ARCE – Se per Marco Mottola l’incubo in cui è finito insieme alla sua famiglia “è colpa dei giornalisti”, la sorella della vittima, Consuelo, la sua legittima amarezza l’ha sintetizzata con una battuta “Questa non è giustizia“. Erano trascorse le 17.15 di venerdì quando, al termine di una camera di consiglio di sole tre, il presidente della prima sezione della Corte d’assise d’appello Vincenzo Capozza è arrivato, dopo 23 udienze, ad una conclusione: non si conosce, dopo 23 anni, chi ha ucciso Serena Mollicone venerdì 1 giugno 2001 nella caserma dei Carabinieri di Arce.
I giudici di secondo grado, bissando la sentenza del 15 luglio di due anni fa della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino hanno assolto l’ex Comandante dei Carabinieri di Arce Franco Mottola, il figlio Marco, la moglie Annamaria ma anche altri due ex militari Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. E’ calato dunque il sipario sul dibattimento di secondo grado su uno dei “misteri d’Italia”. E’ stato un pronunciamento molto atteso e carico di tensione – seguito da un numero davvero considerevole di colleghi giornalisti, fotografi e cineoperatori – dopo la riapertura della fase dibattimentale sollecitata dalla Procura generale e da quella di Cassino, le stesse che avevano impugnando le cinque assoluzioni sentenziate due anni orsono dalla Corte cassinate presieduta allora dal giudice Massimo Capurso.
I giudici d’appello, dopo una camera di consiglio iniziata dopo le 14, hanno dato ragione alle risultanze difensive soprattutto dei tre principali imputati – Franco, Marco ed Annamaria Mottola – secondo le quali Serena non è mai entrata nella caserma di Arce nel giorno in cui è scomparsa. In più la stessa Procura di Cassino e ora la Procura generale – secondo le difese – non hanno presentato una prova a conforto delle loro ricostruzioni accusatorie. Nonostante la riapertura della fase dibattimentale, poi, il processo d’appello – sempre secondo le difese – ha avuto un carattere esclusivamente indiziario senza prove scientifiche inattaccabili. Non sono bastate dunque, le chiarazioni formalizzate nel 2008 del brigadiere dei Carabinieri Santino Tuzi che, prima di togliersi la vita con la pistola d’ordinanza, raccontò ai Pm della Procura di Cassino di aver visto Serena la mattina del 1 giugno 2001 entrare nella caserma di Arce.
IL PROCESSO D’APPELLO
Il giudizio di secondo grado ha preso il via il 26 ottobre 2023 e la Corte d’Assise d’Appello di Roma, presieduta da Vincenzo Capozza, subito accolse la richiesta del procuratore generale di riaprire l’istruttoria. Sono seguiti quasi nove mesi di udienze nel corso delle quali, oltre ai consulenti, sono stati ascoltati 44 testimoni, tre mai sentiti in dibattimento. Serena Mollicone scomparve il 1 giugno del 2001. Quella mattina uscì di casa presto, dopo aver preparato la colazione al padre, con cui viveva sola dalla scomparsa della mamma. Doveva andare all’ospedale di Sora dove aveva un appuntamento fissato da qualche giorno per un’ortopanoramica. Da quel momento però non farà più ritorno a casa. Il suo corpo verrà ritrovato due giorni dopo, abbandonato sull’erba vicino a un mucchio di rifiuti nel bosco di Fonte Cupa, in località Anitrella. Serena venne trovata con mani e piedi legati, nastro adesivo sulla bocca, e un sacchetto dell’Eurospin in testa.
LA CRONACA DI UNA GIORNATA PARTICOLARE
Alcune volontarie di Telefono Rosa e cittadine di Arce e di alcuni paesi della provincia di Frosinone (tra queste la cugina di
I COMMENTI
Tra i primi a parlare ai taccuini e tv di tutta Italia è stata la sorella maggiore di Serena, Consuelo: “Sono amareggiata, questa non è giustizia“. Le ha fatto eco lo zio Antonio: ”Come familiare di Serena ho il dovere di fare in modo che la giustizia e la verità vengano a emergere perché mi sembra che non siano ancora emerse. Noi andremo fino in fondo affinché si persegua la giustizia”. Era distrutta Maria Tuzi, la figlia del vicebrigadiere Santino, morto suicida nel 2008: “Ero più ottimista e mi aspettavo una condanna. In aula gli elementi ci sono stati, i testimoni hanno avuto coraggio e hanno detto quello che sapevano. Il cerchio si poteva perfettamente chiudere. Quindi è stata veramente una seconda delusione. Ora decideremo cosa fare, questo non è un esempio di giustizia”.
Secco e lapidario il commento dell’ex Comandante Mottola: “Questo è certo “. Così ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano se con la sentenza sia stata fatta giustizia, lasciando la Corte d’Assise d’Appello di Roma che l’ha assolto dall’accusa di omicidio nel processo per il delitto di Serena. “’Ho sempre detto che non c’entravamo niente” – ha concluso l’ex comandante di Teano, i cui legali difensori parleranno nel corso di una conferenza stampa fissata per martedì 16 luglio, alle 16, presso il Palazzo della cultura (corso della Repubblica 271) a Cassino.
Hanno anticipato i loro interventi due dei quattro legali della famiglia Mottola: “La giustizia in Italia ha una caratteristica: è lenta ma poi arriva. E in questo caso è arrivata due volte” – ha tenuto sottolineare l’avvocato Francesco Germani, uno dei legali del pool difensivo formato anche dagli avvocati Mauro Marsella, Enrico Meta, Pier Giorgio Di Giuseppe.
“E’ stata una sentenza molto puntuale, non c’erano i margini per una sentenza di condanna. Sul cadavere della povera vittima c’erano decine di impronte digitali che non sono riconducibili agli imputati e lo abbiamo ribadito anche oggi in sede di replica. Non si poteva che pervenire a una conferma della sentenza di primo grado ”– ha aggiunto l’avvocato Marsella.
Di poche parole, infine, il portavoce del collegio difensivo della famiglia Mottola, il criminologo Carmelo Lavorino: “Quella di venerdì è stata – ha concluso – un’assoluzione totale, è stata una vittoria della scienza seria, della logica investigativa e delle scienze forensi”.