Sconcerto e incredulità. Con questo duplice stato d’animo il mondo dell’avvocatura ed il sistema giudiziario di Latina e provincia hanno accolto nella giornata di mercoledì la notizia della condanna a cinque mesi di reclusione di uno dei magistrati di punta del Tribunale civile di Latina. Il dottor Stefano Rocco Fava è stato condannato, con i benefici di legge, al termine di una delicatissimo processo che istruito dalla Procura di Perugia (quello competente sui magistrati del Lazio e della capitale), si è svolto e concluso davanti al Tribunale del capoluogo umbro in cui era imputato anche l’ex sostituto procuratore presso la Repubblica di Roma Luca Palamara.
Il dottor Fava, alla fine, è stato condannato per “accesso abusivo a sistema informatico” mentre è stato assolto invece dalle accuse di “abuso d’ufficio” “perché il fatto non sussiste” e da quella di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio insieme a Luca Palamara “per non aver commesso il fatto”. I Pm Gemma Miliani e Mario Formisano avevano chiesto 2 anni per Fava – imputato con le accuse di accesso abusivo a sistema informatico, abuso d’ufficio e rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio – e 8 mesi per Palamara (sotto processo per di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio) nel processo nato dal filone d’inchiesta sulle rivelazioni all’interno del palazzo di piazzale Clodio a Roma.
Nel dibattimento, che si è aperto il 19 gennaio 2022 e vedeva come parte civile il magistrato Paolo Ielo, a Palamara e a Fava veniva contestato di aver rivelato notizie d’ufficio “che sarebbero dovute rimanere segrete”. Fava, all’epoca dei fatti sostituto procuratore nella capitale, era accusato anche di essersi “abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d’udienza e della sentenza di un procedimento”. Fatto che secondo i pm avveniva “per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita”. Il suo obiettivo, secondo l’atto di accusa “era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall’incarico di procuratore di Roma e dell’aggiunto Paolo Ielo”.
Secondo l’accusa Fava avrebbe acquisito atti di procedimenti penali “per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell’allora procuratore Pignatone” ed “effettuare una raccolta di informazioni volta a screditare Ielo, anche attraverso l’apertura di un procedimento penale a Perugia” e quindi “a cagionare agli stessi un danno ingiusto”. Mercoledì la sentenza che ha condannato Fava a cinque mesi per accesso abusivo e lo ha assolto dall’accusa di abuso d’ufficio e di rivelazione in concorso con Palamara, difeso dagli avvocati Roberto Rampioni, Benedetto e Mariano Buratti.
Pronti a fare appello i difensori di Fava, gli avvocati Luigi Panella e Luigi Castaldi. “Leggeremo le motivazioni ma possiamo dire sin d’ora – hanno dichiarato i due penalisti – che faremo appello”.