SUD PONTINO – Rimosso il vincolo associativo e rivisitazione, verso il basso, della sentenza di condanna rispetto a quella di primo grado emessa il 21 dicembre 2021 da parte del giudice monocratico del Tribunale di Cassino a conclusione del rito ordinario. E’ stato questo, in sintesi, il contenuto della sentenza pronunciata venerdì dalla prima sezione penale della Corte d’appello di Roma al termine del processo di secondo grado celebrato nei confronti di alcuni degli imputati coinvolti il 1 luglio 2020 nell’operazione anti-droga “Touch & Go”. L’inchiesta dei Carabinieri della Compagnia di Formia, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, culminò con l’arresto complessivamente di 20 persone accusate di gestire, almeno dal 2015, a Formia e a Scauri un collaudato sistema specializzato nello spaccio di cocaina, hashish e marjuana ma anche al possesso di armi e di materiali esplodenti, minacce, violenza privata e lesioni.
Se il procuratore generale Bruno Giancomo aveva chiesto la conferma delle condanne, pari ad oltre 80 anni, inflitte dal Tribunale di Cassino, i giudici d’appello hanno assolto invece dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga i fratelli Giuseppe e Domenico De Rosa, Giancarlo Di Meo, Matteo Rotondo, Francesco e Giuseppe Leone e Giovanni Nocella. La condanna più pesante – 10 anni e tre mesi – è stata inferta ai danni del presunto leader di questa organizzazione, Armando Danilo Clemente.
Più lievi le altre: tre anni per Giovanni Nocella (condannato al pagamento di una multa di 8000 euro), due anni e mezzo per Marco Barattolo (6000 euro) e Giancarlo Di Meo (6000 euro), due anni e dieci mesi per Matteo Rotondo (6000 euro)e, inoltre, due anni per Domenico De Rosa (4500 euro), Giuseppe Leone(4500 euro) e Francesco Leone ( 5500 euro) che, avendo scontato le rispettive pene, sono tornati praticamente in libertà nel pomeriggio di venerdì per la soddisfazione dei rispettivi legali difensori, gli avvocati Vincenzo Macari, Luca Scipione, Eduardo Fascione, Gianluca Di Matteo, Pasquale Cardillo Cupo e Giovanni Valerio. Se al termine della requisitoria formalizzata a conclusione del processo di primo grado l’allora sostituto procuratore della Dda Corrado Fasanelli aveva sollecitato condanne per 147 anni e mezzo di carcere, il contenuto della sentenza del Giudice Marco Gioia era stata – si fa per dire – più mite escludendo per gli imputati l’aggravante del vincolo associativo di stampo camorristico.
Le condanne più pesanti – 10 anni e mezzo – erano state inflitte ad Armando Danilo Clemente, Domenico De Rosa e a Giuseppe De Rosa (10 anni e 4 mesi di carcere). Gli altri provvedimenti detentivi avevano riguardato Matteo Rotondo (sette anni e 4 mesi), Nocella Giovanni e Giuseppe Leone (sette anni e 2 mesi), Francesco Leone (sette anni),Giancarlo Di Meo (sei anni e 10 mesi), Daniele Scarpa e Giu-seppe Sellitto (sei anni e 8 mesi) e Marco Barattolo (quattro e due mesi). L’unica assoluzione aveva riguardato l’unica donna, R. P. che, difesa dall’avvocato Massimo Signore, aveva chiesto, come gli altri 11 imputati, di essere giudicata con il rito ordinario.
Un fatto è certo. Per le nove persone arrestate nel luglio di quattro anni fa che avevano scelto di essere giudicate davanti il tribunale di Roma con il rito abbreviato le pene furono paradossalmente più pesanti di quelle del Tribunale di Cassino al termine del rito ordinario e ora a conclusione del processo d’appello.