MINTURNO – L’assoluzione perchè il fatto non sussiste emessa a favore di un Carabiniere tuttora in servizio potrebbe permettere ora l’archiviazione di una stagione di veleni che ha caratterizzato l’operato della stazione di Scauri dell’Arma. A decretarla esattamente dopo cinque anni è stato il giudice monocratico del Tribunale di Cassino Marco Gioia a favore del Carabiniere Domenico De Michele, di 52 anni, di Minturno. Sinora era imputato per l’ipotesi di porto abusivo di armi per il sequestro, operato dal suo ex comandante il 27 marzo 2019, il luogotenente Armando Esposito, di 46 cartucce calibro 9×10 parabellum, di 678 cartucce calibro 12 e di 405 di cartucce di vario calibro per pistola.
Secondo la Procura di Cassino De Michele avrebbe detenuto illegalmente questo materiale e per questo motivo chiese all’ex Gip del Tribunale Domenico Di Croce il rinvio a giudizio con l’originaria accusa di aver violato l’articolo 267 del Codice penale militare di pace. In sede di udienza preliminare il Gip manifestò alcune perplessità su questa originaria di ipotesi di reato che venne derubricata appunto per porto abusivo di armi dopo che il Carabiniere di Minturno venne prosciolto dall’accusa di ricettazione davanti il Tribunale militare di Roma. Ma come si arrivò a questa stagione di veleni che De Michele ha dovuto affrontare assistito dagli avvocati Luca Scipione e inizialmente, Enrico Mastantuono?
La vicenda ebbe iniziò sul finire del 2017 a causa di un portafoglio che un onesto cittadino aveva portato in caserma dopo averlo trovato nell’area mercato delle Sieci a Scauri. I Carabinieri contattarono il proprietario che denunciò un ammanco di 400 euro. Da quel momento la stazione dei Carabinieri fu il crocevia di una stagione di veleni con l’arrivo di una serie di esposti anonimi che responsabilizzarono di quanto avvenuto il suo comandante, il luogotenente, che, su richiesta della compagnia di Formia, venne sollevato dall’incarico su ordine del comando provinciale di Latina. Ma non tardano ad arrivare gli inevitabili comportamenti ritorsivi nei confronti di coloro che il luogotenente Esposito riteneva l’autore dell’esposto contro di lui, Domenico De Michele.
Il comandante sapeva che il militare (insieme ad un amico, Luigi Fortunato, e al padre di questi, Michele) erano appassionati di caccia e decise – è quanto scaturito dal dibattimento – di “incastrarli” ritenendoli responsabili di bracconaggio durante una battuta di caccia su Monte di Scauri. Esposito effettuò due perquisizioni. La prima ai danni di Fortunato e del padre – furono sequestrati due fucili arrugginiti presso la loro abitazione di via Spiritiera a Scauri – la seconda, in Caserma, presso il posto di lavoro di De Michele. E così che spuntarono quelle cartucce che De Michele possedeva – e l’ha dimostrato l’avvocato Luca Scipione nel corso del processo davanti il giudice Gioia – non per praticare l’hobby della caccia ma per assolvere ad un obbligo di ufficio.
De Michele non era altro che l’”armiere” della Stazione dei Carabinieri e, su delega della Compagnia di Formia, svolgeva correttamente l’incarico di ritirare e provvedere allo smaltimento delle cartucce restituite dai legittimi possessori del porto d’arma. De Michele ha fatto sapere attraverso l’avvocato Scipione che non formalizzerà alcuna denuncia per calunnia nei confronti del suo ex Comandante. Il suo unico obiettivo – e la sentenza del giudice Gioia l’ha evidenziato – era solo quello di ribadire la sua innocenza e uscire da questa incresciosa e, per certi versi, imbarazzante vicenda.