LATINA – “La discussione sull’utilizzo dell’energia nucleare è tornata al centro del dibattito politico nella nostra provincia e, come spesso è accaduto nel recente passato, assistiamo a dichiarazioni ideologiche e affrettate oppure al lancio di proposte ‘spot’ che nulla hanno a che vedere con la pianificazione necessaria sul tema. La transizione verso un’economia priva di emissioni di anidride carbonica è una sfida complessa e con molte implicazioni economiche e sociali. Essa va affrontata in modo razionale, senza pregiudizi, basandosi sulle evidenze scientifiche, per individuare, esclusivamente sulla base di parametri oggettivi, le tecnologie più adatte al contesto di ciascun Paese”. Con queste parole si inserisce nel dibattito politico sul tema del ritorno all’energia nucleare anche la formazione pontina del partito “Azione”.
“Per questo sono fondamentali efficaci analisi di impatto ex ante (simulazioni), che valutino le effettive possibilità offerte da tutte le tecnologie disponibili, in modo che sia possibile procedere passo dopo passo verso l’obiettivo finale, preservando sempre la competitività del
Paese e i suoi vincoli di bilancio, oltre alla coesione sociale. Scelte aprioristiche di qualsiasi segno non servono a nulla, anzi mettono a rischio anche i risultati effettivamente raggiungibili. Questi sono i principi ispiratori della nostra proposta sulla transizione energetica: chiara, efficace, realistica, coraggiosa e priva di pregiudizi tecnologici. Essa integra tutte le tecnologie a bassa emissione di gas serra incluse nella Tassonomia Verde Europea, rinnovabili e nucleare, per ridurre le emissioni in modo autenticamente sostenibile, sino ad azzerarle al 2050″ – spiega il segretario provinciale Davide Zingaretti.
Ed aggiunge: “Per raggiungere questo obiettivo, tutti gli scenari proposti prevedono di: ridurre l’utilizzo di combustibili fossili ricorrendo il più possibile all’impiego di energia elettrica; per la strategia italiana di lungo termine, la quota di energia elettrica sul totale degli usi finali deve aumentare dall’attuale 21% (quota simile a quella di tutti i Paesi OCSE) al 55%. Produrre tutta l’energia elettrica necessaria senza emissione di gas serra. In Italia si deve passare dai 95 TWh (miliardi di kWh) ‘senza emissioni di gas serra’ prodotti nel 2021, di cui 50 idroelettrici e geotermici, dunque difficilmente aumentabili, a 650 TWh al 2050. A tal proposito riteniamo fondamentale analizzare le principali soluzioni e criticità sul tema: perché la strategia 100% rinnovabili non è la migliore per l’Italia. I Paesi che prospettano una rinuncia al nucleare nel lungo periodo ipotizzano una decrescita nella domanda elettrica rispetto ai livelli attuali. In Italia, al contrario, si prevede un raddoppio della domanda. Le fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico sono a produzione intermittente, operando solo in specifici momenti del giorno o dell’anno”.
“Tuttavia” – prosegue Zingaretti – “per soddisfare la domanda costantemente e in modo sostenibile, sarebbe necessaria una massiccia presenza di sistemi di accumulo. Le tecnologie attuali non consentono all’Italia di ridurre i problemi dell’intermittenza del fotovoltaico e quindi di raggiungere gli obiettivi del 2050 nei tempi stabiliti solamente con le fonti rinnovabili. In un sistema elettrico senza emissioni di CO2 una quota nucleare riduce i problemi legati alla variabilità, stagionalità e intermittenza. Le centrali elettronucleari, nel ciclo di vita emettono la stessa quantità di CO2 per kWh generato dell’eolico e circa la metà del fotovoltaico, e possono lavorare in continuità per 8000 ore l’anno; il giusto mix di rinnovabili e nucleare, riduce il fabbisogno di potenza variabile (solare ed eolico) e di conseguenza la necessità di tutte le tecnologie ausiliarie (generatori di backup, sistemi di accumulo giornaliero e stagionale, reti).
