FORMIA – In occasione delle recenti celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della liberazione di Formia, è stata presentata, nei giorni scorsi, l’ultima opera del Prof. Giovannino Bove, “C’ero anch’io”. Si tratta, in pratica, di una seconda edizione, ampliata ed aggiornata con nuove testimonianze, sull’odissea del popolo formiano, dall’8 settembre 1943, al 18 maggio 1944, giorno della liberazione della città di Formia; opera curata dal ricercatore Giuseppe Centola e pubblicata a distanza di trent’anni dal primo libro “Io c’ero”, con il patrocinio della XVII Comunità Montana dei “Monti Aurunci”.
Così, con una semplice congiunzione dinanzi ad un pronome personale, “anch’io”, l’autore, dopo aver raccolto decine e decine di nuove testimonianze, da parte dei sopravvissuti ai drammatici eventi susseguitisi in quei 252 giorni, ripropone il calvario di un’intera popolazione, che vide quasi ogni famiglia colpita da lutti e devastazioni che non sono riportati nei libri di storia, ma restano indelebilmente marchiati nei cuori di chi ancora è rimasto e nel ricordo delle nuove generazioni alle quali la dolorosa testimonianza è stata tramandata.
Oggi, a distanza di 80 anni, quanti ancora, in città, ricordano l’evento? Gli anziani che nelle pagine dell’opera hanno offerto, quasi religiosamente, la loro testimonianza all’autore, erano i bambini ed i giovani di allora, creature provate nel fisico e nel morale, che scesero con i propri familiari dai rifugi montani, o dalle abitazioni diroccate, per tornare a vivere e ricostruire Formia.
Questo nuovo lavoro consegna alla memoria collettiva la storia, il dramma, le sofferenze di un’intera popolazione che, altrimenti, andrebbero disperse nell’inevitabile divenire del tempo e nell’oblio. In definitiva, “C’ero anch’io” rappresenta un ulteriore tassello di quel percorso letterario, avviato da tempo da Giovannino Bove e contrassegnato da paziente ricerca e grande passione, affinché la Formia di un tempo, con i suoi personaggi, i suoi aneddoti, il suo evolversi, venga tramandata alle nuove generazioni, come esempio e monito e come preziosa eredità di esperienze, perché non c’è futuro senza un costante legame morale con le proprie radici.