Arce / Omicidio Serena Mollicone, l’intervento delle parti civili nel processo d’Appello

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ARCE – Le parti civili lunedì sono state – come da previsione – le assolute protagoniste nel corso della nuova udienza del processo di secondo grado per la scomparsa e la morte di Serena Mollicone avvenute il 1 giugno 2001. I rispettivi legali che si sono alternati davanti la prima sezione della Corte d’assise d’appello di Roma hanno fatto sapere di condividere l’anticipazione dell’arringa della Procura generale che, in attesa di essere illustrata nella prossima udienza del 2 luglio, prevede da parte del Procuratore generale Francesco Piantoni e del sostituto procuratore Deborah Landolfi le richieste di condanna a 24 anni per l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce Franco Mottola, a 22 anni per sua moglie Annamaria e per il figlio Marco ma anche il proscioglimento per avvenuta prescrizione per Francesco Suprano e l’assoluzione per Vincenzo Quatrale per insufficienza di prove.

A chiedere alla Corte d’Assise d’appello, che il 12 luglio dopo le repliche emetterà l’attesa sentenza, di scrivere “una pagina di giustizia giusta anche perché la giustizia può essere imperfetta ma ha tutte le possibilità di scrivere pagine belle e nobili” è stato, invece, Dario De Santis, lo storico avvocato del padre della giovane di Arce uccisa nel 2001, Guglielmo Mollicone, che in aula rappresenta lo zio di Serena, Antonio.

“Dopo la morte di Serena, Guglielmo – ha detto l’avvocato De Santis – ha impegnato la sua vita per ottenere giustizia ma il suo tempo non è bastato”, ha aggiunto sottolineando che “in questo percorso si è consumato, è morto un poco ogni giorno”.

“Questa è l’ultima occasione che abbiamo perché si affermi la verità, abbiamo atteso 23 anni in cui è successo di tutto“. L’avvocato De Santis nel suo intervento conclusivo ha ripercorso i presunti avvistamenti considerati “inattendibili” di Serena perché – ha spiegato- “il mio compito è eliminare possibili dubbi su prove escludenti”. Che il delitto sia avvenuto in caserma, inoltre, non solo è “possibile ma è anche altamente probabile” come viene confermato dalle “prove scientifiche”, ha detto. “Serena è entrata in caserma quella mattina? – ha detto ancora il legale di Parte Civile rivolgendosi ai giudici – A questa domanda dovete rispondere. Perché se è entrata in caserma è stata uccisa lì per due semplici ragioni: la prima è che non è uscita viva e la seconda è che i Mottola sostengono che non sia mai entrata. La somma di questi due elementi fa sì che sia morta li'”.

Ricostruendo il 1 giugno, giorno della scomparsa della giovane di Arce, De Santis ha sottolineato che quando Serena “è morta non aveva mangiato da tempo e neppure a pranzo: questo può spiegarsi soltanto se all’ora del pranzo era stata già colpita”. Inoltre l’avvocato ha spiegato che “se non fosse stata colpita lo stesso giorno della sua scomparsa all’ora di pranzo sarebbe tornata a casa o comunque avrebbe avvisato il papà e il fidanzato con cui aveva appuntamento“.

“Questa è l’ultima occasione che abbiamo perché si affermi la verità, abbiamo atteso 23 anni in cui è successo di tutto”. Si è spresso in questi termini, invece, Anthony Iafrate, il legale di parte civile di Consuelo, la sorella maggiore di Serena Mollicone che si è costituita anche lei parte civile nel processo d’appello giunto alla sua 21 udienza: “Anche Consuelo è stata colpita dalla vita che le ha affidato il compito di continuare a lottare per la verità”, ha sottolineato. Poi ha affermato: “Credo senza alcun dubbio nella responsabilità degli imputati”. E ancora: “La vera giustizia sa farsi attendere e sa affermarsi anche dopo 23 anni”.

“La figura della vittima spesso rimane nascosta – ha detto in aula Iafrate – ma Serena la vogliamo ricordare così: una giovane e bella ragazza che stava facendo la maturità. Una ragazza che aveva un profondo rispetto per il prossimo, che amava la vita a cui è rimasta aggrappata con tutte le proprie forze. Serena la vogliamo ricordare con questa immagine e non con quella foto proiettata sullo schermo in udienza (la foto del corpo di Serena a Fonte Cupa ndr). Per l’avvocato Iafrate “Santino Tuzi è reso attendibile dalla testa di Serena Mollicone, che ha conservato le tracce: legno, colla, resina e ruggine. Serena in testa ha le tracce dell’alloggio a trattativa privata della caserma dei Carabinieri di Arce”.

Il riferimento è andato, dunque, ai frammenti di legno trovati sul nastro adesivo che avvolgeva il capo della giovane che, secondo l’accusa appunto, sarebbe stata sbattuta contro la porta di un alloggio della caserma. E contro chi dice che le dichiarazioni di Tuzi siano inventate Iafrate ha aggiunto: “Santino non dice di aver visto Serena entrare in caserma a un’ora qualsiasi ma indica le 11 e azzecca l’unico momento in cui gli imputati non avevano un alibi. Insomma Tuzi ‘inventa’ una storia vera”.

Se i legali delle principali difese (quelle di Franco, Marco ed Annamaria Mottola) interverranno il 2 luglio a conclusione dell’arringa dei pm della procura generale, lunedì l’ex carabiniere di Itri Francesco Suprano ha fatto sapere di rinunciare alla prescrizione. Lo ha dichiarato nel suo intervento il legale difensore Emiliano Germani: “Ci aspettiamo un’assoluzione con formula piena – ha detto – Non ci accontenteremo certamente dopo tutti questi anni, gli sforzi fatti e la certezza granitica che non ci sono elementi di colpa che possano giustificare una sentenza di condanna, di uscire dal processo dalla porta secondaria. Riteniamo che ci sono gli elementi di fondo per un’assoluzione perché il fatto non sussiste”.

Nella tardata serata non si è fatta attendere la puntuale controreplica del portavoce del pool difensivo della famiglia Mottola, il criminologo Carmelo Lavorino: “ L‘impianto accusatorio è debole, privo di presupposti, è basato su incertezze, contraddizioni e fattoidi: sono entrati in un deserto e lì sono rimasti, continuano a girarci dentro”. Lavorino poi ha criticato i legali di parte civile che, a suo dire – che avrebbero dato maggior credito ai consulenti tecnici dell’accusa rispetto a quelli della difesa: “E’ un errore di fallacia, è l’incapacità di avere un contraddittorio serio e costruttivo al che, non potendo attaccare il ragionamento, attacchi il ragionatore ricorrendo a futili e ridicoli stratagemmi. Né il procuratore né le parti civili – ha aggiunto Lavorino – sono stati capaci di confutare la nostra relazione consulenza ACCISGF (Analisi Criminalistica Criminologica Investigativa Sistemica Forense), laddove dimostriamo che la porta non è il mezzo lesivo/arma del delitto, i frammenti lignei sui nastri non provengono dalla porta, Serena non è entrata in caserma per andare a trovare Marco Mottola e – ha concluso – i Mottola sono innocenti…”.