FORMIA – Una lucida e intensa analisi quella scritta dal giornalista Sergio Nazzaro, che su Facebook ha voluto condividere con noi di Temporeale.info il suo pensiero. Nazzaro, specializzato in reportage d’inchiesta soprattutto sulle criminalità organizzate nazionali ed internazionali, con particolare riferimento alle mafie di origine africana, ha scritto il libro “Castel Volturno reportage sulla mafia africana” (Einaudi) e conosce molto bene la realtà del sud pontino.
Nella sua analisi arriva ad ipotizzare che le indagini svolte dalla Dda di Roma sull’omicidio di Mario Piccolino siano servite a combattere la camorra attraverso una brillante operazione antimafia, nonostante – come è noto – il delitto sia ascrivibile ad una vendetta personale. E ci spiega il perché.
“Omicidio Piccolino, Formia, ipotesi di lavoro su un’indagine, ovvero come un omicidio non di camorra diventa strumento per combattere la camorra: un noto avvocato viene ucciso in maniera fredda e determinata. Subito si grida alla camorra, tutti si accodano: giornalisti in buona fede e le rock star dell’antimafia per far vedere che sono tutti sul pezzo e seguono con attenzione le vicende del sud pontino e forse neanche sanno dove sta il celebre sud pontino.
Comunque sia, le indagini passano subito nelle mani della DDA e di Pignatone, uomo molto acuto e di grande intelligenza. Sempre per ipotesi, quindi pura e semplice divagazione giornalistica, immaginiamo che Michele Rossi viene individuato subito, nelle classiche 24 ore.
La DDA con tutte le telecamere che ha a disposizione lo ha rintracciato immediatamente, sa già il chi il come e il perché. Ma l’arresto avviene dopo 18 giorni. Sempre per ipotesi, qualcuno prende al volo una triste opportunità, ma sempre opportunità, perché il male si annida dovunque. E comunque l’omicidio è compiuto, si sa chi è, giorno prima o giorno dopo poco importa per l’arresto, c’è un’altra indagine più importante, una sorta di mafia capitale che si aggira per il sud pontino.
Quindi appena si consuma l’omicidio di Piccolino e tutti a gridare “è stata la camorra” i telefoni cominciano a squillare a cercare di capire, e la DDA ascolta. Ricordo che sto divagando e facendo ipotesi, ma i giornalisti se lo ammettono in partenza lo possono fare per tracciare un quadro.
Immaginiamo amministratori, appaltatori, amici degli amici e tante altre brave e rispettabili persone che si inquietano per questo omicidio, chissà che più per questione civile, per altri motivi, parlano, chiedono spiegazioni ad altri.
E si costruisce un quadro investigativo sotto l’egida dell’omicidio di (non) camorra che fa scoprire dove sta la camorra per davvero. E così tutti intercettati, parlano e confessano in diretta un quadro di cosa avviene poco sopra la linea del Garigliano.
Interessi e storie che vengono servite sul piatto della paura, di patti che vengono messi in discussione perché non si capisce come mai ci scappa il morto ammazzato.
Nel frattempo Rossi è guardato a vista, è già inchiodato e non lo sa. Lui vive in un mondo della vendetta assurdo e folle e ha altri pensieri. Poi quando le telefonate fatte sono sufficienti, ecco che scatta l’arresto e la consegna da parte della DDA alla procura di Cassino, non è omicidio di camorra ma della camorra nel sud del Lazio ha fatto capire moltissimo.
Nella città che ha allenato Pietro Mennea silenziosamente è andata in porto una brillante operazione antimafia, lavorata con grande intelligenza. Se di poi tra i diversi corpi delle forze dell’ordine non c’è molta fiducia è perchè c’è chi conduce le indagini e chi ne parla. La stretta finale sta arrivando e solitamente Pignatone quando fa partire gli arresti sono blindati, sono ordinanze a prova di tutto, anche di eccellenti avvocati e grandi pressioni politiche. La storia comincia ora. Tutto quanto appena scritto è un’ipotesi, nulla di più”.
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