FORMIA – Emergono importanti retroscena dalla delicatissima (e non ancora conclusa) indagine della Guardia di Finanza culminata con l’arresto ai domiciliari di quattro persone, l’obbligo di presentazione quotidiana alla Pg per altre sette e la notifica di avvisi di garanzia ad ulteriore 22 persone, accusate di aver ottenuto falsi crediti per lavori edilizi mai eseguiti (o nella migliore delle ipotesi gonfiati) e di averli venduti o riciclati nei settori commerciali e immobiliari di Formia. Nei giorni scorsi una delle quattro persone ritenute ai vertici di un sodalizio in grado – secondo le risultanze investigative del gruppo di Formia della Guardia di Finanza – di truffare all’erario ben 79 milioni di euro, l’imprenditore edile Amleto Fiammenghi aveva ottenuto la revoca della misura cautelare ai domiciliari sostanzialmente perché, difeso dagli avvocati Pasquale Cardillo Cupo e Gianni Bove, aveva detto cose importanti al Gip del Tribunale di Cassino Domenico Di Croce al quale aveva aperto bocca, a differenza di Gianni Luglio, del cognato Aniello Ianniello e del commerciante Giancarlo Simeone, nel corso dell’interrogatorio di garanzia.
Fiammenghi era riuscito a dimostrare al magistrato come Ianniello – considerato per via del suo lavoro di consulente finanziario (svolto a Battipaglia, in provincia di Salerno) il tesoriere dell’organizzazione – gli avesse carpito a sua insaputa tutte le sue credenziali anagrafiche per truffare lo Stato beneficiando sino al 2022 di tutte le agevolazioni previste dal Bonus 110. La svolta all’indagine- leggendo la chilometrica ordinanza del Gip Di Croce emessa su richiesta del sostituto procuratore Flavio Ricci – si è registrata due anni e mezzo fa, il 27 aprile 2022. La Guardia di Finanza del Colonnello Luigi Galluccio inviò a gran parte delle 32 persone poi risultate indagate un questionario in cui aggiornare l’iter dei lavori edilizi svolti e, soprattutto, finanziati dallo Stato.
Quel giorno scoppiò il finimondo tra alcuni dei futuri indagati ma da tempo nel mirino delle Fiamme Gialle. Se Ianniello, la presunta mente dell’organizzazione, cominciò a sorpresa a restituire i crediti d’imposta già caricati sul portale dell’Agenzia delle Entrate con il chiaro intento di “cancellare” la truffa già compiuta, gli inquirenti capirono che qualcosa stesse avvenendo in una vivace intercettazione telefonica tra Fiammenghi ed il cognato consulente finanziario Ianniello. Quest’ultimo al cognato residente nella frazione formiana di Trivio annuncio la volontà, a causa degli ingombranti ma decisivi questionari inviati dalla Guardia di Finanza, di annullare le pratiche già in avanzato stato di finanziamento. E i soldi in palio erano davvero tanti: sulla piattaforma della cessione dei crediti sarebbe stata calcolata una somma di 47 milioni di euro solo relativi alle prime cessioni con l’accettazione delle società concessionarie di un valore nominale di 26 milioni e 700mila euro.
Per la Guardia di Finanza la decisione di Ianniello di fermarsi era, per certi versi, tardiva. Nel senso che i crediti di imposta ottenuti in modo illecito, con dati fasulli inseriti nel sistema dell’Agenzia Entrate, erano stati venduti. Come? Attraverso due canali principali, quello di Poste Italiane e tramite la piattaforma SIBonus. E la monetizzazione dei crediti era stata poi suddivisa in quote da Ianniello e distribuita in parte a Giancarlo Simeone, Gianna Sparagna, Amleto Fammenghi, Michele Nardella (l’unico, destinatario dell’obbligo di presentazione quotidiana alla Pg, che ha presentato attraverso l’avvocato Mattia Aprea, ricorso al Riesame avverso l’ordinanza del dottor Di Croce), Mattia Cannavale, Bruno Cavallaro, Federico Funicelli e Marco De Santis, attraverso bonifici su conti correnti personali o di società riconducibili a questi ultimi indagati. Era troppo tardi, dunque, per tornare indietro perché dopo cinque giorni – era il 27 aprile 2022 – la Guardia di Finanza intercettò alcune telefonate intercorse tra Giovanni Luglio, Giancarlo Simeone, Michele Nardella, Amleto Fiammenghi e Aniello Ianniello.
E con quali risultati? Tutti avevano capito che le Fiamme Gialle erano sulle loro tracce responsabilizzando il passato giudiziario del 52enne Gianni Luglio per via di quella sentenza passata in giudicato nel 2019 con l’accusa di estorsione ai danni di una cooperativa sociale impegnata per conto del comune di Formia. E tutti al telefono furono chiari su un aspetto: quel questionario era partito dalla Caserma delle Fiamme Gialle di via Palazzo Condotto a causa di quella sentenza dichiarata inappellabile dalla Corte di Cassazione per Luglio insieme a quelle emesse ai danni di Angelo Bardellino, Tommaso Desiato e Franco D’Onorio De Meo. In quel momento il sodalizio si sciolse formalmente come neve al sole e il più risentito di tutti era proprio Fiammenghi che in un’altra telefonata accusava Luglio di trascorrere le sue giornate al bar ad aspettare ignari cittadini (solo per lo più i 22 indagati a piede libero) da truffare con il miraggio dei falsi crediti imposta.
E Fiammenghi, che da qualche giorno è tornato un uomo libero con l’obbligo di tornare a lavorare, era diventato nello stesso tempo uno dei principali indagati ma anche pentito per quello che aveva fatto. Espresse la volontà, infatti, di raccontare tutto alle forze dell’ordine, soprattutto l’azione di reclutamento delle persone da usare (in cambio dell’emissione di bonifici di ringraziamento) per ottenere remunerativi ma falsi crediti d’imposta truffando naturalmente l’erario.