ARCE – Attesi nell’udienza del 30 gennaio scorso – ma la loro audizione saltò per un’indisposizione fisica di uno di loro – i tre principali periti indicati dalla difesa di Franco, Marco e Annamaria Mottola, sono attesi lunedì nella nuova udienza, la nona, del processo d’appello per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Serena Mollicone. Con l’audizione del criminologo Carmelo Lavorino, dell’ingegnere Cosmo Di Mille e dello psicologo forense Enrico Delli Compagni il dibattimento davanti i giudici della prima sezione della Corte d’assise d’appello effettuerà un vero e proprio giro di boa entrando nel merito della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale chiesta ed ottenuta dalla Procura generale.
Lavorino, Di Mille e Delli Compagni hanno annunciato quanto diranno, motivandolo, alla Corte presieduta dal dottor Capozza e alla stessa pubblica accusa: Serena Mollicone il 1 giugno 2001 non è mai entrata nella caserma dei Carabinieri. La sua morte è avvenuta altrove perché, oltre all’incompatibilità tra il cranio della vittima ed il foro della porta del bagno dell’alloggio sfitto contro la quale sarebbe stata scaraventata durante un litigio, non sono di Franco, Marco e Annamaria Mottola le impronte digitali trovate sui nastri adesivi con cui fu immobilizzato il cadavere della studentessa dopo la sua lenta e lunga agonia.
I consulenti della famiglia Mottola ribadiranno anche il contenuto di alcuni dichiarazioni testimoniali in base alle quali il presunto autore del delitto di Serena, Marco Mottola, nell’ora presunta dell’aggressione mortale si trovasse con alcune amiche comuni della stessa Serena nei giardinetti di Arce. Il secondo motivo di interesse dell’audizione dei consulenti della famiglia Mottola sarà l’inattendibilità – a loro dire – delle dichiarazioni rese nella primavera del 2008 dal brigadiere Santino Tuzi che, prima di togliersi la vita con la pistola d’ordinanza, dichiarò ai Pm della Procura di Cassino di aver visto Serena la mattina del 1 giugno di sette anni prima entrare nella Caserma dei Carabinieri di Arce.
Nell’ultima udienza di martedì 6 febbraio scorso la Corte d’assise d’appello aveva, dopo una lunga camera di consiglio, negato all’ex luogotenente dei Carabinieri Gabriele Tersigni (sulla falsariga di quanto deciso dalla Corte d’assise del Tribunale di Cassino durante il processo di primo grado) di riferire di alcune confidenze fattegli dal brigadiere Tuzi – e mai verbalizzate in Sit – circa l’ingresso di Serena in Caserma la mattina in cui fu uccisa.
“Logica, scienza e diritto dicono – ha commentato il professor Lavorino – che Tersigni doveva immediatamente relazionare documentalmente su tali ‘confidenze’ laddove avvenute, doveva farlo subito, doveva agire da Carabiniere non da amichetto confessore senza testimoni. La rimembranza del Luogotenente Tersigni è tardiva, senza prove, coinvolta emotivamente e senza pregio: chiunque considera Tuzi il testimone delle uova d’oro oggi può venire a raccontare che Tuzi ha visto l’assassino di JFK, il Mostro di Firenze in azione, Carmine Belli suonare il violino meglio di Paganini… oppure che il defunto X gli ha confessato che l’assassino di Via Poma è il soggetto Z. Purtroppo con questi ‘colpi di scena italiciciociari’ si fa perdere di credibilità al giornalismo investigativo-d’inchiesta ed alla giustizia…”.