“Il nucleare espone l’Italia a un minor rischio legato alla dipendenza delle materie prime: da un lato, le riserve di uranio si trovano principalmente in paesi (es: Canada e Australia) con cui l’Italia ha rapporti migliori e più stabili rispetto ai paesi da cui importiamo il gas naturale (es: Russia, Algeria, Libia) o che “controllano” la produzione di materiali necessari per gli impianti di generazione elettrica
rinnovabile, di idrogeno, di accumulo elettrochimico (es: Cina). L’utilizzo di una quota di energia nucleare richiede di installare capacità rinnovabile molto inferiore e di conseguenza una disponibilità di superfici molto meno estese. In aggiunta occorre autorizzare pochi siti (orientativamente 8) da circa 150-200 ettari ciascuno, nelle aree idonee del Paese, che ospitino ciascuno sino a 4 reattori di nuova generazione, impattando sull’ambiente in maniera nettamente minore rispetto ad altre tipologie di fonti (se si considerano impianti fotovoltaici con tracking, sarebbe necessario impegnare da 600 a 900 mila ettari solo per il fotovoltaico ed ulteriori circa 80 mila ettari per gli impianti eolici)” – spiega ancora nella nota.
“Quante centrali nucleari sarebbero necessarie? Secondo gli scenari più accreditati nel 2050 il carico di base elettrico sarà compreso tra 45 e 50 GW. Il nucleare si presta molto bene ad essere utilizzato a potenza poco variabile, preferibilmente costante: è perciò adatto a soddisfare (in tutto o in parte) tale carico di base, funzionando per oltre il 90% delle ore dell’anno alla potenza nominale della centrale. La nostra proposta è puntare ad installare entro il 2050 40 GW di centrali elettronucleari, con reattori a fissione di nuova generazione (dalla 3^ generazione evoluta in avanti). Ipotizzando una potenza media di 5 GW per centrale (indicativamente con 3-4 reattori a centrale, a seconda della taglia unitaria), sarebbero necessarie 8 centrali (a titolo di esempio, in Francia sono oggi in esercizio 18 centrali per complessivi 56 reattori). I reattori nucleari che oggi si costruiscono nel mondo sono pericolosi? In tema di sicurezza bisogna ricordare come l’unico incidente ad una centrale nucleare che abbia causato vittime per via della radioattività è stato quello di Chernobyl. Si trattava però di un reattore privo dei più comuni sistemi di sicurezza adottati già da decenni nei reattori occidentali: un incidente del genere non sarebbe mai potuto capitare in nessuna centrale del mondo al di fuori dell’Unione Sovietica. La prova di ciò è evidente analizzando l’incidente di Fukushima dove la centrale giapponese, più vecchia di vent’anni rispetto a quella di Chernobyl, ha resistito al quarto terremoto più forte mai registrato (magnitudo 9, trentamila
volte più potente di quello dell’Aquila). Nonostante questo evento catastrofico abbia letteralmente distrutto la costa est del Giappone e portato alla morte di quasi ventimila persone tutte le centrali nucleari si sono spente automaticamente e in completa sicurezza nel
giro di pochi di pochi secondi dalla prima scossa” – si legge ancora.
“La centrale di Fukushima, che nel 2011 aveva più di quarant’anni di vita ed era stata costruita con la tecnologia degli anni ’60 (era una centrale a metà tra la prima e la seconda generazione) non ha risentito del violentissimo terremoto. Il successivo incidente è stato causato dall’onda di tsunami che ha allagato il locale che ospitava i generatori diesel che, dopo il totale collasso della rete elettrica, si erano regolarmente avviati per alimentare le pompe di raffreddamento del nocciolo della centrale. In seguito all’incidente di Fukushima, stress test sono stati condotti su tutte le centrali europee e più stringenti prescrizioni sono state adottate per tener conto di possibili allagamenti in caso di eventi straordinari. Il problema della sicurezza in Italia è estremamente ridotto se consideriamo che la tecnologia è enormemente migliorata negli ultimi sessant’anni, l’intensità dei terremoti nel nostro Paese è notevolmente inferiore a quella del Giappone e la normativa italiana ha un approccio molto prudenziale rispetto alla costruzione di centrali nucleari in aree sismiche (per esempio nella maggior parte delle aree considerate idonee in Giappone la normativa italiana non ne consentirebbe la costruzione)” – riflette ancora Zingaretti segretario provinciale di Azione.
