Cronaca

Arce / Omicidio Serena Mollicone: processo d’Appello, le arringhe della difesa della famiglia Mottola

ARCE – Serena non è mai entrata nella caserma dei Arce il giorno in cui è scomparsa, il 1 giugno 2001. La Procura di Cassino e ora la Procura generale non hanno mai presentato una prova a conforto delle loro ricostruzioni accusatorie e poi contro la famiglia Mottola nel corso di questi 23 anni c’è stata un’autentica ”caccia alle streghe”. Pur con sfumature diverse affrontando i più disparati aspetti si sono espressi essenzialmente in questi termini i legali di Franco, Marco ed Annamaria Mottola che hanno monopolizzato giovedì la penultima udienza, la 22°, del processo di secondo grado per la scomparsa ed il delitto di Serena Mollicone. Sono durate quasi otto ore le arringhe degli avvocati Francesco Germani, Piergiorgio Di Giuseppe e Mauro Marsella che, dopo quella del collega Enrico Meta intervenuto nell’udienza di martedì, hanno chiesto una nuova assoluzione piena (dopo quella del 15 luglio 2022 della Corte d’assise di Cassino) per i rispettivi assistiti con la formula per ”non aver commesso il fatto”.

Le arringhe difensive hanno contestato innanzitutto il contenuto della requisitoria della Procura generale che – come si ricorderà – aveva chiesto 24 anni per il maresciallo Franco Mottola, 22 anni per il figlio Marco – l’unico presente giovedì in aula – e per la moglie Annamaria, quattro anni per il carabiniere Francesco Suprano e l’assoluzione per il collega Vincenzo Quatrale. Durissimo è stato soprattutto l’avvocato Marsella che ha contesto la scelta della pubblica accusa di equiparare il delitto di Serena a quello, più recente, di Marco Vannini: ”Ma in quest’ultimo caso ci sono state – ha detto – una pistola, che è l’arma del delitto, e persino una chiamata al 118 registrata. Quello celebrato sull’omicidio di Serena è stato un processo indiziario con prove scientifiche inattaccabili”.

Due sono stati gli attacchi, in particolar modo, portati dalla difesa Mottola. Il primo alla Procura di Cassino e a quella generale che in 23 anni non hanno saputo spiegare “per quale motivo sia stato commesso un delitto così grave”. Il secondo a Santino Tuzi, il carabiniere morto suicida nel 2008 che dichiarò di aver visto Serena entrare in caserma il 1 giugno 2001: “E’ inattendibile: – ha tuonato Marsella – se fosse ancora vivo sarebbe anche lui tra gli imputati. – Non è un testimone terzo ed estraneo e quindi qui si sta valutando l’attendibilità di un imputato”. Inoltre la Procura generale – ha spiegato ancoras Marsella, “non giustifica come mai Santino Tuzi sia rimasto in silenzio per sette anni”. “In ogni caso anche volendo tenere in considerazione le sue dichiarazioni e che Serena sia entrata in caserma ad Arce tra le 11 e le 11.30” del 1 giugno – ha osservato – “Non penso che si possano sottacere gli avvistamenti successivi della giovane, ben tre tra cui quello di Valentina Cianchetti e quello alle 13 di Elvira Mollicone, maestra della 18enne”. Inoltre l’avvocato cita “Simone Pasquale che racconta di aver avuto contatto fisico con il maresciallo Mottola proprio nell’orario in cui avrebbe dovuto uccidere Serena Mollicone”.

Ad aprire l’udienza era stato lo storico difensore dei Mottola, l’avvocato Francesco Germani. In aula ha ripercorso le fasi del 1 giugno 2001, giorno della scomparsa della giovane, affrontando punto per punto avvistamenti e testimonianze. Nel corso del dibattimento, ha detto, ”non è stata dimostrata nessuna prova che la pubblica accusa vuole dare per acclarata” e poi: “So di aver combattuto una buona battaglia proprio perché sono convinto della completa innocenza dei signori Mottola”.

Sulla presenza di Serena e Marco Mottola, quella mattina, al bar Chioppetelle l’avvocato Germani ha aggiunto senza mezze misure: “Non c’è nessun elemento che possa collocarli in quel posto. Nemmeno Carmine Belli ci dice che quel ragazzo che aveva visto discutere con Serena era Marco Mottola”. Concentrandosi sulla ricostruzione del delitto fatta dalla procura generale Germani ha chiesto alla Corte: “Marco uccide Serena e poi si cambia e va in piazza con gli amici. La sua amica Elisa Santopadre ci dice che è tranquillo e sereno come sempre. Un ragazzo di 18 anni ha la durezza d’animo per stare così sereno dopo aver lasciato in casa una ragazza agonizzante?”. Inoltre parlando di Franco Mottola il difensore ha precisato: “Secondo l’accusa nell’arco di un’ora il maresciallo avrebbe coinvolto tre militari integerrimi in un omicidio per coprire il figlio? Quali leve può avere usato per convincerli? Anche di questo manca la prova”.

Poi sull’ipotesi che Annamaria e Franco Mottola abbiano trasportato il cadavere di Serena fino al boschetto di Fonte Cupa questa è stata la versione difensiva: “Non esiste in tutta la notte un arco utile a compiere questa azione. Mottola non è rimasto mai da solo per più di 30-40 minuti. Lo stesso padre di Serena, Guglielmo Mollicone, è stato circa due ore in caserma con il maresciallo dopo mezzanotte”. Infine sull’arma del delitto ha proseguito: “L’assassino in genere se ne sbarazza e invece in questo caso lasciano la porta li’ alla mercé del primo esperto dei Ris che la voglia analizzare: se su quella porta ci fosse stata una sola traccia di Serena il processo sarebbe finito”. L’avvocato ricorda anche l’impronta trovata sul nastro adesivo che avvolgeva il capo di Serena, affermando che “non è della famiglia Mottola e che non si sa a chi appartiene”.

