Cronaca

Arce / Omicidio Serena Mollicone: processo d’Appello, parlano i testi della famiglia Mottola [VIDEO]

ARCE – Ecco perché la porta del bagno dell’alloggio sfitto della Caserma dei Carabinieri di Arce non è l’arma del delitto di Serena Mollicone. L’hanno spiegato nel corso della prima parte della loro audizione davanti la Corte d’assise d’appello di Roma i tre principali consulenti di Franco, Marco ed Annamaria Mottola. E’ stata davvero chilometrica la deposizione del criminologo Carmelo Lavorino che, escludendo la presenza della 18enne studentessa di Arce il 1 giugno 2001 nella Caserma dei Carabinieri di Arce, ha institito sulla circostanza in base alla quale la ragazza non è morta a causa del colpo sulla porta contro la quale sarebbe stata scaraventata nel corso di un litigio.

Il professor Lavorino, supportato dalle conclusioni cui è giunto nella sua relazione l’ingegner Cosmo Di Mille, ha definito inverosimile, a tal riguartdo, il contenuto dello studio cui era giunta la dottoressa Cristina Cattaneo del Labanof di Milano. La superperizia che aveva permesso alla Procura di Cassino di riaprire le indagini nel 2016 aveva stabilito come il suo foro sulla porta si trovi ad un’altezza di un metro e 54 centimetri da terra e ciò coinciderebbe con l’altezza approssimativa di Serena vittima di un’improvvisa aggresssione.

Lavorino ha contestato nella sua lunga audizione questa ricostruzione: “Non può essere vero che una ragazza come Serena alta un metro e 55 centimetri, anche se spinta, possa aver procurato una frattura, rimanendo peraltro ferita sull’arcata sopraccigliare che è più in basso, nella porta a un’altezza di un metro e 54 centimetri”.

Se all’intervento e al contro interrogatorio del criminologo hanno assistito quttro dei cinque imputati – il maresciallo Franco Mottola, il figlio Marco e i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale mentre era assente Annamaria Mottola – ha confermato le attese della vigilia l’audizione del terzo perito della famiglia Mottola. Lo psicologo forense Enrico Delli Compagni ha contestato l’attendibilità – a suo dire – delle dichiarazioni rese nella primavera del 2008 dal brigadiere Santino Tuzi che, prima di togliersi la vita con la pistola d’ordinanza, dichiarò ai Pm della Procura di Cassino di aver visto Serena la mattina del 1 giugno di sette anni prima entrare nella Caserma dei Carabinieri di Arce. Delli Compagni, studiando le dichiarazioni rilasciate all’epoca, ha detto come il brigadiere di Sora si trovasse in uno stato eteronomico, di subordinazione rispetto agli inquirenti che lo stavano interrogando.

Il processo proseguirà il 22 febbraio con il prosieguo delle audizioni di Lavorino, Di Mille e Delli Compagni. A tracciare un bilancio sulla prima parte del loro intervento lunedì davanti la Corte d’assise d’appello di Roma è stato il professor Lavorino nel contributo video allegato.

CONTRIBUTO Carmelo Lavorino, criminologo e portavoce pool difensivo famiglia Mottola

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