” Come verranno gestiti i rifiuti radioattivi? Secondo la classificazione dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, esistono sei
diverse tipologie di rifiuti radioattivi, di norma raggruppate per semplicità in tre categorie: a basso livello di radioattività (LLW), a livello intermedio (ILW) e ad alto livello (HLW), a seconda dell’intensità e della durata nel tempo delle emissioni radioattive. Secondo la
normativa UE, ogni Paese Membro è obbligato a gestire i propri rifiuti radioattivi sul territorio nazionale e quindi è urgente completare il processo di localizzazione ed avviare la costruzione del deposito nazionale di superficie, che può essere realizzato nell’arco di 4-5 anni, a condizione che vengano risolte subito le attuali criticità gestionali della Sogin, società di stato incaricata dell’opera. Il deposito nazionale, dovrà ospitare solo temporaneamente i rifiuti HLW, che debbono rientrare dalla Francia e dal Regno Unito, dove il nostro combustibile irraggiato è stato spedito (l’ultimo carico nel 2015) per il ri- processamento. Per tutta la nostra passata stagione nucleare si tratta in tutto di 10 cask (robustissimi cilindri di acciaio e rame di circa 1,5 m di diametro e 4,5 m di altezza). Tuttavia il deposito di superficie non può essere quello definitivo per questo tipo di rifiuti, che dovranno essere invece smaltiti in un deposito di profondità (geologico), come quello quasi completato in Finlandia e la cui costruzione è stata avviata in Svezia. Che i cask rimangano 10 o aumentino sino a 100, con un nuovo programma nucleare, è necessario lavorare da subito ad una strategia che chiuda anche il ciclo di questa tipologia di rifiuti. Pertanto, nelle more del processo di localizzazione e costruzione del deposito unico nazionale, si propone di avviare la costruzione in uno dei siti Sogin di una struttura idonea (basta poco, perché i cask sono estremamente robusti, a prova d’urto, incendio, affondamento, ecc. tanto che per esempio negli USA sono custoditi sui piazzali) a ospitare i 4 cask attualmente “parcheggiati” nel Regno Unito dal 2019, per i quali stiamo già pagando un ticket di € 18 milioni/anno, che dal 2025, quando si aggiungeranno anche i 6 cask francesi, presumibilmente diverranno € 45 milioni/anno; mentre il costo della struttura
necessaria ad ospitarli tutti e dieci, per tutto il tempo necessario, è stato stimato in meno di € 4 milioni. Sarebbe tutto denaro risparmiato sulle bollette elettriche degli Italiani” – dichiara ancora nella medesima nota il Segretario provinciale di Azione.
E conclude: “In parallelo si propone di intensificare le negoziazioni con altri Paesi UE per la realizzazione di un deposito geologico regionale comune, consentito dalla normativa UE. In questi 5 punti abbiamo riassunto le principali proposte e analisi sull’utilizzo dell’energia nucleare, il tutto con l’obiettivo di favorire un dibattito a livello locale e nazionale tra le forze politiche e i cittadini finalizzato al raggiungimento di una strategia comune per la transizione energetica. Riteniamo importante favorire campagne di informazione pubblica sulle diverse fonti e tecnologie energetiche disponibili per conseguire gli obiettivi di lungo termine di azzeramento delle emissioni di gas serra, basate unicamente sulle evidenze scientifiche, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza sugli oggettivi limiti e vantaggi di ciascuna di esse, liberandole tutte da ogni pregiudizio di parte. Sarà importante, infine, la costituzione di un gruppo di lavoro tecnico-scientifico per la valutazione del ciclo completo di funzionamento di una centrale nucleare (dalla costruzione al decommissioning) e soprattutto sul valore del costo energetico del kw/ora”.
(In copertina immagine di repertorio)