Gaeta / Addio a Vincenzo Ciano “Cianiello”: una vita tra “follia” e dolore dall’omicidio del fratello Pietro

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GAETA – Buono ma impertinente, generoso ma (ingiustamente) un ostacolo. Gaeta piange in questi giorni un suo figlio, Vincenzo Ciano, per tutti “Cianiello”, da anni ospite di una struttura assistenziale di Belmonte Castello, non molto lontano dallo svincolo della superstrada Sora-Cassino. Qui “Cenzì” viveva, lontano dalla sua città (e da Gaeta vecchia dov’era nato in una famiglia modesta) di cui era diventato un’icona per i suoi comportamenti pittoreschi che inseguivano qualcos’altro: l’assoluta fame di affetto e, forse, di comprensione. Per i gaetani Vincenzo era folle, ma non era così. Il suo credito con la vita lo manifestava in diversi modi: passeggiando in Corso Cavour o facendosi fotografare sulla spiaggia di Sant’Agostino o davanti il teatro Ariston con un vestito da sposa, indossando una pelliccia di rat musque sul lungomare Caboto attirando la curiosità di tanti bagnanti accaldati provenienti dalla spiaggia di Serapo, immergendosi nella fontana davanti alla Triestina e portando anelli sfarzosi. Ma il suo principale ‘trand’ era la sua voce, roca per via delle quantità industriali di sigarette che aveva cominciato a fumare quando aveva (forse) il pannolino.

Con quella voce ‘Cianiello’ esternava un altro desiderio rimasto nel cassetto, quello di studiare e di costruirsi una vita migliore. Sapeva che il nome della sua città etimologicamente arrivava dalla nutrice di Enea e per questo motivo nutriva non poche visioni mitologiche. Aveva un incubo che forse non lo faceva dormire di notte: la Maga Circe “che ci avrebbe trasformato tutti in porci”– racconta ora commosso il collega Luca Di Ciaccio, uno dei redattori della grande squadra de “La Gazzetta di Gaeta” che nel decimo numero (della nuova edizione) aveva ospitato un bellissimo e profondo profilo di Vincenzo.

“Una volta divelse e lancio in mare tutti i tombini di via Lungomare Caboto – ricorda Di Ciaccio – Lo fece senza mai tirare il fiato proclamando grida di guerra contro Enea e i troiani”. A Gaeta tutti prendevano in giro “Cianiello” per il suo “Mannaggia la Maga Circe” che, tradotto, era un a legittima ed umana imprecazione alla vita che ha sempre voltato le spalle a lui e alla sua famiglia. Figlio di Tommaso, netturbino e operaio del comune di Gaeta – che tutti ricordano per le sue capacità acrobatiche di intrufolarsi nelle fogne ostruite della città ma anche per il facile nascondersi nei fumi di alcool e birra – la vita per Vincenzo e per la sua famiglia è stata segnata terribilmente da uno degli omicidi che a distanza di oltre mezzo secolo non ha avuto ancora giustizia.

Pietro Ciano, il fratello minore di Cenzì, stava tornando a piedi a casa la sera del 9 aprile 1974 dopo aver trascorso la sera e le prime ore della notte presso il bar Eden, nei pressi della scuola media Carducci. Quanto avvenne 50 anni fa lo ha ricordato efficacemente (come sempre) nel decimo numero de “La Gazzetta” Erasmo Lombardi Di Perna. Pietro era felice quella sera, aveva vinto tanti soldi a carte, convinto di dare una mano alla sua numerosa famiglia (abitava in via Pio IX nel quartiere di Gaeta Sant’ Erasmo), composta da mamma e papà e da altri quattro fratelli, due femminile e tre maschi, di cui il primogenito era Vincenzo.

Pietro stava a metà strada tra piazza Trieste e pazza XIX Maggio quando venne raggiunto da due persone. Volevano il bottino di quella vincita, 300mila lire, destinata invece alla famiglia Ciano. Vincenzo con il suo corpo fece da scudo a quel denaro ma fu tutto inutile: gli risultarono fatali le coltellate che lo attinsero all’addome, al volto, sul collo, sulle braccia e dietro la schiena. Fu una mattanza proseguita nei pressi del busto in onore di Jose Gervasio Artigas, dietro il quale il corpo sanguinante di Pietro venne trascinato e ancora attinto alla gola e ai polsi. Le indagini furono complicate, i sospetti dell’allora tenente Aldo Lisetti caddero su alcuni giovani di Gaeta (frequentanti il bar Eden) ma i loro alibi ressero, così come abortita la facile pista della droga per via della presenza in città dei militari della Nato.

Grazie all’attività investigativa svolta dall’allora capo della Procura di Latina Vito Giampietro decollò, dopo quasi due mesi dal delitto, la pista della rapina che, degenerata, culminò nell’omicidio del 19enne Pietro Ciano. I sospetti caddero su due insospettabili (uno dei quali dipendente del comune di Gaeta) che dovettero affrontare un processo decisamente indiziario non essendo mai stata trovata l’arma dell’omicidio.

La vita di “Cianiello” junior – anche il papà Tommaso veniva chiamato così – cambiò in peggio durante i tre processi celebrati per la morte del fratello Pietro: tutti assolti per insufficienza di prove. Forse grazie ad una rete di complicità, coperture e, soprattutto, silenzi. Da quel momento Vincenzo ha cominciato ad imprecare alla Maga Circe e di ragioni, a quanto pare, da vendere ne aveva davvero tante. Anche quando irriveriva nei confronti della politica cittadina. La seconda casa di “Cianiello” era diventata piazza XIX Maggio, quella antistante il comune di Gaeta.

Un ricordo personale: “Cianiello” aveva imprecato alla maga Circe quando un giorno, di pomeriggio, si intrufolò nell’aula consiliare del Comune armato della solita bottiglia di birra. Era in corso una riunione sindacale e i suoi faticosissimi temi e linguaggi avevano appesantito i suoi partecipanti. Qualche intollerante sindacalista e dipendente comunale chiese a Ciano di andare via. Qualcun altro fu di parere opposto: “Resti purchè…”. Purchè non dia fastidio. Vincenzo Ciano era diventato un agnellino, mai una parola fuori posta. Solo silenzio e la volontà di capire di cosa si parlasse. “Cianiello” voleva vicinanza, pretendeva ascolto e la città, dopo la sua morte , la città dovrebbe chiedergli scusa per i tanti ironici e maliziosi sorrisetti alle sue spalle. Il sindaco di Gaeta Cristian Leccese ha fatto bene a ricordare il “mitico Cianiello” in un manifesto funebre ma forse è stato incauto – forse mal consigliato? – a definirlo “Re dei folli”.

La “livella”, di Decurtisianamente memoria, pretende, a differenza di quella che l’assessore Pasqualino De Simone ha definito “follia istituzionale”, solo silenzio e rispetto, anche ( e soprattutto ) su un freddo manifesto funebre.

Un dolce pensiero a “Cianiello” da tutta la redazione di Temporeale.info. 

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