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Ventotene / 80° anniversario della morte di Eugenio Colorni, l’iniziativa e la proposta di Luigi Coraggio

VENTOTENE – Presto piazza Castello a Ventotene diventi piazza… Eugenio Colorni. A rinnovare la richiesta nella giornata di giovedì 30 maggio è stato Luigi Coraggio, protagonista e autore di un gesto bellissimo: si è recato nel cimitero monumentale di Milano sulla lapide di uno dei tre autori del “Manifesto” per la nascita di un’Europa libera ed unita per portare della terra di Ventotene. E’ stato un gesto ripetuto subito dopo davanti alla scuola media intitolata all’antifascista che perse la vita esattamente 80 anni fa, il 30 maggio 1944. Due giorni prima, pochi giorni prima della liberazione di Roma, venne fermato in via Livorno, a poca distanza da piazza Bologna, da una pattuglia di militari fascisti della famigerata banda Koch. Il lombardo Colorni tentò di fuggire, ma fu raggiunto e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all’Ospedale San Giovanni, morì – come detto – il 30 maggio di 80 anni fa, a soli 35 anni, sotto la falsa identità di Franco Tanzi.

Da sei anni Luigi Coraggio chiede che venga intitolato a Colorni la piazza antistante il palazzo municipale di Ventotene per “evidenziare i suoi interessi verso la psicoanalisi e mettere al centro questi problemi. Sulla nostra isola nel passato si sono verificate alcune tragedie esistenziali alle quali l’intera comunità non ha potuto garantire le dovute risposte”.

Ma chi era Eugenio Colorni? Nato a Milano il 22 aprile del 1909 da una famiglia ebraica. Il padre, Alberto, era un commerciante originario di Mantova, mentre la madre, Clara Pontecorvo, milanese di famiglia pisana, era zia niente meno del fisico nucleare Bruno Pontecorvo, del regista Gillo, del genetista Guido e del giurista Tullio Ascarelli. Frequetando il Liceo Ginnasio Statale “Alessandro Manzoni” di Milano, il giovane Colorni si appassionò al “Breviario di estetica” di Benedetto Croce e la sua formazione fu influenzata dal rapporto intrattenuto con i cugini Enrico, Enzo Sereni ed Emilio Sereni, tutti più grandi di lui. Fu Enzo, che era un convinto socialista sionista, ad esercitare su di lui una forte influenza ideale e religiosa, tanto da far avvicinare il quattordicenne Eugenio, seppur per breve tempo, al sionismo. Nel 1926 si iscrisse presso la facoltà milanese di Lettere e filosofia e Giuseppe Antonio Borgese e Piero Martinetti furono suoi insegnanti prediletti. Col secondo dei due si laureò in filosofia nel 1930, discutendo una tesi su “Sviluppo e significato dell’individualismo leibniziano” e, non a caso, a Leibniz dedicherà poi gran parte dei suoi studi. Durante il periodo universitario, Colorni divenne amico di Guido Piovene, che sarà giornalista e scrittore, un’amicizia che però verrà interrotta nel 1931 a causa di alcuni articoli definiti anti-semitici scritti dallo stesso Piovene su L’Ambrosiano.

Diventato interlocutore di Benedetto Croce, l’intellettuale milanese la sua conoscenza chiave la effettuò nel corso di un viaggio di studi in Germania, a Berlino, dove conobbe la futura compagna Ursula Hirschmann, un’ebrea tedesca, sorella dell’economista Albert O. Hirschmann, dalla quale ebbe tre figlie: Silvia, Renata ed Eva. Dopo la filosofia, fu la politica la seconda grande passione di uno dei tre firmatari de “Il Manifesto”. A partire dal 1935, intensificò il proprio impegno politico contro il regime fascista. Quando una riuscita operazione di polizia, nel maggio di quello stesso anno portò all’arresto di quasi tutto il direttivo giellista torinese, Colorni prese contatto con il “Centro interno socialista”, costituito clandestinamente a Milano nell’estate del 1934 da Rodolfo Morandi, Lelio Basso, Lucio Mario Luzzatto, Bruno Maffi, come organismo di collegamento dei socialisti in Italia. Nell’aprile del 1937, dopo gli arresti di Luzzatto e Morandi, Colorni divenne, di fatto, il responsabile del Centro. Nel corso di quell’estate, in occasione del “IX Congresso internazionale di filosofia” di Parigi, Colorni ebbe modo d’incontrare di persona Carlo Rosselli, Angelo Tasca, Pietro Nenni ed altri esponenti della direzione del Psi del quale entrò poi a far parte, mantenendosi su un’originale posizione autonomista. Con vari pseudonimi, ma soprattutto con quello di Agostini, tra il 1936 ed il 1937, pubblicò importanti articoli su Politica socialista e sul Nuovo Avanti. L’8 settembre del 1938, all’inizio della campagna razziale promossa dal regime, fu arrestato dall’Ovra a Trieste, in quanto ebreo ed anti-fascista militante, venendo pertanto rinchiuso nel carcere di Varese. I giornali pubblicarono la notizia con gran risalto, sottolineando che egli ..”di razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in Italia e all’estero”. In questa campagna giornalistica contro di lui si distinsero, con articoli di particolare livore anti-semita, Il Piccolo di Trieste ed il Corriere della Sera.