”La domanda a cui devono rispondere i giudici non è se Serena è entrata in caserma ma se gli imputati l’hanno uccisa – ha precisato poi l’altro avvocato del pool Piergiorgio Di Giuseppe – Anche volendo considerare attendibile Tuzi e volendo credere che Serena sia entrata in caserma non c’è alcuna prova che l’omicidio sia avvenuto lì”. In ordine alla requisitoria della Procura generale, l’avvocato Marsella ha sottolineato che “se fossero responsabili i Mottola sarebbe opportuno per loro chiedere 30 anni. Se davvero la procura è convinta della loro colpevolezza – dice – dovrebbe chiedere una pena ben più giusta. Tuttavia accolgo con favore questa riduzione delle richieste di pena” anche perché, aggiunge rivolgendosi alla Corte d’Assise d’Appello di Roma, “credo che davvero vi rimarrà difficile scrivere una sentenza di condanna. Ci sono delle prove scientifiche insuperabili”, dice ancora sottolineando che “sul cadavere di Serena ci sono decine di impronte digitali ma nessuna dei Mottola”.

Un altro passaggio intricante dell’udienza dedicata all’arringa della famiglia Mottola è l’interrogativo nel corso del suo intervento appassionato l’avvocato Piergiorgio Di Giuseppe, difensore di Marco Mottola: “La domanda a cui devono rispondere i giudici non è se Serena è entrata in caserma ma se gli imputati l’hanno uccisa. Anche volendo considerare attendibile Tuzi (il brigadiere morto suicida nel 2008 che disse di aver visto la ragazza, ndr) e volendo credere che Serena sia entrata in caserma non c’è alcuna prova che l’omicidio sia avvenuto lì”. Secondo la versione accusatoria della Procura di Cassino e della Procura generale la genesi di questo delitto ci sarebbe stata la mattina del 1 gennaio di 23 anni quando Serena e Marco Mottola avrebbero litogato quella mattina, al bar Chioppetelle.

L’avvocato Germani ha smentito questa ricostruzione: “Non c’è nessun elemento che possa collocarli in quel posto. Come non c’è la benché minima prova del fatto che Serena sia tornata con Marco Mottola ad Arce. Nemmeno Carmine Belli ci dice che quel ragazzo che aveva visto discutere con Serena era Marco Mottola”. Analizzando il movente si è posto il quesito: “Serena va in caserma perché vuole denunciare il figlio del maresciallo? Non solo la procura abbandona anche questa ipotesi ma nessuno può dire che volesse denunciare Marco Mottola”.

Inoltre parlando di Franco Mottola il difensore ha aggiunto: “Secondo l’accusa nell’arco di un’ora il maresciallo coinvolge tre militari integerrimi in un omicidio. Quali leve può avere usato per coinvolgere tre carabinieri in un omicidio per coprire il figlio? Anche di questo manca la prova”. Nella precedente udienza l’avvocato Enrico Meta si era soffermato sull’illazione in base alla quale l’ex comandante Mottola avesse prelevato Guglielmo Mollicone durante la veglia funebre della figlia di sua iniziativa: “Come è possibile che questa attività posta in essere su indicazione dell’autorità giudiziaria possa essere stata posta a carico del maresciallo Mottola per tutto questo tempo?”. Lo stesso l’avvocato Meta ha ripercorso alcuni momenti della giornata della scomparsa di Serena.

“Tra le 6.50 e le 10 Franco Mottola è stato impegnato con la festa dell’Arma a Frosinone – ha detto – Poi viene visto salire in casa. La pattuglia con Tuzi e Quatrale rimane in caserma fino alle 11 poi esce e la presenza in ufficio è garantita da Mottola. La pattuglia viene richiamata ed esce di nuovo per fare adempimenti. La caserma è occupata da Mottola che funge da piantone. Alle 11.07 Franco Mottola chiama Simone Pasquale con la gravità di quello che sta accadendo lui gli dice vieni pure quando vuoi. Poi l’uomo va in caserma ed è certificato che ritira un documento”.

“Inoltre – ha osservato l’avvocato Meta – viene chiamato Claudio Lancia a casa e lui richiama. Anche in quel caso gli dicono di andare in caserma. Insomma mentre in caserma al piano di sopra si consumava la tragedia al piano di sotto l’attività si svolgeva normale“. “Nel pomeriggio ci sono telefonate che testimoniano le solite attività familiari – ha aggiunto – proprio mentre in caserma, secondo l’accusa, ci sarebbe una ragazza agonizzante. E in quei momenti Annamaria Mottola pensa a fare le chiamate alle amiche e ai parenti?“.

“La sera ci sono continui contatti tra i carabinieri di Ceprano e Pontecorvo. Mottola è in caserma ad Arce. Ad oggi non è dato sapere a che ora avrebbero trasportato questo cadavere. Ci sono tante chiamate e poi c’è Guglielmo Mollicone che va in caserma. Insomma non c’è un momento di discontinuità tra tutte queste attività tale da garantire il caricamento in macchina del corpo. Il percorso dalla caserma al luogo del ritrovamento di Serena è lungo ben 10 chilometri”. L’ultimo atto del processo d’appello per il delitto di Arce ci sarà il 12 luglio. Dopo le repliche i giudicati della prima sezione della Corte d’assise d’appello entreranno in camera di consiglio per emettere in serata la sentenza…

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