Cronaca

Gaeta / Ex-vetreria Avir: accusa di lottizzazione, le motivazioni della condanna di Di Tella e Martino

GAETA – Quarantatré pagine per ribadire come nell’ex vetreria Avir siano state effettuate opere di trasformazione urbanistica che hanno “comportato asservimento di zone a destinazione industriali ad immobili ricadendo in zone B1 di completamento”. Insomma ad appartamenti privati. La lottizzazione edilizia, poi, è avvenuta mediante frazionamenti catastali e successivi e ripetuti atti di vendita senza la prescritta autorizzazione ed in violazioni alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti nel comune di Gaeta”. Questi sono concetti che l’ex giudice monocratico del Tribunale di Latina, Laura Morselli, dall’inizio dell’anno destinata a svolgere il ruolo di Gip e Gup a piazza Buozzi, ha più volte esplicitato e analizzato nelle 43 pagine che, depositate negli ultimi giorni, hanno di fatto posto fine soltanto al primo round della datata controversia giuridico processale terminato il 13 giugno scorso con la condanna a sei mesi di reclusione e al pagamento di una multa di 24mila euro ciascuno comminata ai danni degli ex proprietari della dismessa vetreria di Serapo, Martino e Raffaele Di Tella, rispettivamente amministratori delle società edilizie “Gaim srl” e “Di Tella srl”.

I due proprietari campani dello storico sito industriale di Gaeta si definiscono ancora tali nonostante l’immobile sia stato confiscato e assegnato al Comune di Gaeta grazie ad una sentenza favorevole del Consiglio di Stato ma condizionata da una falsa relazione tecnica che l’ex dirigente del settore urbanistica del comune di Gaeta, Stefania Della Notte, è sotto processo (con la grave accusa di falso ideologico commesso da un publico ufficiale) davanti il Tribunale di Roma, dibattimento che riprenderà il 14 novembre prossimo con l’audizioni di alcune parti civili e, dunque, citati dagli stessi Martino e Di Tella. I due imprenditori campani nel 2021 avrebbero potuto utilizzare la scorciatoia della prescrizione ed uscire definitivamente da questo processo che, invece, li ha visti lo scorso giugno condannati a sei mesi di reclusione dopo che lo storico pm che ha cooerdinato l’inchiesta, lunga e difficilissima, il sostituto procuratore Giuseppe Miliano nella sua arringa aveva chiesto per loro un anno e mezzo di carcere e al pagamento di una multa ciascuna di 40mila euro. Martino e Di Tella dopo aver letto le 43 pagine delle motivazione di condanna della dottoressa Morselli non si sono dati per vinti.

Anzi hanno rilanciato il loro guanto di sfida nei confronti del comune di Gaeta preannunciando ricorso in appello per “superarare quella che è stata un’autentica beffa” – non ha utilizzato mezzi termini il loro legale difensore l’avvocato Luca Scipione. La sentenza di condanna era arrivata il 13 giugno scorsa a quasi 12 anni dal sequestro operato dal Nipaf dei Carabinieri su richiesta la procura di Latina e, come detto, del Pm Miliano. Nelle sue motivazioni con cui ha condannato Di Tella e Di Martino la dottoressa Morselli ha allegato le informative redatte all’epoca dagli attuali Carabinieri Forestali e della stessa sezione urbanistica del comune e, a suo dire, “le risultanze istruttorie hanno evidenziato l’avvenuta perpetrazione del reato di lottizzazione abusiva a carico degli imputati, attori principali – scrive degli atti di frazionamento e di molteplici vendite dei lotti frazionati oltre che di edificazioni eseguite in zona industriale, asservita agli appartamenti ricavati, come quelle adibite a parcheggi di loro pertinenza o alle recinzioni di pertinenza esclusiva dell’immobile alienato alla figlia di Di Tella Raffaele”.

“Gli ex proprietari della vetreria Avir di Gaeta meritano un’assoluzione dopo 12 anni perché non hanno commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato“. Era terminata così, dopo quasi tre ore, lo scorso 29 novembre, il circostanziato intervento dell’avvocato Luca Scipione. Aveva controbattuto alla tesi della Procura di Latina secondo la quale le due ex società proprietarie dell’Avir avrebbero effettuato una serie di frazionamenti che, alla distanza, avrebbero provocato un aumento volumetrico con finalità di edilizia privata residenziale. L’avvocato Scipione, invece, era stato di tutt’altro avviso affermando come del reato di lottizzazione abusiva, semmai fosse stato compiuto, non potevano essere considerati responsabili soltanto due imprenditori privati. Fu costituito nel corso del tempo del Consorzio che il Tribunale di Latina nella sua sentenza di condanna ha messo al riparo: “Tra i consorziati non figurano gli acquirenti di tutte le unità frazionate costituenti parte integrante dell’originario sito industriale. Del parti l’adesione al progetto di riqualificazione urbanistica presentato, contenuta negli atti di compravendita stipulata con taluni acquirenti dei lotti frazionati, non incide in alcun modo sull’attuale illegittimità delle lottizzazioni in corso, non essendovi – ha aggiunto il giudice Morselli – peraltro certezza alcuna in ordine alla futura approvazione del progetto”.