Arrivò poi la tappa dolorosissima del confino a Ventotene che ospitò Colorni dal gennaio del 1939 all’ottobre del 1941 proseguendo, nonostante tutto, i suoi studi filosofico-scientifici e discusse intensamente con gli altri confinati anti-fascisti. Tra questi Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria e Altiero Spinelli. Risale a questo periodo la sua adesione alle idee federaliste europee propugnate da Spinelli e Rossi, con i quali, nel 1941, partecipò alla stesura del Manifesto per un’Europa libera e unita. Nel 1944, a Roma, nel mezzo della lotta partigiana, Colorni riuscì a pubblicare clandestinamente un volumetto dal titolo Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il Manifesto ed altri scritti sul tema dello stesso Spinelli. Nella sua “Prefazione” al Manifesto, Colorni auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro universalista, come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe della guerra. In quest’ottica ottica, la creazione di una federazione di Stati europei era considerata come condizione indispensabile per un profondo rinnovamento sociale, anche per iniziativa popolare, che partendo dagli enti territoriali avrebbe coinvolto tutta l’Italia e, quindi, l’intera Europa. Circa le dinamiche che portarono alla stesura del Manifesto, è generalmente ricondotto ai soli Spinelli e Rossi il contributo maggioritario del testo ma alcuni recenti studi storiografici hanno seriamente rivalutato anche il ruolo culturale svolto da Colorni che nell’ottobre del 1941, grazie anche all’intervento di Giovanni Gentile, riuscì ad essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante lo stretto controllo della polizia, riuscì ad avere contatti con alcuni degli anti-fascisti locali.

Il 6 maggio del 1943 riuscì a fuggire da Melfi, rifugiandosi a Roma, dove visse da latitante e, dopo la caduta del fascismo, avvenuta il 25 luglio del 1943, si dedicò all’organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nato nell’agosto dalla fusione del PSI col giovane gruppo del Movimento di Unità Proletaria. Tra il 27 e il 28 agosto, a dieci giorni dalla resa badogliana, partecipò, assieme ad Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Ursula Hirschmann, Manlio Rossi Doria, Giorgio Braccialarghe e Vittorio Foa, presso l’abitazione milanese dello scienziato azionista Mario Alberto Rollier, alla riunione che diede vita al Movimento Federalista Europeo. Non era altro che il movimento che adottava come proprio programma il “Manifesto di Ventotene”. A seguito, poi, dell’8 settembre, svolse nella capitale un’intensissima attività nelle file della Resistenza: prese parte alla direzione del Psiup e s’impegnò a fondo nella ricostruzione della Federazione Giovanile Socialista Italiana e nella formazione partigiana della prima brigata Matteotti.

Il suo impegno per la causa socialista venne sottolineato dall’allora direttore dell’Avanti!, un certo Sandro Pertini, futuro presidente della Camera prima e della Repubblica poi. Il 22 gennaio del 1944, nella Roma occupata dalle forze naziste, in una tipografia nascosta sulla collina di Monte Mario, Colorni fece stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine intitolato “Problemi della Federazione Europea”, contenente il “Manifesto di Ventotene”. Insignito nel 1946 della medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Eugenio Colorni nel suo testamento prima di morire scrisse un pensiero d’amore rivolto alle figlie.

Lo ricorda ora, dopo la duplice visita milanese di giovedì, Luigi Coraggio: “Vorrei solo esortarle a considerare l’amore come la cosa più seria ed importante della vita; come ciò che ci avvicina ad un altro essere, dimenticandoci di noi stessi e desiderando che esso viva della sua essenza profonda diversa da noi”.

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