GAETA – “Una beffa che tenteremo di superare, appena saranno rese note le motivazioni, con un ricorso in appello”. Non ha utilizzato mezzi termini l’avvocato Luca Scipione, il legale di quelli che possono essere considerati gli ex proprietari di gran parte della dismessa vetreria Avir di Gaeta, Nicola Martino e Raffaele Di Tella, rispettivamente amministratori delle società edilizie “Gaim srl” e “Di Tella srl”. Erano imputati di concorso di lottizzazione abusiva e, al termine di una breve camera di consiglio, sono stati condannati dal Tribunale di Latina a 6 mesi di reclusione e al pagamento ciascuno di una multa di 24mila euro a conclusione di un processo vecchio quanto il mondo. Ad emettere la sentenza è stato il giudice monocratico Laura Morselli grazie ad una sorta di deroga ricevuta agli inizi dell’anno dall’ormai ex presidente del Tribunale di piazza Buozzi Caterina Chiaravelloti.
Questo processo, in effetti, si sarebbe dovuto concludere nell’udienza dell’8 gennaio scorso ma conobbe uno ‘stop’ tecnico in quanto la dottoressa Morselli dalla settimana precedente, dal 1 gennaio, era stata trasferita ad altro incarico diventando Gip e Gup dello stesso Tribunale di Latina prendendo di fatto il posto del dottor Mario La Rosa, diventato ora magistrato giudicante. La sentenza di condanna a quattro mesi di reclusione per Nicola Martino e Raffaele Di Tella è arrivata nel primo pomeriggio di giovedì a quasi 12 anni dal sequestro operato dal Nipaf dei Carabinieri su richiesta la procura di Latina. Il magistrato che inviò gli attuali Carabinieri Forestrali, il sostituto procuratore Giuseppe Miliano, aveva chiesto per i due imputati la condanna ad un un anno e quattro di reclusione, richieste di cui la dottoressa Laura Morselli non ha tenuto in considerazione pur condannando Martino e Di Tella con il minimo della condanna prevista dal codice.
“Gli ex proprietari della vetreria Avir di Gaeta meritano un’assoluzione dopo 12 anni perché non hanno commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato”. Era terminata così, dopo quasi tre ore, lo scorso 29 novembre il circostanziato intervento dell’avvocato Luca Scipione. Nella sua requisitoria il sostituto procuratoe Miliano aveva svelato le sue carte e aveva chiesto anche la confisca dell’area. Per affidarla al comune di Gaeta – come peraltro è avvenuto alla luce di una sentenza del Consiglio di Stato emessa sulla scorta di una presunta falsa relazione dell’ex dirigente del settore urbanistica del comune di Gaeta Stefania Della Notte per la quale c’è stato un rinvio a giudizio del Gup del Tribunale di Roma – o allo Stato? Il Pm Miliano, di fronte a questa opzione, aveva scelto il secondo. Nel corso della sua requisitoria Miliano aveva motivato la sua richiesta di condanna.
Le due ex società proprietarie dell’Avir avrebbero effettuato – a suo dire – una serie di frazionamenti che, alla distanza, avrebbero provocato un aumento volumetrico con finalità di edilizia privata residenziale. Nella sua arringa l’avvocato Scipione, invece, era stato di tutt’altro avviso affermando come del reato di lottizzazione abusiva, semmai fosse stato compiuto, non potevano essere considerati responsabili soltanto due imprenditori privati. Insomma quel tipo di reato, qualora fosse stato commesso, avrebbe dovuto vedere coinvolti eventualmente dirigenti, tecnici ed amministratori del comune di Gaeta che in questa tortuosissima e datata vicenda tecnico urbanistica non sono stati mai citati. In ordine al frazionamento di ben 28 lotti del complesso immobiliare dell’ex Avir , il legale della Gaim e della Di Tella srl aveva spiegato come sei siano stati particelizzati quasi un secolo fa – nel 1928 – altrettanti siano stati eseguiti nel 2005, 19 anni fa, mentre dei 16 rimanenti furono avanzate altrettante richieste al comune di Gaeta ma non se ne fece mai niente. Se il Prg del comune di Gaeta adottato nel 1973 prevedeva per l’area ex Avir 53mila metri cubi, il legale di Martino e Di Tella aveva ricordato una significativa ricognizione volumetrica che promosse l’amministrazione comunale guidata dall’ex sindaco Antonio Raimondi.
Diede mandato all’allora dirigente del settore urbanistica Sisto Astarita di verificare la situazione esistente alla luce di una precisa volontà dei privati di riqualificare l’area, in stretta collaborazione con il comune di Gaeta, presentando il piano integrato d’intervento previsto dalla legge regionale numero 22/1997 sul recupero funzionale dei siti industriali dismessi. E nel corso della sua arringa l’avvocato Scipione ricordò come tutto avvenne alla luce del sole, o meglio, all’interno del teatro Ariston che ospitò due happening pubblici alla presenza di “centinaia e centinaia di cittadini.
Intanto lo scorso gennaio le due ex società dell’ex vetreria di Serapo avevano deciso di passare al contrattacco contro il comune di Gaeta. Come? Presentando quattro lettere di messa in mora per chiedere 22 milioni di euro per i danni subiti dopo che l’area e lo stabilimento industriale di Serapo sono finiti, su input dell’ex sindaco Cosimino Mitrano , nella proprietà immobiliare del comune. Alla messa in mora congiunta del 22 dicembre scorso inviata per conto della “Gaim srl” e della T.F.Costruzioni srl” se ne sono aggiunte altre due trasmesse per conto dall’ex rappresentante legale della “Di Tella srl”, Raffaele Di Tella, e dalla figlia (la prima), degli eredi Simeoli e dell’ex amministratore della “Gaim srl” Nicola Martino.
Questi due annunci di fatto avevano inaugurato l’avvio del procedimento per lo svolgimento di due distinte iniziative risarcitorie che, rispetto a quelle ingenti (20 milioni di euro) presentate dalla “Gaim srl” e dalla T.F.Costruzioni srl”, contengono richieste più contenute: un milione di euro a testa. Se anche la seconda e terza istanza di messa in mora hanno avuto per destinatari il sindaco Cristian Leccese e l’ex dirigente del settore urbanistica del comune Stefania Della Notte, i privati chiedevano di essere ristorati complessivamente per i presunti danni subiti da quando, nel 2012, l’area fu sequestrata dal Nipaf dei Carabinieri per ordine del sostituto procuratore Giuseppe Miliano. Un fatto è certo.
La sentenza penale di condanna emessa dal Tribunale di Latina rallenta – “ma non annulla” come ha tenuto a sottolineare l’avvocato Scipione – la procedura di messa in mora promossa da Martino e Di Tella: “Avremmo potuto benissimo beneficiare della prescrizione – ha concluso il legale difensore dei due imprenditori campani – Ma siamo convinti dela giustezza della scelta nonostante la condanna a sei mesi di reclusione che non rende giustezza dei danni subiti dai miei assistiti 12 anni e nelle successive fasi tecnico-amministrative. Aspettiamo di leggere le motivazioni della dottoressa Morselli dopodichè sarà inevitabile il ricorso in appello”.