I due imprenditori condannati hanno deciso di proporre appello anche per un’altra ragione: per la configurazione del reato di lottizzazione edilizia, disciplinato dal Dpr 380/2001, la Procura di Latina, avrebbe dovuto eventualmente coinvolgere, sempre se fosse stato consumato, dirigenti, tecnici ed amministratori del comune di Gaeta che in questa tortuosissima e datata vicenda tecnico urbanistica non sono stati mai citati…..Insomma Di Tella e Martino non potevano fare tutto da soli. In ordine al frazionamento di ben 28 lotti del complesso immobiliare dell’ex Avir , il legale della Gaim e della Di Tella srl intende rinnovare nel suo appello un altro particolare: una prima parcellizzazione è avvenuta quasi un secolo fa – nel 1928 – altrettanti frazionamenti siano stati eseguiti nel 2005, 19 anni fa, mentre dei 16 rimanenti furono avanzate altrettante richieste al comune di Gaeta ma non se ne fece mai niente.

Se il Prg del comune di Gaeta adottato nel 1973 prevedeva per l’area ex Avir 53mila metri cubi, il legale di Martino e Di Tella nella fase dibattimentale aveva ricordato una significativa ricognizione volumetrica che promosse l’amministrazione comunale guidata dall’ex sindaco Antonio Raimondi. Diede mandato all’allora dirigente del settore urbanistica Sisto Astarita di verificare la situazione esistente alla luce di una precisa volontà dei privati di riqualificare l’area, in stretta collaborazione con il comune di Gaeta, presentando il piano integrato d’intervento previsto dalla legge regionale numero 22/1997 sul recupero funzionale dei siti industriali dismessi. Il tutto avvenne alla luce del sole, o meglio, all’interno del teatro Ariston che ospitò due happening pubblici alla presenza di “centinaia e centinaia di cittadini. Intanto i due patron condannati hanno incassato lo scorso giugno la condanna a sei mesi di reclusione ma le loro ex società non sono rimaste a guardare nei confronti del comune di Gaeta. Come? Lo scorso gennaio hanno presentato quattro lettere di messa in mora per chiedere 22 milioni di euro per i danni subiti dopo che l’area e lo stabilimento industriale di Serapo sono finiti, su input dell’ex sindaco e ora consigliere regionale di Forza Italia Cosimino Mitrano , nella proprietà immobiliare del comune. Alla messa in mora congiunta del 22 dicembre scorso inviata per conto della “Gaim srl” e della T.F.Costruzioni srl” se ne sono aggiunte altre due trasmesse per conto dall’ex rappresentante legale della “Di Tella srl”, Raffaele Di Tella, e dalla figlia (la prima), degli eredi Simeoli e dell’ex amministratore della “Gaim srl” Nicola Martino.

Questi due annunci di fatto avevano inaugurato l’avvio del procedimento per lo svolgimento di due distinte iniziative risarcitorie che, rispetto a quelle ingenti (20 milioni di euro) presentate dalla “Gaim srl” e dalla T.F.Costruzioni srl”, contengono richieste più contenute: un milione di euro a testa. Se anche la seconda e terza istanza di messa in mora hanno avuto per destinatari il sindaco Cristian Leccese e l’ex dirigente del settore urbanistica del comune Stefania Della Notte, i privati chiedono di essere ristorati complessivamente per i presunti danni subiti da quando, nel 2012, l’area fu sequestrata dal Nipaf dei Carabinieri. La sentenza penale di condanna emessa dal Tribunale di Latina rallenta – “ma non annulla” come ha tenuto di nuovo a sottolineare l’avvocato Scipione – la procedura di messa in mora promossa da Martino e Di Tella: “Avremmo potuto benissimo beneficiare della prescrizione – ha concluso il legale difensore dei due imprenditori campani – Ma siamo convinti dela giustezza della scelta nonostante la condanna a sei mesi di reclusione che non rende giustezza dei danni subiti dai miei assistiti 12 anni e nelle successive fasi tecnico-amministrative. Dopo le motivazioni depositate negli ultimi della senteza di condanna della dottoressa Mosrelli sarà inevitabile il ricorso in appello”.

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