Latina / Malasanità: anziano morì per infezioni post-operatorie, la famiglia ricorre in Appello

Cronaca Latina

LATINA – Chiedono oltre un milione di risarcimento all’Asl ma il Tribunale di Latina riconosce solo 30mila euro. E’ la controversia processuale che hanno deciso di intraprendere i familiari di un uomo di 80 che morì nel 2013 a causa di una infezione degenerata in sepsi, emiparesi, decadimento organico e stato cachettico. Se – a loro dire -i sanitari dell’ospedale “Santa Maria Goretti” di Latina avrebbero ritardato la diagnosi, successivamente accertarono la recidiva del menigioma (un tumore benigno che crescendo comprime sul cervello) e operarono l’anziano non rimuovendo interamente la massa. Chiudendo erroneamente il cranio, provocando – sempre seconda la versione dei familiari dell’anziano deceduto- alcune infezioni settiche “soprattutto senza informare il paziente e i familiari dei rischi e delle alternative all’operazione”.

Questo è quanto ribadisce ora il legale della famiglia dell’80enne deceduto, l’avvocato Renato Mattarelli. Per il Tribunale di Latina c’è stata la responsabilità dei sanitari della neurochirurgia del Goretti ma limitatamente alla lesione del diritto del paziente di autodeterminarsi liberamente se fosse stato dovutamente informato dai medici delle conseguenze dell’intervento e del rischio “tipico” delle infezioni chirurgiche. Da qui il risarcimento a 30 mila euro alla moglie e alle due figlie. Per la sentenza n. 920/2024 del Tribunale di Latina, appena pubblicata, l’uomo di Latina deceduto ha “…patito delle sofferenze connesse alla sua impreparazione all’intervento ed alle conseguenze di esso; a causa del deficit informativo, il paziente ha subito un pregiudizio, non patrimoniale (di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente. Si trae da tali considerazioni un apprezzamento, quale pregiudizio rilevante sul piano risarcitorio, delle sofferenze del tutto presumibilmente derivate dall’inatteso aggravamento, nei mesi successivi al trattamento, della sintomatologia dolorosa e del suo stato fisico generale, con insorgenza anche di una osteomielite a seguito delle infezioni contratte nella fase post operatoria. L’omessa informazione sulle possibili conseguenze dell’intervento, ha avuto come conseguenza sorpresa, impreparazione, maggiore afflizione nella percezione del proprio stato e nell’affrontare le cure, conseguenze pregiudizievoli tanto più presumibili e tanto più rilevanti quale danno risarcibile, quanto meno prevedibile potevano considerarsi le complicanze delle aderenze riscontrate e della contrazione di infezioni nosocomiali (nella specie, come detto, statisticamente ricorrenti, come evidenziato dal CTU solo in una percentuale limitata di casi)….”.

Eppure, per l’avvocato Mattarelli (che farà appello alla sentenza per ottenere l’integrale risarcimento) non è stata fatta completa giustizia perché la condotta dei sanitari del “Goretti” di Latina (va ben oltre la lesione del diritto all’autodeterminazione per l’assenza totale del consenso informato ma) è stata la causa, o quantomeno la concausa, del decesso del 80enne. Le gravi infezioni ospedaliere contratte dal paziente potevano infatti essere evitate applicando i protocolli e conseguentemente poteva essere evitata la grave debilitazione che non può non aver contribuito al decesso del paziente. Soprattutto, per il legale della famiglia, la assoluta mancanza del consenso informato (nel senso che non c’è nemmeno un minimo documento informativo dei rischi, alternative, complicanze dell’intervento) ha causato prima il danno alla salute del paziente e poi il decesso.

Semplicemente: se il paziente fosse stato informato di cosa stava andando incontro, non si sarebbe mai sottoposto all’intervento chirurgico e conseguentemente non avrebbe subito, prima, le complicazioni, l’aggravamento della patologia tumorale e le infezioni e, dopo, il decesso o l’anticipazione del decesso. I fatti ebbero iniziarono nel 2009 quando l’uomo, all’epoca 77enne, venne colpito da convulsioni, crisi epilettiche e rallentamento psico-motorio e condotto d’urgenza con autoambulanza presso il “Goretti”! del capuologo pontino. Il paziente avrebbe informato i sanitari che la sintomatologia era simile a quella patita nel 1996 quando era stato operato per la rimozione di un tumore alle meningi e, pertanto, venne sottoposto alla Tac dell’encefalo con evidenze di aree patologiche suggestive di patologia tumorale. Tuttavia (pur in presenza di una anamnesi remota di tumore meningeo e delle evidenze prossime dei sintomi di recidiva oncologica, nonché di immagini diagnostiche suggestive di detta recidiva tumorale) i sanitari dell’ospedale di Latina non compilarono – a dire dell’avvocato Mattarelli – alcuna diagnosi; né disposero gli approfondimenti per una diagnosi differenziale e il paziente venne dimesso dopo sette ore, senza alcuna prescrizione strumentale. In mancanza di una diagnosi e della terapia del caso, due mesi dopo, nel dicembre 2009, l’anziano venne nuovamente colpito (questa volta con maggiore intensità) da crisi epilettica con perdita di coscienza e veniva trasportato nuovamente d’urgenza al “Goretti”.

Tuttavia, ancora una volta senza la compilazione di una diagnosi, il paziente venne dimesso (dopo poche ore) con la sola prescrizione di un sedativo e senza pianificazione di alcun esame strumentale di approfondimento. In assenza di indicazioni sul suo stato di salute (nel febbraio 2010, a quattro mesi dalla prima crisi), l’anziano si sottopose ad una risonanza magnetica presso l’ospedale di Velletri che diagnosticò (in giornata) la recidiva tumorale alle meningi, ben evidente sin dal primo accesso al DEA di Latina dell’ottobre 2009. Nel febbraio-marzo 2010, l’uomo venne pertanto ricoverato presso il l’ospedale di Latina per l’asportazione chirurgica della recidiva del tumore meningeo. L’intervento venne eseguito senza un adeguato monitoraggio pre e post-operatorio che impedi – secondo la versione dell’avvocato Mattarelli – la mappatura della infiltrazione oncologica con conseguente rimozione parziale del tumore.

Il paziente venne dimesso senza una mirata terapia antibiotica, senza prescrizione degli esami di controllo e della radioterapia con conseguente aggravamento delle condizioni tanto che (nel maggio 2010, dopo 73 giorni dall’intervento) venne trasportato d’urgenza/emergenza al Dea di Latina per la ricomparsa delle crisi epilettiche da compressione del tumore non asportato e ricoverato per patologie iatrogene da infezione della ferita chirurgica; sepsi; difformità anatomica del cranio e residuo tumorale. Ancora una volta questo sfortunato paziente venne dimesso senza adeguata terapia farmacologica; senza pianificazione terapeutica, in particolare, della mandataria radioterapia. Nonostante l’invasività degli strumenti diagnostici e terapeutici, mancò del tutto il consenso informato all’intervento chirurgico sulla recidiva tumorale; alle trasfusioni di sangue somministrate e alla Tac con contrasto. Risultò incompleto il consenso informato all’anestesia. Successivamente, le condizioni del paziente degenerarono e furono necessari due interventi chirurgici correttivi presso il Policlinico Gemelli (giugno 2010 e luglio-settembre 2010) e sistematica terapia riabilitativa fino al decesso del 14 marzo 2013 per l’aggravamento della patologia tumorale (per cui il paziente si era rivolto all’ospedale di Latina) e per le patologie iatrogene conseguenti alla condotta sanitaria: sepsi, emiparesi, decadimento organico, stato cachettico…”