CASTELFORTE – Un dibattimento che riprenderà con le stesse modalità con cui si era fermato nell’udienza shock del 9 maggio scorso alla vigilia del verdetto: le dichiarazioni spontanee dell’unico imputato, la camera di consiglio e la sentenza finali. Con questo programma, assai prevedibile, scatterà di nuovo il 5 settembre il processo con il rito abbreviato in cui davanti il Gup del Tribunale di Cassino il 56enne ex Carabiniere Giuseppe Molinaro dovrà continuare a difendersi dall’accusa di aver ucciso il 7 marzo 2023 con tre colpi di pistola – quattro all’addome ed uno alla mascella destra – il direttore dell’hotel “Nuova Suio”, il 66enne di San Giorgio a Liri Giovanni Fidaleo e di aver ferito gravemente la trentenne di Castelforte Miriam Mignano.
Il processo riprenderà davanti allo stesso magistrato, il dottor Salvatore Lo Mastro, che lo stesso Molinaro aveva pubblicamente ricusato nell’udienza del 24 aprile con l’accusa di essere prevenuto nei suoi riguardi. E invece l’istanza di ricusazione – come prevede il codice di procedura penale – è stata rigettata il 3 luglio scorso dai giudici della quarta sezione penale della Corte d’appello che l’avevano definita “inammissibile, tardiva e presentata senza l’osservanza dei termini oltre manifestamente infondata e del tutto generica”. Insomma secondo i giudici di secondo grado il processo il 5 settembre il processo potrà riprendere davanti lo stesso Gup Lo Mastro, lo stesso magistrato che aveva accolto la richiesta della difesa di svolgere il rito abbreviato ma senza essere condizionato allo svolgimento di una perizia psichiatrica. E invece i rapporti tra le parti sarebbero precipitati nell’udienza del 9 maggio quando Molinaro, tuttora recluso presso il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, aveva pesantemente censurato il diniego di Lo Mastro ad una sua richiesta di essere sottoposto ad una necessaria visita medica.
Ad alimentare questo ‘muro contro muro’ ci hanno pensato poi gli stessi legali di Molinaro, gli avvocati Giampiero Guardiello e Massimo Tamburrino. Avevano presentato alla Corte d’Appello alcuni documenti e certificati che, rilasciati dalla struttura medica del carcere di Santa Maria Capua Vetere, comproverebbero – a loro dire – l’incapacità dell’imputato ad affrontare il prosieguo del processo e di sostenere invece con urgenza una serie di terapie farmacologiche a causa di ulteriori patologie sopraggiunte, unitamente alla depressione. Sotto la lente d’ingrandimento degli avvocati Guardiello e Tamburrio sarebbero finite alcune frasi pronunciate da Lo Mastro “fuori dall’esercizio delle funzioni”. E invece secondo i giudici della quarta sezione della Corte d’appello “tale ipotetica dichiarazione non risulta depositata né in cancelleria della Corte d’appello – lo né in quella del Tribunale di Cassino e, in ogni caso, l’atteggiamento del Gup contestato dall’imputato è indimostrato – scrivono i giudici d’appello – meramente riferito dallo stesso imputato, senza risultare in alcun modo da verbali o da altri atti processuali. Il contenuto delle frasi, peraltro, non costituirebbe – anche ove fossero state effettivamente pronunciate (del che non vi è alcuna prova) – in alcun modo una manifestazione del parere del dottor Lo Mastro sull’oggetto del procedimento, nemmeno a livello della prospettazione di Molinaro, alcuna manifestazione del convincimento del giudice sulle imputazioni fuori dall’esercizio delle sue funzioni, non potendo essere valutati in alcun modo presunti atteggiamenti del giudice che sono soggettivamente ritenuti dall’imputato indice di “prevenzione” rispetto al giudizio. Ma che sono del tutto indimostrati. Manifesta, dunque l’infondatezza della dichiarazione”.
E invece la difesa di Molinaro ha sempre fatto rilevare una ‘chiusura’ del Tribunale di Cassino sulla sua posizione, già quando venne rigettata l’istanza di celebrare – come detto – il rito abbreviato condizionato allo svolgimento di una perizia psichiatrica. A dire degli avvocati Guardiello e Tamburrino il quadro clinico di Molinaro è instabile già molto tempo prima della scomparsa della madre avvenuta nel 2020, a causa della quale l’ex Carabiniere venne sottoposto ad un visita medico legale che, disposta dall’Arma, avrebbe avuto un esito positivo. La richiesta del rito abbreviato condizionato allo svolgimento di una perizia psichiatrica è stata avanzata anche per quanto avvenne – secondo la difesa – diversi anni fa. Tra il 1999 ed il 2000 Molinaro effettuò ben 530 giorni di malattia per il suo quadro psichico che, già all’epoca, non sarebbe stato più dei migliori.
E invece ora la quarta sezione della Corte d’Appello ha disposto la ripresa del processo davanti il Gup Lo Mastro – se ne riparlerà subito dopo la pausa estiva – e Molinaro dovrà pagare un’ammenda di 1000 euro alla stessa Corte d’Appello. La ricusazione sarebbe stata avanzata anche perché quaato avvenuto – secondo la difesa di Molinaro il 12 febbraio quando venne respinta la richiesta di svolgere il rito abbreviato condizionato allo svolgimento di una perizia psichiatrica e contestualmente venne accolte le costituzione di parte civile delle famiglie Fidaleo e e di Mignan, rappresentati dagli avvocati Costanza De Vivo, Raffaele Panaccione, Giuliana DeAngelis e Giuseppe Carnevale.