori della vittima, papà Fernando e mamma Claria Maria, che hanno chiesto di svolgere indagini finalizzate ad accertare la reale causa del decesso. Le diverse inchieste della Procura di Roma si sono rivelate assai complicate per le difficoltà derivanti dalle distanze e dei diversi ordinamenti giuridici.
Ci sono state tre richieste di archiviazione avanzate dai Pm di piazzale Clodio. Il quarto tentativo di riapertura delle indagini, formalizzato dagli avvocati di parte civile, Vincenzo e Matteo Macari, ha sortito l’effetto sperato. Nel senso che il Gip Mattioli ha archiviato sì la posizione per tre componenti italiani dell’equipaggio della “Bottiglieri Challanger” – Aniello Celentano, Andrea Scotto e Mario Carratore – ma ha concesso un anno di tempo alla Procura di Roma per indagare a livello internazionale sul caso e, più precisamente, sul conto degli altri 16 marittimi che si trovavano a bordo della nave, tutti di nazionalità filippina. Su istanza degli avvocati Macari è stato chiesto di rintracciare i marittimi filippini in patria ma anche in Italia e di sottoporli ad interrogatorio e ai prelievi dattiloscopici e dei test genetici per comparare i loro risultati con le numerose tracce isolate sulla busta con cui Filippo Pittiglio venne trovato privo vita alle 9 di mattina del 4 aprile di 13 anni fa.
Per la decisione del Gip Mattioli è stata determinante la richiesta di riapertura delle indagini formalizzata in 24 pagine dagli avvocati Vincenzo e Matteo Macari dopo le archiviazioni dispposte nel 2017, l’anno successivo e nel 2020. A loro dire la presenza di quella busta attorno alla testa di Filippo – stretta con del nastro di color neo al capo, di una corda che aveva immobilizzato il corpo della vittima e di alcune tracce di sangue sul pavimento della cabina “sono decisamente incompatibili con qualsivoglia astratta ipotesi suicidaria”. La parte civile ha fatto rilevare come Filippo avesse altro a cui pensare dopo l’imbarco due giorni prima: “Era un giovane pieno di entusiasmo, anche per il primo lavoro, e pieno di aspettative di vita”.
L’hanno evidenziato alcuni testimoni interrogati in Italia dai Carabinieri del reporto operativo del comando provinciale di Roma il 14 ottobre 2011, alcuni mesi dopo la sua morte. Quell’equipaggio a bordo della Bottiglieri Challenger, poi, “non era allineato ai canoni della civile convivenza”. Questa vicenda, come tante misteriose storie italiane, ha conosciuto anche un tentativo di depistaggio. Nell’autunnio 2011 ai genitori di Pittigloio arrivò una lettera anonima che per gli avvocati Vincenzo e Matteo Macari fu scritta da “una mente sottile e diabolica finalizzata a distogliere l’attenzione degli inquirenti dal possibile reale autore del reato che certamente è da individuarsi in uno dei 19 componenti dell’equipaggio”.
Ma cosa si leggeva in quella lettera. Secondo i legali di parte civile l’ha scritta chi era a conoscenza della situazione in cui si trovava la cabina in cui venne trovato cadavere Pittiglio. Si parla della presenza di una bottiglia di spumante (della cui provenienza era a conoscenza un membro italiano dell’equipaggio) e di mozziconi di sigaretta. Il suicidio, semmai fosse, non è compatibile con quelle tracce di sangue della cui paternità potrebbero dire molto le analisi biologiche disposte dal Gip Mattioli.
E perché l’ufficiale di bordo che Pittiglio si apprestava a sostituire a Singapore abbandonò repentinamente la nave e l’imbarco? Un tentativo di rapina terminato male? E perché il corpo di Pittiglio venne accuratamente pulito dal personale di bordo? E se veramente il marittimo di Gaeta avesse deciso di farla finita come mai non ha lasciato alcun messaggio ai cari per i quali stravedeva.
Un fatto è certo. Filippo Pittiglio – secondo i suoi genitori – non si è tolto la vita e qualcuno dei 15 marittimi filippini che si trovavano con lui conosce la verità.
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